Dal 5 al 12 febbraio si svolge, a Praga, la fase continentale europea in vista del Sinodo sulla sinodalità della Chiesa cattolica. Vi prendono parte 200 delegati in presenza e 390 collegati online. I lavori si sono aperti con una introduzione spirituale di Tomas Halík – qui in traduzione italiana.
All’inizio della loro storia, quando si chiedeva ai cristiani cosa ci fosse di nuovo nella loro pratica, se fosse una nuova religione o una nuova filosofia, essi rispondevano: è la via.
È la via di seguire colui che ha detto “Io sono la Via”. I cristiani sono tornati costantemente a questa visione nel corso della storia, soprattutto nei momenti di crisi.
Aperti allo Spirito di Dio
Il compito del Sinodo mondiale dei vescovi è l’anamnesi. Si tratta di ricordare, ravvivare e approfondire il carattere dinamico del cristianesimo. Il cristianesimo è stato la via all’inizio, e deve essere la via ora e per sempre. La Chiesa come comunione di pellegrini è un organismo vivente, ossia sempre aperto, in trasformazione ed evoluzione.
La sinodalità, un cammino comune (syn hodos), significa una costante apertura allo Spirito di Dio, attraverso il quale Cristo risorto e vivente vive e opera nella Chiesa. Il sinodo è un’opportunità per ascoltare insieme ciò che lo Spirito sta dicendo alle Chiese oggi.
Nei prossimi giorni rifletteremo insieme sui primi frutti del cammino per ravvivare il carattere sinodale della Chiesa nel nostro continente. Si tratta di una breve parte di un lungo cammino. Questo piccolo ma importante frammento dell’esperienza storica del cristianesimo europeo deve essere inserito in un contesto più ampio, nel variopinto mosaico del cristianesimo globale del futuro.
Dobbiamo dire in modo chiaro e comprensibile ciò che il cristianesimo europeo oggi vuole e può fare per rispondere alle gioie e alle speranze, al dolore e all’angoscia di tutto il nostro pianeta – questo pianeta che oggi è interconnesso in molti modi e, allo stesso tempo, è diviso e minacciato globalmente in molte forme.
Ci incontriamo in un paese con una storia religiosa drammatica. Essa comprende gli inizi della Riforma nel XIV secolo, le guerre religiose del XV e XVII secolo e la grave persecuzione della Chiesa nel XX secolo. Nelle carceri e nei campi di concentramento dell’hitlerismo e dello stalinismo, i cristiani hanno imparato l’ecumenismo pratico e il dialogo con i non credenti, la solidarietà, la condivisione, la povertà, la “scienza della croce”.
Questo paese ha subìto tre ondate di secolarizzazione come risultato dei cambiamenti socioculturali: una “secolarizzazione morbida” nella rapida transizione da una società agricola a una industriale; una secolarizzazione dura e violenta sotto il regime comunista; e un’altra “secolarizzazione morbida” nella transizione da società totalitaria a una fragile democrazia pluralista nell’era postmoderna. Sono proprio le trasformazioni, le crisi e le prove che ci sfidano a trovare nuovi percorsi e opportunità per una più profonda comprensione di ciò che è essenziale.
In cammino insieme all’umanità
Papa Benedetto, durante la visita a questo paese, ha espresso per la prima volta l’idea che la Chiesa debba, come il Tempio di Gerusalemme, formare un “cortile dei gentili”. Mentre le sette accettano solo coloro che sono pienamente osservanti e impegnati, la Chiesa deve mantenere uno spazio aperto per i cercatori spirituali, per coloro che, pur non identificandosi pienamente con i suoi insegnamenti e le sue pratiche, sentono comunque una certa vicinanza al cristianesimo.
Gesù ha dichiarato: “Chi non è contro di noi è con noi” (Mc 9,40). Ha messo in guardia i suoi discepoli dallo zelo dei rivoluzionari e degli inquisitori, davanti ai loro tentativi di pensarsi come angeli del Giudizio Universale e di separare troppo presto il grano dalla zizzania. Anche sant’Agostino sosteneva che molti di coloro che pensano di essere fuori sono, in realtà, dentro; e molti di coloro che reputano di essere dentro sono, in realtà, fuori.
La Chiesa è un mistero; sappiamo dove si trova la Chiesa, ma non sappiamo dove non si trova. Crediamo e confessiamo che la Chiesa è un mistero, un sacramento, un segno (signum) – un segno dell’unità di tutta l’umanità in Cristo. La Chiesa è un sacramento dinamico, è una via verso questa meta.
L’unificazione totale è un obiettivo escatologico che può essere pienamente realizzato solo alla fine della storia. Solo allora la Chiesa sarà completamente e perfettamente una, santa, cattolica e apostolica. Solo allora vedremo e rispecchieremo pienamente Dio, così come egli è.
Il compito della Chiesa è quello di mantenere il desiderio di questa meta sempre presente nei cuori umani e, allo stesso tempo, di resistere alla tentazione di considerare qualsiasi forma di Chiesa, qualsiasi stato della società, e qualsiasi stato della conoscenza religiosa, filosofica o scientifica, come definitivo e perfetto.
Dobbiamo sempre distinguere la forma concreta della Chiesa nella storia dalla sua forma escatologica; cioè, dobbiamo distinguere la Chiesa in cammino, la Chiesa che lotta (ecclesia militans), dalla Chiesa vittoriosa in cielo (ecclesia triumphans).
Considerare la Chiesa nel mezzo della storia come la perfetta ecclesia triumphans porta al trionfalismo, una pericolosa forma di idolatria. Inoltre, la ecclesia militans, se non resiste alla tentazione del trionfalismo, può diventare una peccaminosa istituzione militante.
Confessiamo con umiltà che ciò è accaduto ripetutamente nella storia del cristianesimo. Queste tragiche esperienze ci portano ora alla ferma convinzione che la missione della Chiesa sia quella di essere una fonte di ispirazione e trasformazione spirituale, nel pieno rispetto della libertà di coscienza di ogni persona umana e rifiutando qualsiasi uso della forza, qualsiasi forma di manipolazione.
Come il potere politico, anche l’influenza morale e l’autorità spirituale possono essere abusate, come ci hanno mostrato gli scandali degli abusi sessuali, psicologici, economici e spirituali nella Chiesa – in particolare l’abuso e lo sfruttamento dei più deboli e vulnerabili.
Quale missione?
Il compito permanente della Chiesa è la missione. La missione nel mondo di oggi non può essere una “riconquista”, un’espressione di nostalgia per un passato perduto, o un proselitismo, una manipolazione, un tentativo di spingere coloro che sono in ricerca entro i confini mentali e istituzionali esistenti della Chiesa. Al contrario, questi confini devono essere ampliati e arricchiti proprio dalle esperienze di costoro.
Se prendiamo sul serio il principio della sinodalità, allora la missione non può essere intesa come un processo unilaterale, ma piuttosto come un accompagnamento in uno spirito di dialogo, una ricerca di comprensione reciproca. La sinodalità è un processo di apprendimento in cui non solo insegniamo ma anche impariamo.
L’invito ad aprire il “cortile dei gentili” all’interno del tempio della Chiesa, per accogliere coloro che sono in ricerca, è stato un passo positivo sul cammino della sinodalità nello spirito del Concilio Vaticano II. Oggi, però, dobbiamo andare oltre. È successo qualcosa all’intera forma templare della Chiesa e non dobbiamo ignorarlo. Prima della sua elezione alla Sede di Pietro, il cardinale Bergoglio ha ricordato le parole della Scrittura: Gesù sta alla porta e bussa. Ma oggi, ha aggiunto, Gesù bussa dall’interno. Vuole uscire e noi dobbiamo seguirlo. Dobbiamo superare i nostri attuali confini mentali e istituzionali, per andare soprattutto verso i poveri, gli emarginati, i sofferenti. La Chiesa deve essere un ospedale da campo – questa idea di papa Francesco deve essere sviluppata ulteriormente. Un ospedale da campo deve avere il sostegno di una Chiesa che sia in grado di offrire una diagnosi competente (leggere i segni dei tempi); una prevenzione (rafforzare il sistema di immunità contro ideologie infettive come il populismo, il nazionalismo e il fondamentalismo); e una terapia e un recupero a lungo termine (compreso il processo di riconciliazione e di guarigione delle ferite dopo tempi di violenza e ingiustizia).
Per questo compito molto serio, la Chiesa ha urgentemente bisogno di alleati – il suo cammino deve essere condiviso, un cammino comune (syn hodos). Non dobbiamo avvicinarci agli altri con l’orgoglio e l’arroganza di chi possiede la verità. La verità è un libro che nessuno di noi ha ancora letto fino in fondo. Non siamo proprietari della verità, ma amanti della verità e amanti dell’unico a cui è permesso dire: “Io sono la Verità”.
Verità e spiritualità
Gesù non ha risposto alla domanda di Pilato con una teoria, un’ideologia o una definizione di verità. Ma ha testimoniato la verità che trascende tutte le dottrine e le ideologie; ha rivelato la verità che accade, che è viva e personale. Solo Gesù può dire: “Io sono la Verità”. E allo stesso tempo dice: “Io sono la via e la vita”.
Una verità che non fosse viva e non fosse una via sarebbe un’ideologia, una mera teoria. L’ortodossia deve essere combinata con l’ortoprassi – la giusta azione.
E non dobbiamo dimenticare la terza dimensione, più profonda, del vivere nella verità. Questa è l’ortopatia, la giusta passione, il desiderio, l’esperienza interiore – la spiritualità. È soprattutto attraverso la spiritualità – l’esperienza spirituale dei singoli credenti e di tutta la Chiesa – che lo Spirito ci introduce gradualmente all’interezza della verità. Questi tre elementi hanno bisogno l’uno dell’altro. Sebbene l’ortodossia (idee giuste) possa essere intellettualmente attraente, senza l’ortoprassi (azioni giuste) è inefficace e senza l’ortopatia (sentimenti giusti) è fredda, insensibile e superficiale.
La nuova evangelizzazione e la trasformazione sinodale della Chiesa e del mondo costituiscono un processo in cui dobbiamo imparare ad adorare Dio in modo nuovo e più profondo – in Spirito e verità.
Non dobbiamo temere che alcune forme di Chiesa stiano morendo: «Se il chicco di grano non cade in terra e non muore, rimane un singolo chicco. Ma se muore, porta molto frutto» (Gv 12,24).
Non dobbiamo cercare i vivi tra i morti. In ogni periodo della storia della Chiesa, dobbiamo esercitare l’arte del discernimento spirituale, distinguendo sull’albero della Chiesa i rami vivi e quelli secchi e morti.
Il trionfalismo, l’adorazione di un Dio morto, deve essere sostituito da un’umile ecclesiologia kenotica. La vita della Chiesa consiste nel partecipare al paradosso della Pasqua: il momento del dono di sé e dell’auto-trascendenza, la trasformazione della morte in risurrezione e vita nuova.
Con gli occhi della fede, possiamo vedere non solo il processo continuo della creazione (creatio continua). Nella storia – e soprattutto nella storia della Chiesa – possiamo anche vedere i processi continui di incarnazione (incarnatio continua), sofferenza (passio continua) e risurrezione (resurrectio continua).
L’esperienza pasquale della Chiesa nascente include la sorpresa che la risurrezione non è una rianimazione del passato, ma una trasformazione radicale. Si consideri che anche gli occhi di coloro che gli erano più vicini e più cari non hanno riconosciuto Gesù risorto. Maria Maddalena lo conosceva dalla voce, Tommaso dalle ferite, i pellegrini di Emmaus dallo spezzare del pane.
Anche oggi, una parte importante dell’esistenza cristiana è l’avventura di cercare il Cristo vivente, che viene a noi in molte forme sorprendenti, a volte anonime. Viene attraverso la porta chiusa della paura – e lo perdiamo quando ci chiudiamo nella paura. Viene a noi come voce che parla al nostro cuore – lo perdiamo se ci lasciamo assordare dal rumore delle ideologie e della pubblicità commerciale. Si mostra a noi nelle ferite del nostro mondo – se ignoriamo queste ferite, non abbiamo il diritto di dire con l’apostolo Tommaso: “Mio Signore e mio Dio”. Si mostra a noi come lo sconosciuto sulla strada di Emmaus – lo perderemo se non siamo disposti a spezzare il pane con gli altri, anche con gli sconosciuti.
Come “signum“, segno sacramentale, la Chiesa è simbolo di quella “fratellanza universale” che è la meta escatologica della storia della Chiesa, della storia dell’umanità e dell’intero processo della creazione. Crediamo e confessiamo che essa è un signum efficiens – uno strumento efficace di questo processo di unificazione. E, per realizzarlo, occorre coniugare contemplazione e azione. Richiede una “pazienza escatologica” con la santa inquietudine del cuore (inquietas cordis), che può finire solo tra le braccia di Dio alla fine dei tempi. La preghiera, l’adorazione, la celebrazione dell’eucaristia e l'”amore politico” sono elementi reciprocamente compatibili del processo di divinizzazione, la cristificazione del mondo.
La diaconia politica crea una cultura di vicinanza e solidarietà, di empatia e ospitalità, di rispetto reciproco. Costruisce ponti tra persone di popoli, culture e religioni diverse. Allo stesso tempo, la diaconia politica è anche un servizio di culto, parte di quella metanoia in cui la realtà umana e interpersonale viene trasformata, conferendole una qualità e una profondità divine.
Dopo la modernità
La Chiesa partecipa alla trasformazione del mondo soprattutto attraverso l’evangelizzazione, che è la sua missione principale. La fecondità dell’evangelizzazione sta nell’inculturazione, nell’incarnazione della fede in una cultura viva, nel modo in cui la gente pensa e vive. Il seme della Parola deve essere piantato in profondità in un buon terreno. L’evangelizzazione senza inculturazione è un mero indottrinamento superficiale.
Il cristianesimo europeo è stato considerato un esempio paradigmatico di inculturazione: diventando la forza dominante della civiltà europea. Gradualmente, però, sono emersi gli inconvenienti e le ombre di questo tipo di evangelizzazione. A partire dall’Illuminismo, abbiamo assistito in Europa a una certa “ex-culturazione” del cristianesimo, una secolarizzazione della cultura e della società.
Il processo di secolarizzazione non ha causato la scomparsa del cristianesimo, come alcuni si aspettavano, ma la sua trasformazione. Alcuni elementi del messaggio evangelico che erano stati trascurati dalla Chiesa durante la sua associazione con il potere politico sono stati incorporati nell’umanesimo secolare. Il Concilio Vaticano II ha cercato di porre fine alle “guerre culturali” tra cattolicesimo e modernità secolare e di integrare proprio questi valori (ad esempio, l’enfasi sulla libertà di coscienza) nell’insegnamento ufficiale della Chiesa attraverso il dialogo (Hans Urs von Balthasar ha parlato di “derubare gli egiziani”).
La prima frase della costituzione Gaudium et spes suona come una promessa di matrimonio: la Chiesa ha promesso all’uomo moderno amore, rispetto e fedeltà, solidarietà e ricettività davanti alle sue gioie e speranze, ai suoi dolori e angosce.
Tuttavia, questa cortesia non è stata molto ricambiata. All'”uomo moderno” la Chiesa sembrava una sposa troppo vecchia e poco attraente. Inoltre, la benevolenza della Chiesa verso la cultura moderna giungeva in un momento in cui la modernità stava per finire. La Rivoluzione culturale del 1968 è stata forse il culmine e la fine dell’epoca della modernità. Il 1969, anno in cui l’uomo ha messo piede sulla luna e l’invenzione del microprocessore ha inaugurato l’era di Internet, può essere visto come l’inizio simbolico di una nuova epoca postmoderna. Quest’epoca è stata caratterizzata in particolare dal paradosso della globalizzazione: da un lato, l’interconnessione quasi universale, dall’altro, la pluralità radicale.
Il lato oscuro della globalizzazione si sta mostrando oggi. Si pensi alla diffusione globale della violenza, dagli attacchi terroristici agli Stati Uniti nel 2001 al terrorismo di stato dell’imperialismo russo e all’attuale genocidio russo in Ucraina; alle pandemie di malattie infettive; alla distruzione dell’ambiente naturale; e alla distruzione del clima morale attraverso il populismo, le fake news, il nazionalismo, il radicalismo politico e il fondamentalismo religioso.
Teilhard de Chardin è stato uno dei primi profeti della globalizzazione, che ha definito “planetarizzazione”, riflettendo il suo posto nel contesto dello sviluppo complessivo del cosmo. Teilhard sosteneva che la fase culminante del processo di globalizzazione non sarebbe scaturita da un automatismo di sviluppo e di progresso, ma da una svolta consapevole e libera dell’umanità verso “un’unica forza che unisce senza distruggere”. Egli vedeva questa forza nell’amore come inteso nel Vangelo. L’amore è realizzazione di sé attraverso l’auto-trascendenza.
Credo che questo momento decisivo stia accadendo proprio ora e che la svolta del cristianesimo verso la sinodalità, la trasformazione della Chiesa in una comunità dinamica di pellegrini, possa avere un impatto sul destino dell’intera famiglia umana. Il rinnovamento sinodale può e deve essere un invito, un incoraggiamento e un’ispirazione per tutti a camminare insieme, a crescere e a maturare insieme.
Il cristianesimo europeo ha oggi il coraggio e l’energia spirituale per scongiurare la minaccia di uno “scontro di civiltà”, convertendo il processo di globalizzazione in un processo di comunicazione, condivisione e arricchimento reciproco, in una “civitas ecumenica”, una scuola di amore e “fratellanza universale”?
Quando la pandemia di coronavirus ha svuotato e chiuso le chiese, mi sono chiesto se questo “blocco” non fosse un avvertimento profetico. È questo l’aspetto che potrebbe avere presto l’Europa se il nostro cristianesimo non venisse rivitalizzato, se non comprendiamo ciò che “lo Spirito sta dicendo alle Chiese” oggi.
Una Chiesa che si lascia trasformare
Se la Chiesa deve contribuire alla trasformazione del mondo, deve essere essa stessa permanentemente trasformata: deve essere “ecclesia semper reformanda”. Se la riforma, un cambiamento di forma, ad esempio di alcune strutture istituzionali, deve portare buoni frutti, deve essere preceduta e accompagnata da una rivitalizzazione del “sistema circolatorio” del corpo della Chiesa – cioè la spiritualità. Non è possibile concentrarsi solo sui singoli organi e trascurare di curare ciò che li unisce e che infonde in loro Spirito e vita.
Molti “pescatori di uomini” oggi provano sentimenti simili a quelli dei pescatori galilei sulle rive del lago di Gennesaret quando incontrarono per la prima volta Gesù: «Abbiamo le mani e le reti vuote, abbiamo lavorato tutta la notte e non abbiamo preso nulla». In molti paesi d’Europa, chiese, monasteri e seminari sono vuoti o semivuoti.
Gesù ci dice la stessa cosa che disse ai pescatori esausti: «Provate di nuovo, andate negli abissi». Riprovare non significa ripetere i vecchi errori. Ci vuole perseveranza e coraggio per lasciare le secche e andare in profondità.
«Perché avete paura, non avete fede?» – chiede Gesù in tutte le tempeste e le crisi.
La fede è un viaggio coraggioso verso il profondo, un viaggio di trasformazione (metanoia) della Chiesa e del mondo, un viaggio comune (syn hodos) della sinodalità.
È un viaggio dalla paura paralizzante (paranoia) alla metanoia e alla pronoia, alla previsione, alla prudenza, al discernimento, all’apertura al futuro e alla ricettività alle sfide di Dio nei segni dei tempi.
Che il nostro incontro a Praga sia un passo coraggioso e benedetto in questo lungo e impegnativo cammino.
“Abbiamo le mani e le reti vuote, abbiamo lavorato tutta la notte e non abbiamo preso nulla”. In molti paesi d’Europa, chiese, monasteri e seminari sono vuoti o semivuoti.
Chiedo al sig. Tommaso: Se abbiamo chiese, monasteri e seminari vuoti o semivuoti, cosa deve fare la Chiesa secondo lei? Occorre ormai prendere decisioni!
La Chiesa, e non le Chiese, è aperta nel senso che accoglie a braccia aperte quanti, a seguito della predicazione, aderiscono alla vera Fede e iniziano un cammino di conversione abbandonando le pratiche malvagie che caratterizzano il Mondo (fornicazione, sodomia, ubriachezze ecc). La Chiesa non evolve e non si trasforma: la Verità è Gesù Cristo e ci è già stata rivelata per intero; “Voi siete la Luce del mondo”: la luce del farò è fissa e sempre uguale, affinché chi sta nelle tenebre e nell’ombra della morte possa orientarsi. Il compito che Gesù ci ha affidato non è dialogare con atei ed esponenti di altre religioni, sebbene possa capitare ogni tanto anche questo, ma “andate e annunciate il Vangelo… e battezzateli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Il cortile dei gentili non è il circolo dei filosofi di Atene che ascoltavano San Paolo “con la testa”, per puro piacere di conversare (non è uscito nulla di buono da quell’incontro), ma le catechesi per adulti, rivolte specialmente a coloro che sono lontani dalla Chiesa, “affinché si convertano e vivano”. Chi non si identifica pienamente con gli insegnamenti e le pratiche di Gesù non è “con noi”: difatti l’uomo di cui si parla in questo brano del Vangelo scaccia i demoni nel nome di Gesù e il Nome, per gli ebrei e in tutta la Bibbia, indica l’essenza profonda di una persona: è chiaro che quest’uomo aderisce pienamente alla fede in Gesù, pur non essendo della cerchia dei Dodici. La Verità che possediamo ci è stata rivelata da Dio stesso e tutta quanta, dobbiamo solo farla conoscere al Mondo, non arricchirlo con altri contributi di chicchessia; la volete capire? Non è un rapporto alla pari: la Chiesa deve insegnare, non farsi catechizzare dal Mondo che serve il diavolo! Gesù ha vinto il Mondo, non c’è sceso a patti! Nell’articolo ci sono tante belle parole, ma vuote di significato e spesso fuorvianti: si citano teologi in odore di eresia, si dice che l’obiettivo della Chiesa è la fratellanza universale quando Gesù ha detto che è non è venuto a portare la pace ma la spada, si spaccia la Chiesa per una ONG o un’organizzazione filantropica ecc. Sento puzza di protestantesimo.