Dopo i vescovi polacchi, anche la Conferenza episcopale dei paesi nordici ha espresso riserve e preoccupazioni nei confronti del Cammino Sinodale della Chiesa cattolica tedesca – con una lettera indirizzata a mons. G. Bätzing, nei giorni in cui i vescovi tedeschi sono riuniti insieme per la plenaria di primavera.
Meno piccante di quella polacca, e più rispettosa nel tentativo di inserire il Cammino sinodale tedesco nel contesto socio-culturale della Chiesa locale, anche questa non manca però di sottolineare le presunte mancanze inerenti al processo sinodale tedesco: il rischio di seguire lo spirito del tempo e la sua volatilità; una concentrazione eccessiva sull’immagine della Chiesa come popolo pellegrinante di Dio, tralasciando la dimensione del suo essere mistero sacramentale e corpo mistico – e di mediatrice della grazia.
Insomma, il Cammino sinodale penserebbe la Chiesa unicamente come “società visibile”, non considerandola anche nel suo aspetto di “mistero della comunione”. Quando rimane in toni rispettosi e costruttivi, credo che la dialettica suscitata dal Cammino sinodale vada salutata come buona cosa per la vita della Chiesa – e questo è già un merito da ascrivergli anche per ciò che concerne gli aspetti più esposti alla critica.
Rimane però l’impressione che le Chiese locali che sono scese nell’arena di questo confronto dialettico non abbiano poi molto da offrire alla rifondazione della Chiesa cattolica auspicata da papa Francesco e raccolta nella trama del documento preparatorio al Sinodo dei vescovi sulla sinodalità.
La stagnazione intorno al tema dell’immutabile dottrina della Chiesa cattolica, e della doverosa fedeltà a essa da parte del corpo episcopale e dei fedeli, richiamate nella lettera dei vescovi nordici, non genera alcun processo e non riesce neanche a immaginare vie mediante le quali una simile dottrina debba essere declinata nel contesto della contemporaneità per essere trasmessa efficacemente – ossia, in maniera quantomeno comprensibile agli uomini e alle donne di oggi.
La questione aperta dalle due lettere critiche per la piega presa dal Cammino sinodale tedesco va, in realtà, ben oltre di esso e chiama in causa lo stesso processo sinodale aperto da Francesco come modo costitutivo dell’essere della Chiesa cattolica – facendo di quello attuale una mera applicazione di forme sinodali di tempi passati. Forme senza le quali quella dottrina non sarebbe nemmeno stata formulata e non avrebbe raggiunto la normatività che le si riconosce oggi.
Questo congelamento in una sinodalità normativa passata e una meramente applicativa presente indebolisce e mette a rischio quella stessa normatività che si desidera proteggere – e si vede in pericolo a causa delle concrete forme sinodali attuate dalle Chiese locali. Così facendo, non andremo da nessuna parte e rimarremo infedeli al gesto della fede che fu capace di costruire il rigore di quella dottrina.
Sono d’accordo con l’autore che l’aver avviato il Sinodo non significa necessariamente aver compreso appieno, e soprattutto tradotto in pratica e prassi, il senso del cammino proposto… Mi pare che per tutti i sinodi in corso la prima fase sia indicata come quella dell’ascolto… perché non esercitarlo anche fra Conferenze episcopali? Perché affrettarsi a dare una valutazione di ciò che gli altri stanno maturando, se prima non ci si mette in ascolto delle ragioni e delle riflessioni che stanno portando verso nuove direzioni? Magari un ascolto capace di rimanere “aperto”, di riconoscere le ragioni presenti nel punto di vista dell’altro, degli altri, prima di affrettarsi a dimostrare loro che hanno torto…
Mi auguro che il Sinodo ci renda capaci di imparare una nuova forma di “dialettica”, quella capace di portare il conflitto ad un livello superiore ( cfr. Querida Amazonia n. 104) e del costruire insieme (cfr. Fratelli tutti n.203), che alcune realtà di Vita consacrata stanno cercando di sperimentare al proprio interno: cfr. in proposito: http://www.settimananews.it/vita-consacrata/consacrate-fra-docibilitas-sororita-e-sinodalita/. Non è un cammino facile, certamente, e la strada non sarà tutta piana, ma piuttosto che continuare a “battagliare” su fronti contrapposti… non sarebbe anche questo uno stile di Chiesa profetico, per il mondo di oggi?
Buongiorno,
quello trattato da Neri è un tema molto importante, ma è anche molto difficile. Una “traduzione” più semplificata dei concetti espressi nel suo articolo sarebbe di grande utilità per una analisi critica personale di ciò che sta accadendo nella Chiesa tedesca. Leggo frequentemente Settimana news, ma inviterei sempre gli autori alla massima chiarezza e trasparenza, perché solo attraverso quelle si esprime il soffio dello Spirito. Se i messaggi lanciati sono troppo criptici è facile che “qualcuno” ci stia mettendo lo zampino.
Grazie per la comprensione
È vero, la dottrina cattolica ha conosciuto un’evoluzione lungo i secoli. Ciò è implicito alla dinamica della Tradizione della fede nel senso del tradere. Tradere non tradire. E quando scrivo tradire lo intendo nel senso fontale del termine cioè portare la fede al falò dello spirito del tempo così come le autorità romane chiedevano di fare coi libri sacri alla fine del terzo secolo. Se tradere vuol dire seguire l’avviso di Batzing e di buona parte del Synodale Weg sulla morale sessuale, ovvero andare financo contro il vangelo, allora siamo molto vicini al tradire.
L’evoluzione e la creatività della tradizione non può negare la rivelazione tramandataci nella Chiesa, soprattutto nel suo contenuto di diritto divino. La può arricchire, la può approfondire, la può declinare. Le sinodi ed i concili del primi secoli non hanno “creato” nuova dottrina. L’hanno approfondita e seguita nelle sue implicazioni spirituali, logico-filosofiche o sociali, declinandola nel linguaggio proprio dell’ecumene ellenistico.
A volte sembra che molti confondano la Tradizione e le sue dinamiche con il progresso scientifico come lo intese Popper: un processo conoscitivo perennemente esposto alla verifica della falsificazione. Sembra quasi che la cancel culture sia entrata nella Chiesa quando si legge dell’esegeta-star di turno che ha persino l’impudenza di emendare gli evangelisti quando narrano di uno scandaloso Cristo che maledice un fico.
Erasmo da Rotterdam redivivo, che non era affatto un reazionario, avrebbe di che scrivere per un contemporaneo Elogio della follia.