La convulsa situazione ecclesiale ucraina e l’onda d’urto sull’insieme dell’ortodossia mondiale, oltre che i suoi probabili riflessi in ordine alla politica, hanno visto le scadenze di alcuni eventi: l’assemblea dei vescovi ucraini pro-russi (13 novembre) e, contestualmente, il fallimento dell’incontro degli stessi con il presidente ucraino Petro Poroshenko.
Il tomo (documento) ufficiale dell’autocefalia sarà inviato a seguito del sinodo costantinopolitano del 26-27 novembre. Entro dicembre sarà annunciato un concilio ucraino per la recezione del tomo stesso.
Si dovrebbe così concludere un vorticoso processo avviato con la comunicazione del santo sinodo costantinopolitano di concessione dell’autocefalia l’11 ottobre scorso.
Una Chiesa sola o una in più?
L’assemblea degli 83 vescovi (sui 90 invitati) della Chiesa canonica filo-russa si è conclusa con una documento in 12 punti in cui si apprezza l’attuale autonomia della Chiesa, l’unità del paese, la disponibilità ad accettare gli “scismatici” pentiti. Ma si nega la possibilità di un cambio di nome (per onorare l’autocefalia), si ritengono «invalide e senza alcun valore canonico» le disposizioni di Costantinopoli dell’11 ottobre, denunciando l’inammissibile interferenza del Fanar su un territorio canonico non suo. L’eventuale tomo non apporterà alcuna unificazione ecclesiale nel paese e quanti vi saranno coinvolti cadranno sotto le censure ecclesiastiche. Denuncia la grave crisi dell’ortodossia mondiale provocata da Bartolomeo e chiama tutti al dialogo e alla preghiera.
Lo stesso giorno Poroshenko aveva convocato i vescovi per un colloquio, ma, dopo vivaci discussioni, il sinodo si è detto disponibile ad accogliere il presidente nel luogo dell’incontro, ma non ad incontrarlo nei luoghi della politica. Solo tre vescovi si sono poi incontrati con lui.
Come ha fatto notare uno dei due vescovi che hanno votato contro il documento, il metropolita Sofronio, a favore del’autocefalia ve ne sono altri come lui, forse anche una ventina. «È un po’ come nel parlamento ucraino: due, quattro, cinque persone si espongono, ma poi tutti votano. È la stessa cosa: solo pochi si manifestano e sono conosciuti, ma poi gli altri possono cambiare opinione e orientamento».
Il Patriarcato ecumenico ha annunciato la decisione di accordare il tomo nella riunione del 27-29 novembre e di celebrare un concilio ucraino, annunciato entro dicembre. La sua celebrazione sarà presieduta dal vescovo Emmanuel di Francia.
Prevedibili e aggressive le reazioni, sia a favore che contro.
Il monaco C. Hovorum ricorda che milioni di fedeli sono stati tenuti fuori dalla comunione per decenni (le due Chiese scismatiche) e che l’intervento di Bartolomeo ha sanato una condizione che non era dettata da alcun fanatismo e da alcun pregiudizio etnico. Dopo l’occupazione della Crimea, da parte russa, la scelta per una Chiesa autocefala è diventata una necessità religiosa e politica. «Gente che adesso insiste sul fatto che la Crimea è russa accusano il patriarca ecumenico di interessarsi dei territori altrui. Gente che ha creato un potere monolitico nella propria Chiesa imputano al patriarca ecumenico di cedere al “papismo”. Allusioni alla corruzione vengono da chi ha esercitato una pressione finanziaria sui monasteri, sedi metropolitane e Chiese locali».
Un gruppo di nazionalisti ha cercato di entrare nella residenza di un metropolita pro-russo, Efrem, nell’indifferenza della polizia locale.
Il metropolita Sofronio, favorevole all’autocefalia, ha ricordato che l’egemonia russa è durata 300 anni «perché (i russi) avevano la forza» e ha aggiunto che Cirillo, nel 2014, avrebbe dovuto opporsi a Putin sulla Crimea e non l’ha fatto. Ha sottolineato come tutta l’intellighenzia del paese sia a favore dell’autonomia della Chiesa (anche se non distingue fra autonomia e autocefalia).
Crolla l’ideologia del “mondo russo”
Non meno numerose le voci contrarie. Due dei vescovi che hanno raggiunto Poroshenko si sono proclamati fedeli alla Chiesa pro-russa.
Il primate Onufrio, fedele a Mosca, ha rivendicato la trasparenza ecclesiale delle sue posizioni di contro al “politicume” degli scismatici. In 21 diocesi gruppi di preti o la totalità del presbiterio hanno preso posizione a favore della Chiesa canonica russa.
L’arcivescovo Clemente ha duramente polemizzato con il patriarca di Kiev, Filarete, accusandolo del coinvolgimento nei servizi segreti russi («ma chi non lo è stato?» commenta Sofronio) e di vita immorale (avrebbe moglie e figli). «La causa dello scisma ecclesiale in Ucraina nasce 30 fa dall’ambizione personale di Filarete che non è riuscito a diventare patriarca di Mosca. La causa di tutti i problemi attuali sono le ambizioni personali del patriarca Bartolomeo».
In realtà vi sono molte altre voci che si barcamenano fra le due posizioni. In attesa degli eventi. Come avviene nelle Chiese ortodosse. A favore di Mosca si è schierata la Chiesa di Serbia e di Antiochia, quella di Polonia e di Finlandia. Ma le altre non si sono ancora espresse, se non per il dialogo e il confronto.
Nel frattempo, la Chiesa di Mosca percepisce gli eventi come un incubo. Dopo avere ignorato la richiesta di autocefalia all’inizio degli anni ’80 e non aver ascoltato i suggerimenti di alcuni come A. Kuraev e S. Chapnin di procedere autonomamente a concederla, dopo aver disertato il concilio di Creta del 2016 e non aver valorizzato la lettera di Filarete al concilio russo del 2017 (peraltro è addebitata a una manovra di Hilarion, collaboratore di Cirillo), si è scontrata con la volontà di Bartolomeo. Così, dopo aver tenuto all’oscuro e senza informazioni la sua gente ha dovuto d’improvviso alzare la voce contro le mire di Costantinopoli.
Ma, soprattutto, oggi assiste incredula allo sgretolarsi del mito del “mondo russo” che avrebbe alimentato i legami spirituali e culturali anche nella diversità delle nazioni dell’ex Unione Sovietica. È possibile che la domanda di autocefalia si produca in Bielorussia, in Moldavia, in Georgia e negli stati dell’Asia centrale, come il Kazakistan e l’Uzbekistan.
Il venir meno di questo “utensile” di consenso non è certo piaciuto a Putin che, il 3 novembre, ha detto: «Vorrei sottolineare una cosa: politicizzare un ambito così sensibile produce sempre le conseguenze più gravi, anzitutto per coloro che lo avviano». Sembra sia stato Putin a convincere Cirillo ad andare a Costantinopoli per evitare il peggio, alla fine di agosto. Senza peraltro riuscirci. Anzi il patriarca ha assistito a un pubblico ammonimento di Bartolomeo contro Hilarion. Secondo un acuto osservatore, «l’impero di Cirillo va verso la fine, anche se i segni non sono ancora evidenti».
Rimane da decifrare quanto avverrà sul campo: quante comunità e persone si orienteranno verso la nuova Chiesa autocefala, quale sarà il nuovo patriarca, come verranno distribuite le proprietà, come si gestiranno i conflitti. In un contesto di grave e crescente crisi economica e sociale.
Sull’altro fronte si sottolinea la frettolosità sospetta di Bartolomeo di Costantinopoli, l’eccessiva ostentazione dell’amministrazione americana sulle decisioni del Fanar, la scarsa prudenza di aver contestualmente concesso l’autocefalia e la rimessione delle scomuniche ai gerarchi delle due Chiese scismatiche.
Che tutto questo sia solo una questione “di preti” lo pensano frettolosamente solo a Bruxelles. Il ministro degli esteri dell’Unione, F. Mogherini, ha scritto al deputato europeo M. Kefalogiannis: «È una questione di decisione interna in seno alla comunità ortodossa secondo le proprie regole». L’assenza politica dell’Unione non è l’ultima ragione della situazione ucraina che, secondo i più pessimisti, si avvia ad essere il caso-Siria dentro l’Europa. Sperando abbiano torto.