Settima puntata della rubrica «Verso il Sinodo sui giovani», firmata da don Armando Matteo sulla rivista Vita pastorale, che ringraziamo per il consenso a riprendere l’appuntamento mensile anche su Settimana News. Di seguito gli interventi finora pubblicati: Crescere in una società senza adulti /1; Se credere non è più di moda /2; Ripartire dagli adulti /3; La vocazione all’adultità /4; La domenica al centro /5; Insegna a pregare /6.
Un’audace quanto improcrastinabile rivoluzione attende i credenti di quest’ora della storia. Ed è quella che riguarda l’immaginario diffuso dell’adulto credente. Veniamo, infatti, da un passato nel quale una certa unità di cultura ed una certa cultura dell’unità aveva favorito il sorgere di un modello di credente sostanzialmente centrato sull’idea dell’accettazione intellettuale della dottrina e morale della Chiesa. Impostazione che ha, lentamente, favorito una radicale divaricazione tra la fede professata e la vita concreta. E ha pure portato al sorgere e al diffondersi di quella figura ibrida del “credente non praticante”.
Oggi è tempo di cambiare passo. Se è certamente vero che il cristianesimo possiede una dottrina teologica e morale, è altrettanto vero che non è a questa che si riduce. La promessa di vita buona che il cristianesimo propone è collegata all’aspetto personale della fede, come illustra l’enciclica Lumen fidei, iniziata da Benedetto XVI e conclusa da papa Francesco: «Nella fede, Cristo non è soltanto colui in cui crediamo, la manifestazione massima dell’amore di Dio, ma anche colui al quale ci uniamo per poter credere. La fede, non solo guarda a Gesù, ma guarda dal punto di vista di Gesù, con i suoi occhi: è una partecipazione al suo modo di vedere».
È questo il profilo integrale dell’identità dell’adulto credente. Assumere questa “rivoluzione” è oggi più che mai urgente per i percorsi della pastorale giovanile vocazionale. Non avere chiaro quale sia il loro punto di arrivo, ovvero quale dovrebbe essere il “profilo d’uscita” dei giovani con i quali si lavora, rischia di avallare la prassi di sempre. E di avere il risultato di sempre. Con la cresima i giovani ci lasciano, senza sbattere le porte, senza il minimo senso di colpa. A dare maggiore concretezza al passo richiesto, ci ha pensato papa Francesco, che ai giovani cileni ha esemplificato l’esperienza concreta della fede con questa domanda: «Che cosa farebbe Gesù al mio posto?».
Da qui scaturisce il quinto principio della Pastorale giovanile vocazionale: “Credi di più nella Bibbia”. La familiarità con la Parola deve essere l’obiettivo minimo di ogni lavoro con il mondo delle nuove generazioni. Come potrebbero rispondere alla domanda su cosa farebbe Gesù al mio posto se nessuno testimonia loro, contagiandoli, un amore sincero per il Vangelo?
Per quanto possa apparire urticante, è ora che ci diciamo la verità: il contatto domenicale con la Parola non è sufficiente per far sorgere un adulto credente all’altezza di quanto richiesto da Lumen fidei. Serve più Bibbia in ogni giorno di vita delle nostre comunità. Questo, del resto, è un compito esplicitamente evidenziato da Evangelii gaudium: «Lo studio della Sacra Scrittura dev’essere una porta aperta a tutti i credenti. È fondamentale che la Parola rivelata fecondi radicalmente la catechesi e tutti gli sforzi per trasmettere la fede. L’evangelizzazione richiede la familiarità con la Parola di Dio e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria».