In Amazzonia ci sono molti cristiani, anche se solo il 30% delle comunità ha preti per celebrare l’Eucaristia. Mancano preti, ovviamente. Ovvio? L’Eucaristia è indispensabile perché ci sia il cristianesimo? Lasciamo aperta una domanda che vorrei porre per una più ampia riflessione teologica, ma il fatto di un cristianesimo senza ministri preti fa pensare.
Sono stato motivato a scrivere quest’articolo dalla lettera di José Ignacio González Faus al papa per non aver permesso nella sua Esortazione apostolica sull’Amazzonia l’ordinazione dei “viri probati”. Il teologo ci scherza su: propone ai preti celibi romani di lasciare la Curia e di recarsi in Sudamerica per prestare un servizio pastorale. I loro incarichi a Roma potrebbero essere assunti da laici. D’altra parte, potrebbero recarsi nei vari paesi amazzonici per svolgere un lavoro che attualmente non svolgono.
Prendo sul serio la battuta di González Faus. Non sto scherzando: qualcuno immagina il cardinale Sarah, il prefetto della liturgia, che celebra l’Eucaristia in Brasile, voltando le spalle alle persone e dando la comunione solo in bocca? Sarebbe una barbarie pastorale. Ma lui stesso, come sappiamo da quello che ha detto, concepisce il ministero in questo modo.
In Amazzonia c’è il cristianesimo senza preti. Di quale qualità? Solo il Padre Eterno lo sa. Ma, per quanto riguarda ciò che noi esseri umani possiamo sapere, un cristianesimo con preti romani si snaturerebbe. Questo tipo di preti sono coloro che si formano ancora in seminari che li sradicano dalle loro culture e dalle loro comunità e li clericalizzano. Sono persone che sono venute in Europa dopo aver ricevuto una formazione presbiterale molto europea e ritornano in America Latina ancora più europei. Roma è piena di case di formazione e di università che romanizzano i preti e li trasformano in ministri del sacrificio eucaristico per il perdono dei peccati. Questa restrittiva idea preconciliare di prete non è scomparsa, ha ripreso vigore e costituisce la fucina del clericalismo che l’attuale cattolicesimo lamenta ovunque. La stessa esortazione del papa ha gran parte di questo, so che è duro dirlo.
L’Amazzonia non ha bisogno di preti, ma di presbiteri confermati dalle loro comunità per il fatto di averle aiutati a vivere il Vangelo e di essersi presi cura delle divisioni che le minacciano. L’unico sacrificio di cui queste comunità hanno bisogno è quello dell’amore di coloro che si privano di loro stessi in favore dei loro fratelli e sorelle.
Possono compiere questa missione i “viri probati” non preti? Sembra di sì. Possono farlo le religiose e le donne in generale? Non lo sappiamo, ma forse possono farlo di meglio dei maschi.
L’Amazzonia non ha bisogno, comunque, del tipo di prete risacralizzato che negli ultimi cinquant’anni ha finito per distruggere le comunità ecclesiali di base (CEB) dell’America Latina, la migliore delle ricezioni del Vaticano II.
In questi giorni è stata offerta un’interpretazione benigna dell’«Amata Amazzonia». Questa Esortazione Apostolica non avrebbe escluso la possibilità di ordinare i “viri probati”, ma avrebbe affidato la decisione alle chiese locali. Il papa apprezza comunque le conclusioni del Sinodo che ha affrontato questo tema. “Non intendo sostituirlo o ripeterlo” (QA 2), afferma. Con questo nuovo documento Francesco vuole completare il suo insegnamento e presentare ufficialmente il risultato del lavoro sinodale. Ma è stato necessario un altro colpo di scena per convincere i cardinali che ostacolano il suo magistero? O per vincere la partita con una strategia che li spiazzi? Non credo. Come neanche credo che sia stato un bene affidare agli episcopati locali la decisione di Amoris Laetitia di offrire l’Eucaristia ai divorziati risposati. Le conferenze episcopali del mondo, secondo le mie informazioni, tranne pochissime, non hanno avuto il coraggio di farlo.
I vescovi del Brasile ordineranno “viri probati”? Lo faranno alleati con i tedeschi alla ricerca di simili cambiamenti ministeriali?
Si faccia o no questo passo, il cristianesimo in Amazzonia è una realtà con o senza preti. Anzi, in quelle comunità dove non ci sono sempre, è possibile sviluppare altri tipi di azioni di grazie a Dio tramite Gesù Cristo. Non sarebbero possibili pasti eucaristici con manioca e acqua di cocco? In Cile, Argentina e Uruguay si potrebbero fare con il pane e mate. Karl Rahner intravedeva lo sviluppo di un cristianesimo mondiale, aperto a queste innovazioni. Si chiede: “È necessario celebrare l’Eucaristia con vino d’uva anche in Alaska?” (1980)? Altre forme di azioni di grazie potrebbero essere realizzate da persone comuni, uomini e donne, idealmente leader di comunità preparati per facilitare l’interpretazione della Parola e capaci di guidare, riconciliare ed animare le loro comunità. Questo servizio, di fatto, è svolto da questo tipo di persone. Ci sono religiose che dicono persino di confessare i cristiani.
Termino: cosa accadrebbe se l’attuale cristianesimo dell’Amazzonia senza chierici prendesse il sopravvento? Non ordinare “viri probati”, non ordinare donne approvate forse potrebbe non essere così male. In ogni circostanza, il vero e più grande pericolo potrà sempre essere rappresentato da preti clericalizzati che ci sono o che devono essere inviati in una regione latinoamericana che non ne ha bisogno.
Articolo pubblicato il 17.02.2020 nel Blog dell’Autore in Religión Digital. Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli.