Nel corso del dibattito sinodale sull’Amazzonia emerge con sempre più convinzione la dimensione teologica della ferita che il potere dell’uomo e la sua volontà di sfruttare senza limiti l’eco-sistema può infliggere alla terra posta, fin dalle origini, sotto la protezione del comandamento di Dio. Questi modi di agire nei confronti del creato rappresentano un vero e proprio peccato (è stato coniato il termine di «ecocidio» per cercare di esprimerlo).
Non si tratta di un’inusuale invenzione di una Chiesa costretta a seguire un papa improvvisamente votatosi alla causa ecologica, ma di qualcosa che è inscritto originariamente nella trama del rapporto fra Dio, l’uomo e la donna.
In un’intervista rilasciata a TV2000, don PierAngelo Sequeri, preside dell’Istituto Giovanni Paolo II, ne ha brillantemente descritto il profilo (teologico, appunto): «Il cristianesimo non è una religione della terra, e questo è un equivoco che va allontanato. Noi siamo una religione del comandamento di Dio sulla terra.
È a questo comandamento che guardiamo. Genesi dice: prendetevi cura del mondo, custoditelo, e continuate a farlo bello come lo avete ricevuto – e anche di più.
C’è una missione affidata all’uomo e alla donna, dunque; e l’obbedienza a questo comandamento è una cosa sacrosanta, è un tema della fede – e non semplicemente della religione della natura.
Questa missione dobbiamo pensarla come la signoria di Dio, la signoria della creazione: un modo di essere signori, con stile, con rispetto, con eleganza, con ammirazione per la bellezza delle cose. Tutte le volte che non lo facciamo, o per indifferenza, o per egoismo, o per atteggiamento di potere, certamente commettiamo un peccato che riguarda il comandamento di Dio su tutta la terra».