Pubblichiamo i testi integrali delle intenzioni scritte da papa Francesco e lette dai cardinali Gracias, Czerny, O’Malley, Farrell, López Romero, Fernández, Schönborn nella Basilica di San Pietro martedì 1° ottobre, in occasione della liturgia penitenziale a conclusione del ritiro di preparazione all’Assemblea generale del Sinodo dei vescovi.
Cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay (India)
Chiedo perdono a Dio Padre, provando vergogna per il peccato di mancanza di coraggio, del coraggio necessario alla ricerca di pace tra i popoli e le nazioni, nel riconoscimento dell’infinita dignità di ogni vita umana in tutte le sue fasi, dallo stato nascente alla vecchiaia, soprattutto i bambini, gli ammalati, i poveri, del diritto di avere un lavoro, una terra, una casa, una famiglia, una comunità in cui vivere libero, del valore che è il paesaggio e la cultura di ogni zona del pianeta. Per fare la pace ci vuole coraggio: per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza.
A nome di noi tutti i fedeli chiedo perdono a chi sta nascendo oggi e nascerà dopo di noi, alle generazioni del futuro che ci danno in prestito questo mondo e che hanno il diritto di abitarlo, un giorno, nella concordia e nella pace. Ancora più grave è il nostro peccato, se, per giustificare la guerra e le discriminazioni, invochiamo il nome di Dio. Perdonaci Signore.
Cardinale Michael Czerny sj, prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale
Chiedo perdono, provando vergogna per quello che anche noi fedeli abbiamo fatto per trasformare il creato da giardino a deserto, manipolandolo a nostro piacimento; e per quanto non abbiamo fatto per impedirlo.
Chiedo perdono, provando vergogna, per quando non abbiamo riconosciuto il diritto e la dignità di ogni persona umana, discriminandola e sfruttandola – penso in particolar modo alle popolazioni indigene – e per quando siamo stati complici di sistemi che hanno favorito la schiavitù e il colonialismo.
Chiedo perdono, provando vergogna, per quando abbiamo preso e prendiamo parte alla globalizzazione dell’indifferenza di fronte alle tragedie che trasformano per tanti migranti le rotte del mare e i confini tra nazioni da via di speranza a via di morte. Il valore della persona è sempre superiore a quella del confine. Sento in questo momento la voce di Dio che chiede a tutti noi «Dov’è tuo fratello; dov’è tua sorella?». Perdonaci Signore.
Cardinale Seán Patrick O’Malley o.f.m. cap., arcivescovo metropolita emerito di Boston (Stati Uniti d’America)
Chiedo perdono, provando vergogna, per tutte le volte che noi fedeli siamo stati complici o abbiamo commesso direttamente abusi di coscienza, abusi di potere e abusi sessuali. Quanta vergogna e dolore provo nel considerare soprattutto gli abusi sessuali compiuti su minori e persone vulnerabili, che hanno rubato l’innocenza e profanato la sacralità di chi è debole e indifeso.
Chiedo perdono, provando vergogna, per tutte le volte che abbiamo usato la condizione del ministero ordinato e della vita consacrata per commettere questo terribile peccato, sentendoci al sicuro e protetti mentre approfittavamo diabolicamente dei piccoli e dei poveri. Perdonaci Signore.
Cardinale Kevin Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita
Chiedo perdono a nome di tutti nella Chiesa, soprattutto noi uomini, provando vergogna per tutte le volte che non abbiamo riconosciuto e difeso la dignità delle donne, per quando le abbiamo rese mute e succubi, e non poche volte sfruttate, specie nella condizione della vita consacrata.
Chiedo perdono, provando vergogna per tutte le volte che abbiamo giudicato e condannato prima di prenderci cura delle fragilità e delle ferite della famiglia.
Chiedo perdono, provando vergogna, per tutte le volte che abbiamo rubato la speranza e l’amore alle giovani generazioni, quando non abbiamo compreso la delicatezza dei passaggi di crescita, del travaglio della formazione dell’identità, e non siamo disposti a sacrificarci per il loro diritto di esprimere talenti e professionalità trovando un dignitoso lavoro e ricevendo un giusto salario.
Chiedo perdono, provando vergogna per tutte le volte in cui abbiamo preferito vendicarci, anziché impegnarci nella ricerca della giustizia, abbandonando chi sbaglia nelle carceri e ricorrendo all’uso della pena di morte. Perdonaci Signore.
Cardinale Cristóbal López Romero S.D.B., arcivescovo di Rabat (Marocco)
Chiedo perdono a nome di tutti nella Chiesa, provando vergogna per quando abbiamo girato la testa dall’altra parte di fronte al sacramento del povero, preferendo adornare noi stessi e l’altare di colpevoli preziosità che sottraggono il pane all’affamato.
Chiedo perdono, provando vergogna per l’inerzia che ci trattiene dall’accogliere la chiamata a essere Chiesa povera dei poveri e che ci fa cedere alla seduzione del potere e alle lusinghe dei primi posti e dei titoli vanagloriosi.
Chiedo perdono, provando vergogna, per quando cediamo alla tentazione di nasconderci al centro, protetti dentro i nostri spazi ecclesiali malati di autoreferenzialità, resistendo a uscire, trascurando la missione nelle periferie geografiche ed esistenziali. Perdonaci Signore.
Cardinale Víctor Manuel Fernández, prefetto del Dicastero per la dottrina della fede
Chiedo perdono provando vergogna per tutte le volte che nella Chiesa, in particolare noi pastori ai quali è affidato il compito confermare i fratelli e le sorelle nella fede, non siamo stati capaci di custodire e proporre il Vangelo come fonte viva di eterna novità, “indottrinandolo” e rischiando di ridurlo a un cumulo pietre morte da scagliare contro gli altri.
Chiedo perdono, provando vergogna per tutte le volte che abbiamo dato giustificazione dottrinale a trattamenti disumani.
Chiedo perdono, provando vergogna per quando non siamo stati testimoni credibili del fatto che la verità libera, per quando abbiamo ostacolato le diverse legittime inculturazioni della verità di Gesù Cristo, il quale percorre sempre i sentieri della storia e della vita per farsi trovare da coloro che vogliono seguirlo con fedeltà e gioia.
Chiedo perdono, provando vergogna per le azioni e le omissioni che hanno impedito e ancora rendono difficile la ricomposizione in unità della fede cristiana, e l’autentica fraternità di tutto il genere umano. Perdonaci Signore.
Cardinale Christoph Schönborn o.p., arcivescovo di Vienna (Austria)
Chiedo perdono, provando vergogna per gli ostacoli che frapponiamo all’edificazione di una Chiesa veramente sinodale, sinfonica, consapevole di essere popolo santo di Dio che cammina insieme riconoscendo la comune dignità battesimale.
Chiedo perdono, provando vergogna per tutte le volte che non abbiamo ascoltato lo Spirito Santo, preferendo ascoltare noi stessi, difendendo opinioni e ideologie che feriscono la comunione in Cristo di tutti, attesi alla fine dei tempi dal Padre.
Chiedo perdono, provando vergogna per quando abbiamo trasformato l’autorità in potere, soffocando la pluralità, non ascoltando le persone, rendendo difficile la partecipazione alla missione della Chiesa di tanti fratelli e sorelle, dimenticando di essere tutti chiamati nella storia, per la fede in Cristo, a divenire pietre vive dell’unico tempio dello Spirito Santo. Perdonaci Signore.
Quelli che pensano che basti chiedere ” scusa” e che la richiesta di perdono cancelli il male fatto e le sue conseguenze , sono dei furbetti. I cardinali se in coscienza pensano di aver fatto del male, per esempio coprendo gli abusi , mentendo, arricchendosi , devono agire d’ ora in poi per riparare .Se non moriamo nessuna loro azione in questo senso vuol dire che la richiesta di perdono e’ l’ ennesima furbata.
Quale contributo al dibattito, mi permetto di riportare integralmente la riflessione del sociologo Franco Garelli , dal titolo I MEA CULPA DEL PAPA E LA CHIESA AL FEMMINILE, apparsa sul quotidiano “La Stampa” di ieri 3 ottobre
È una Chiesa penitente quella che martedì sera ha celebrato in San Pietro una veglia in preparazione dell’ultima tappa del Sinodo dei Vescovi, iniziato ieri in Vaticano. E molti si saranno chiesti il perché di un nuovo “mea culpa” ecclesiale prima di un evento (lungo un mese di preghiere, incontri, discernimento) dedicato a come mantenere unita la cattolicità, a evitare la frammentazione interna, a favorire l’inculturazione della fede cristiana nei vari continenti senza disperdere le comuni radici; in altri termini, a impedire che – in questo ramo del cristianesimo – l'”io” delle chiese nazionali abbia il sopravvento rispetto al “noi” della chiesa universale.
Questa immagine di una Chiesa che (moltiplicando il mercoledì santo) si cosparge il capo di cenere, non è un tic personale di Papa Francesco; né un lascito che gli deriva dai due predecessori che per primi hanno esposto i peccati della Chiesa sulla pubblica piazza (Benedetto XVI, ma soprattutto Papa Wojtyla). Nemmeno si può dire che in Bergoglio questa nuova auto-denuncia sia connessa alle durissime accuse ricevute (in quanto capo della Chiesa di Roma) nella sua recente visita in Belgio, per la portata dei crimini commessi dal clero pedofilo e per l’ignavia delle autorità religiose nel farvi fronte. Tra l’altro, ciò non ha impedito (come Domenico Agasso ci ha raccontato su “La Stampa” di ieri 2 ottobre) a oltre 40.000 belgi di ricevere con gioia il Papa nello stadio di Bruxelles, espressione dunque di una folla anche perdonante, a fronte di un establishment solo giudicante.
Papa Francesco è ben cosciente delle gravi colpe di una parte della sua Chiesa; al punto da porre il tema al centro di questo Sinodo generale dei Vescovi, incentrato appunto sulle questioni “calde” della collegialità, della sinodalità, di una corretta partecipazione di tutti (tenendo presenti i diversi ministeri e carismi) alla missione condivisa. Perché le sue convinzioni sono ad un tempo semplici e disarmanti. Non si dà rinnovamento della barca di Pietro se non c’è capacità di conversione, se non si torna al vangelo, senza cambiamento interiore. Solo così le strutture, le soluzioni organizzative, le relazioni tra le diverse “anime” ecclesiali potranno rispondere più alla logica del servizio che a quella del potere.
È il clericalismo anzitutto a preoccupare il Papa, il cui warning fisso è che “i chierici non sono i capi, ma i pastori”; così come la Chiesa non è la padrona, ma la pastora/madre. Per cui sinodalità vuol dire dare ai laici il ruolo che loro spetta, permettere alle donne di contare nella Chiesa, proprio loro, per troppo tempo rese mute e succubi, specie nella vita consacrata. Ma la lotta al clericalismo è solo un primo passo per attuare la sinodalità.
Nel linguaggio ecclesiastico, “sinodalità” significa una “Chiesa-popolo di Dio” che realizza in concreto il suo essere comunione, nel camminare insieme, nel riunirsi in assemblea, nel partecipare attivamente (con tutti i suoi membri) alla sua missione nel mondo. Da un lato, vi è la ricerca di una “forma-Chiesa” alleggerita dal peso gerarchico e accentratore del passato; dall’altro, si coglie nella domanda di partecipazione dal basso un segno dei tempi capace di vivificare una realtà umana e religiosa che ha un mandato unitario da svolgere nel mondo. Va da sé che queste aperture in atto nella cattolicità sono al centro di varie tensioni. È la Chiesa che si sta secolarizzando (queste le accuse dei gruppi più legati ad certa visione della tradizione), erodendo il potere e la responsabilità che Dio stesso avrebbe consegnato alle autorità religiose? O è una Chiesa che, pur mantenendo una sua unità di fondo, pur riconoscendo il primato di Pietro, considera ormai tutti i suoi membri come persone adulte nella fede, aprendosi alle istanze partecipative oggi diffuse in ogni dove? Ecco il dilemma di fondo che aleggia su questo Sinodo della Chiesa universale.
La posta in gioco è davvero rilevante. Come mantenere l’unità in una Chiesa che si compone di sensibilità e visioni diverse, nella quale coesistono chiese nazionali che affrontano problemi che altre chiese omologhe non avvertono o che affronterebbero diversamente? O come tenere insieme realtà ecclesiali che sui temi dei diritti individuali hanno posizioni di avanguardia a fronte di altre chiese radicate in contesti umani più tradizionali? E inoltre, come ci si confronta e si decide dentro la cattolicità? Papa Francesco è indomito nel sostenere che è bene che si parli di tutto nella Chiesa, che ognuno esprima il proprio parere, pur ribadendo che qui non si tratta di un’assemblea parlamentare, con maggioranze e minoranze schierate contro, ma di luoghi di confronto in cui “opera” lo Spirito. Ma fin dove può spingersi il confronto ecclesiale, sia nel Sinodo dei Vescovi in generale, sia nelle molte Assemblee in cui i chierici e i fedeli laici sono chiamati a partecipare nelle Chiese locali? Su quali temi e in quali momenti queste Assemblee possono avere un carattere deliberativo e non soltanto consultivo?
L’esperienza sinodale pone dunque la Chiesa in un campo aperto, che non sembra tuttavia turbare più di tanto il Pontefice. Le divergenze si superano se prevale lo spirito di comunione, l’ascolto reciproco; se si scopre la ricchezza del camminare insieme. Del resto, egli ha avocato a sé alcune grandi questioni già dibattute in precedenti Sinodi (quali il diaconato femminile, le mutue relazioni tra religiosi e vescovi, le riforme strutturali nella Chiesa; e forse anche il sacerdozio femminile), per chiedere a gruppi di esperti un supplemento di studio e di riflessione da poi riversare nel dibattito ecclesiale.
Ma la sufficiente serenità con cui il Papa guarda a queste dinamiche sembra avere un altro fondamento, si radica sul significato che egli attribuisce al suo pontificato. A suo dire, questo non è ancora per la Chiesa il tempo delle grandi decisioni, più plausibili forse con un pontefice meno in là con gli anni e dopo che “qualcuno” abbia preparato il terreno. Ecco, il ruolo di Francesco per il rinnovamento della Chiesa pare proprio questo: dissodare la vigna del Signore, avviare “processi” – come egli ama dire – che possano prefigurare nuovi sviluppi e orizzonti, fare dei passi in avanti che spingano tutti a sporgersi oltre gli steccati, ma senza produrre rotture irreparabili. Magari coltivando l’idea che nulla sarà come prima.
E’ giusto riconoscere i propri errori e chiedere perdono ( anche se lo aveva già fatto solennemente Giovanni Paolo II all’inizio del Giubileo del Duemila), ma questo continuo battersi il petto mi lascia anche un po’ perplesso: mi pare che contribuisca ad avvallare nell’opinione pubblica l’immagine pesantemente negativa di Chiesa che già la cultura laicista dominante impone da tempo. Ma soprattutto: accanto alla richiesta di perdono, perché non ringraziare lo Spirito Santo per le meraviglie che ha compiuto e continua a compiere nella Chiesa e, attraverso di lei, nel mondo? Non c’è forse anche tanta santità nella Chiesa? E come ignorare l’azione anche eroica di tanti missionari che vanno ad annunciare il Vangelo (la ricchezza maggiore che il mondo possa ricevere), le opere di solidarietà verso i poveri, i rifugiati, i disabili, gli emarginati; gli sforzi per promuovere cultura e iniziative di pace, l’impegno nel dialogo ecumenico e interreligioso; la difesa della vita umana dal concepimento alla fine naturale; l’attenzione verso il Creato da preservare ecc. ecc. ? Perché ricordare solo coloro che hanno sbagliato e non i tanti che si sacrificano con amore, coraggio e nel silenzio per far crescere il Regno di Dio? Non si tratta di vantarsi, perché “tutto è grazia”, ma di dare il giusto riconoscimento anche al bene che c’è e non va nascosto come la lanterna sotto il moggio
Nessun Cardinale crede a Cristo. Così diceva Padre Amorth.
Padre Amorth ha detto tante stupidate
lui e altri esorcisti con le loro sparate hanno fatto danni enormi al cattolicesimo e non solo
Spero che alle richieste di perdono avanzate per superare l’attuale fase di stagnazione facciano seguito gesti concreti, urgenti e risoluti da parte di Francesco e degli organismi vaticani. Sarebbe ipocrita chiedere perdono per i mali della chiesa e non muovere un dito per estirpare alla radice le cause che provocano tali mali. E’ urgente pertanto che alle parole seguano i fatti. Il clericalismo non si combatte con le parole ma aggredendo la dimensione strutturale degli abusi di potere. Occorre procedere alla riforma del codice di diritto canonico, alla riformulazione della dottrina ed alla revisione dei libri liturgici.
Bello parlare di ‘riformulazione della dottrina’ e ‘revisione dei libri liturgici’ come se fosse un pranzo di gala o una cosa estremamente semplice, quando invece è una faccenda estremamente complessa che rischia di creare divisioni, conflitti e disaffezioni se fatta male.
Gli esempi si sprecano e sinceramente non notarli è criminale
Lungi da me intendere la riformulazione della dottrina e la revisione dei libri liturgici come “un pranzo di gala”. Non mi malintendere, so bene che non è una cosa semplice, ma so anche che per combattere il clericalismo bisogna andare alla radice dei problemi e la radice dei problemi è la dimensione strutturale del clericalismo. Quanto alle divisioni, uno scisma di fatto è già presente nella chiesa. esso è costituito dai tradizionalisti che rifiutano il concilio ed accusano Francesco di ogni nefandezza. Sono cattolici pseudocristiani che hanno già infranto la comunione.
Si, possiamo anche essere d’accordo che i tradizionalisti stanno distruggendo la Comunione ecclesiale, ma se hanno successo è perché:
a) rispondono a un malessere esistente, magari in modo sbagliato, ma danno risposte a problemi che altri ignorano;
b) hanno saputo adattarsi e cavalcare la situazione attuale, mentre gli altri no.
Inutile voler reprimerli, bisogna accettare che esistono, che bisogna parlare con loro e fare concessioni (ovviamente anche loro devono concedere e ‘patti chiari, amicizia lunga’). Questo è l’unico modo per far si che alla fine si sgonfino.
Dovete chiedere scusa soprattutto per avere eletto Francesco a Papa le chiese si stanno svuotando.
Non è che mi lasci tanto tranquillo questa voglia spasmodica di cambiare tutto…
P.S. noi vogliamo cambiare tutto… ma Dio cosa vuole?
Ah dimenticavo: mi ricorda i processi di Stalin e nella Cina di Mao. Poi comunque dopo l’autoaccusa li fucilavano tutti. Memento mori…
I Cardinali dovrebbero chiedere perdono per il tradimento delle loro promesse sacerdotali e per aver abbandonato il popolo di Dio per compiacere il mondo. Mi dissocio recisamente da queste ridicole richieste di perdono. DIO FA IMPAZZIRE QUELLI CHE VUOLE PERDERE.
Già… ma pochi se ne avvedono o parlano…