Si sta avvicinando la data di apertura della prima sessione della tappa universale del Sinodo sulla sinodalità, che si svolgerà a Roma dal 4 al 29 ottobre prossimi; la seconda sessione è fissata per l’ottobre del 2024.
Lo svolgimento in due momenti della tappa conclusiva del cammino sinodale è in piena sintonia con il carattere di processualità che papa Francesco ha voluto conferire all’Assemblea dei vescovi attraverso la costituzione apostolica Episcopalis communio del settembre 2018, che ha formalizzato l’articolazione del Sinodo in tre fasi (fase preparatoria, fase celebrativa e fase attuativa).
Questa distensione lungo archi temporali significativi marca in modo deciso il passaggio da un’idea di Sinodo come evento all’idea di Sinodo come processo, cioè come stile di essere Chiesa. E già così è respiro di sinodalità.
Un altro gesto di rilievo di papa Francesco, segno di una breccia decisa nel muro del clericalismo, riguarda il conferimento del diritto di voto anche a persone non insignite del munus episcopale. In questo Sinodo sulla sinodalità non sono presenti solo vescovi, ma anche preti e religiosi; non solo preti e religiosi, ma anche religiose; non solo laici (maschi), ma anche laiche (donne).
Il passo è maturato tra le esitazioni e le titubanze di non pochi cardinali per i quali permettere alle donne di votare su questioni ecclesiali, o forse non solo su quelle, suscita perplessità degne di un patriarca biblico. Ma, ad ogni buon conto, ora in Assemblea sinodale ci sono cinquantaquattro donne che potranno votare. E, per quanto cauto e calato dall’alto, il passo del papa si configura come un precedente ingombrante e di peso, rispetto al quale sarà difficile per i successori svicolare attraverso retromarce tortuose e fintamente innocenti.
Chiesa e donne nell’Instrumentum laboris
L’Instrumentum laboris per la prima sessione della tappa universale è stato elaborato sulla base di tutto il materiale raccolto durante la fase preparatoria e, in particolare, a partire dai sette Documenti finali delle Assemblee continentali (Medio-Oriente, Europa, Asia, America del nord, America Latina e Caraibi, Africa e Madagascar, Oceania).
Il testo dell’Instrumentum laboris si suddivide in due parti: la parte A rilegge il cammino percorso individuando le linee portanti di una Chiesa sinodale, la parte B si interroga sulle tre questioni prioritarie Comunione (B1), Missione (B2) e Partecipazione (B3). Seguono quindici Schede di lavoro, suddivise secondo i tre punti B1, B2, B3 e strutturate attraverso piste di riflessione, domande per il discernimento e suggerimenti per la preghiera e la riflessione.
Il tema «Chiesa e donne» viene approcciato in modo diretto nella terza scheda di lavoro del punto B2 (Missione), mediante questa domanda:
B2.3 Come può la Chiesa del nostro tempo compiere meglio la propria missione attraverso un maggiore riconoscimento e promozione della dignità battesimale delle donne?
La domanda, apparentemente portatrice di una significativa apertura rispetto al tema di riferimento, ad una lettura non superficiale svela, invece, tutta una rete di sottintesi che tengono ingabbiato il pensiero dentro l’asfittica consuetudine di prepotenti stereotipi.
Di meglio in bene
Prendiamo in considerazione, innanzi tutto, la parola meglio.
Meglio è il grado comparativo dell’avverbio bene; il suo significato è più bene. L’uso del grado comparativo presuppone, di norma, un termine di paragone, che può essere esplicitato o dato per sottinteso. Dal momento che, nella nostra frase, l’elemento di paragone non è presente, è implicito che ci sia un sottinteso.
Prima osservazione: chiedersi come la Chiesa possa compiere meglio la propria missione, sottintende che chi ha formulato la domanda ritenga che, così come l’ha compiuta finora o come la sta compiendo adesso, la stia già compiendo bene.
In questa prospettiva, di conseguenza, il riconoscimento e la promozione della dignità battesimale delle donne vengono ad essere un «di più» funzionale al meglio, ma a tutto rischio del bene. Cioè, riconoscere e promuovere la dignità battesimale delle donne viene visto come una sorta di dato accessorio che permette alla Chiesa di compiere meglio, più bene la propria missione, un dato funzionale al miglioramento di situazioni e di risultati, e non l’elemento imprescindibile e irrinunciabile che, se disatteso, va a snaturare la radice stessa della fede cristiana.
Perché siete tutti figli di Dio per la fede in Cristo Gesù. Poiché voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina, poiché voi tutti siete uno in Cristo Gesù. (Gal 3,26-28)
La radice, cioè il bene, è nella filiazione in Dio per la fede in Cristo Gesù. Nel battesimo vengono superate e sconfitte le distinzioni etniche e culturali, le distinzioni sociali, le distinzioni di genere. La pari dignità battesimale di uomini e donne, dichiarata con chiarezza e fermezza in Galati 3,26-28, non è un’idea edulcorata e politically correct di promozione femminile, ma è il fondamento della fede in Gesù – un ideale evangelico eversivo, dirompente e straordinariamente carico di futuro.
Il portato destabilizzante e sovversivo del cristianesimo rispetto alle altre religioni del mondo antico è ben riconoscibile a livello culturale e antropologico: che il rito di iniziazione alla fede non fosse differenziato in base al genere, che il battesimo fosse lo stesso per i maschi e per le femmine, marcò da subito uno scarto semantico incontestabile e rivoluzionario rispetto alle strade della sopraffazione maschilista, da cui Gesù si era dissociato in modo radicale durante la sua vita, con le sue parole e ancor più con i suoi gesti.
Nel momento in cui la Chiesa si chiede come compiere meglio la propria missione promuovendo la dignità battesimale delle donne, implicitamente dichiara di aver disatteso per due millenni il mandato di Gesù, dichiara di aver ritenuto che il suo agire bene potesse prescindere dal riconoscimento della dignità battesimale delle donne come parte, al contrario, imprescindibile di quello stesso bene. Lo dichiara implicitamente, per via di sottinteso, ma non se ne assume apertamente la responsabilità. Anzi.
Anzi, maggiore
Anzi, un secondo comparativo insidia l’apparente innocenza della frase interrogativa che stiamo analizzando. Maggiore è l’aggettivo di grado comparativo dell’aggettivo grande; il suo significato è più grande. Anche qui valgono le considerazioni precedentemente espresse in merito al termine di paragone – non esplicitato e, dunque, sottinteso.
Ne consegue, perciò, una seconda osservazione: chiedersi come la Chiesa possa compiere meglio la propria missione attraverso un più grande riconoscimento della dignità battesimale delle donne, dà per sottinteso il ritenere che nella Chiesa il livello del riconoscimento e della promozione della dignità battesimale delle donne sia grande.
Usare l’aggettivo comparativo significa minimizzare il disagio profondo e la sofferenza patita da tante donne a motivo della Chiesa, non assumere fino in fondo la responsabilità o la corresponsabilità rispetto a situazioni di discriminazione di genere dispiegate nella storia o intrecciate all’attualità, far finta che parole non siano state pronunciate, che abusi non siano stati denunciati.
Il Documento di Praga, sottoscritto al termine della tappa continentale europea del Sinodo lo scorso febbraio, riporta in modo esplicito al punto 2.6 (Prestare un’attenzione particolare alle famiglie, alle donne e ai giovani) queste parole:
Molte donne hanno comunicato il loro dolore per la negazione della loro partecipazione alla vita della Chiesa e hanno parlato di sentimenti di esclusione e discriminazione. Le donne svolgono un ruolo cruciale nella vita della Chiesa, ma molti uomini e donne hanno parlato di una Chiesa che «esclude» la pienezza dei doni delle donne.
Quattro righe. Poca cosa, si dirà. Ma, in un testo che fa sintesi di migliaia e migliaia di documenti, queste quattro righe pesano come macigni e chiamano con forza la Chiesa alla responsabilità del ripensamento di sé e del proprio agire.
Basta poco
Le parole che diciamo dicono chi siamo. Le nostre scelte linguistiche non sono mai neutre. Usare o non usare una parola, servirsi di una parola piuttosto che di un’altra, lascia tracce vive nel mondo. Con le parole trasmettiamo pensieri, i nostri pensieri vengono condizionati dalle parole – le parole che usiamo noi e quelle che vengono messe in circolo nei luoghi che abitiamo.
Sorvegliare il linguaggio è un dovere, oltre che un’occasione, preziosa come poche, per allargare i nostri spazi mentali e di interiorità. Che il «Cari fratelli» divenga sempre più spesso «Cari fratelli e sorelle» è già un piccolo segnale di attenzione e di consapevolezza rispetto all’orizzonte su cui si posa il nostro sguardo, un orizzonte che non possiamo continuare ad impacchettare in modo anòdino in un generico maschile sovraesteso.
Basta poco per iniziare a cambiare lo sguardo. Si comincia con lo scardinare lo stereotipo dei formulari, introducendo espressioni timidamente inclusive. E poi si continua, camminando sulla via di una sempre più fine, attenta e liberante consapevolezza.
Basta poco. Basta togliere due comparativi inutili e fuorvianti, che veicolano quasi impercettibilmente presunzione e supponenza, per liberare dai retropensieri una domanda e restituirle tutta l’onestà di un interrogativo davvero capace di mettersi in discussione.
Tolgo il meglio, e dichiaro che non può esserci una scala di valori nel seguire la strada di Gesù – una Chiesa che non assume fino in fondo la dignità battesimale delle donne non è Chiesa del Vangelo. Tolgo il maggiore, e riconosco il ritardo bimillenario rispetto al Maestro.
Non si tratta di fare operazioni di restyling o di promozione sociale per sentirsi al passo coi tempi. Si tratta di prendere coscienza e assumere, integra e intera, la responsabilità del fatto che, come nell’opzione per i poveri, anche nell’opzione per le donne è in gioco tutta la fedeltà della Chiesa a Cristo.
La questione è reale, annosa… ma il gioco di gradi aggettivali mi pare capzioso. Fare una cosa meglio non significa che adesso va bene: 2 è maggiore di 1, come 9 è maggiore di 8. In ogni caso è un passo in avanti, senza dare un voto alla realtà (siamo a 1 o 8? chissà chi lo sa…). Ed è ovvio che un documento sinodale auspichi il “meglio”.
Ad maiora!
Il cammino del riconoscimento del ruolo delle donne nella chiesa sarà ancora lungo e faticoso.
Davvero paradossale la loro marginalità se si pensa alla predilezione di Gesù per esse e alla loro particolare sequela. Sono donne quelle che permangono ai piedi della croce quando tutti i discepoli hanno abbandonato, ed è una donna la testimone della sua Resurrezione , quella a cui
viene affidato il compito di annunciare la lieta novella .
Quale continuità dunque fra Gesù e il Cristianesimo?
Io, appartenente al popolo, vedo quanto si è fatto nelle parrocchie perchè non ci fosse vera discussione, e quindi non ho grandi aspettative dalle votazioni in merito al diaconato femminile.. Nelle parrocchie dipende molto dal parroco, da come la pensa lui personalmente: poi e’ vero, la credibilità personale, l’espressione del proprio potere personale, coscienza e consapevolezza (in coerenza mente-cuore) dicendo onestamente e con chiarezza il proprio pensiero….si, forse il cammino è molto lungo e in forte salita..ma non bisogna disperare..Bisogna fare tutto il possibile a livello personale, e poi, mettere tutto nelle mani di Dio, perchè faccia il resto. Ricordo la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Io metto il mio poco, quello che posso, e lui lo amplifica e lo fa bastare.
Sono duemila anni che la chiesa non segue le indicazioni del Maestro sulla questione della parità fra i sessi (si, le parole sono importanti).
Sono sempre duemila gli anni durante i quali la chiesa ha oppresso i popoli nativi (forse un po’ meno di duemila ma comunque…).
Sono sempre duemila gli anni di persecuzione per omosessuali e lesbiche.
Insomma questa chiesa non serve a nulla.
Chiudiamola e facciamone una nuova sulla base di quel che pensiamo sia giusto e vero.
Questo è il punto.
Liquidare la vecchia chiesa e fondarne un’altra.
Vedremo se questa nuova dura quanto quella vecchia.
Che dire… GRAZIE!!!
Le donne che voteranno al Sinodo sono tutte stata “scelte” accuratamente e non rappresentano affatto un campione effettivo ma un gruppo particolare. E’ come se un uno studio medico invece di prendere un campione di popolazione a caso, si prendesse un gruppo con certe caratteristiche . Lo studio sarebbe inficiato fin dall’ inizio ,fin dalla metodologia.Mettiamo che queste 54 donne votino tutte per il diaconato femminile. Questo il giorno dopo verrebbe fatto passare con “le donne cattoliche vogliono il diaconato femmine” . Cio’ sarebbe un falso proprio perche’ il campione di donne non e’ preso a caso e non rappresenta affatto le ” donne cattoliche” .