Sono stati pubblicate, da parte della Conferenza episcopale italiana, le indicazioni metodologiche per il cammino sinodale delle nostra Chiesa, corredate da 5 schede esemplificative con cinque indirizzi: organismi di partecipazione diocesana, uffici diocesani, parrocchie, gruppi, voce di tutti.
L’interno delle schede ha il ritmo dell’ascoltare, del prendere la parola, del celebrare, dell’essere corresponsabili, del dialogare, del partecipare, del discernere e decidere, del formarsi alla sinodalità. Un lavoro sicuramente prezioso e dettagliato: per la verità, ha anche il sentore di una guida generica sui principi della prima fase preparatoria del Sinodo a livello locale.
Il rischio evidente è che questa fase preparatoria (la parola “cammino” è ripetuto fino all’ossessione) non arrivi al nodo della crisi che la cristianità del nostro paese sta attraversando.
Per le proposte si fa appello a due indicazioni altrettanto generiche: una umana – “il discernimento” –, l’altra spirituale – lo “Spirito del Signore” –.
La fase preparatoria ha senso se si riesce a enucleare le proposte per il futuro, dato per certo che la crisi è evidente: nella partecipazione ai sacramenti da parte dei fedeli, nella scarsità e invecchiamento del clero, nella funzione dei gruppi e dei religiosi, nelle strutture fisiche e organizzative delle parrocchie, nelle figure di guida delle diocesi, nel rifiuto della fede da parte di troppi battezzati.
È vero che, per la Chiesa, il principio “cardine” è la conversione: a condizione però che porti a cambiamenti. La conversione è un dono di Dio; è personale e nessuno può sottoporla a giudizio. Per l’azione della Chiesa occorrono indicazioni, esortazioni e leggi che possano aiutare la riforma.
La riflessione può essere riassunta in quattro grandi ambiti:
- la fede non è riferimento diffuso della vita delle persone
- la proposta pastorale è standardizzata e arida
- le strutture organizzative della Chiesa sono ferme da secoli
- la vita del clero rivela troppi scandali insopportabili.
La fede non è più riferimento di vita
La pandemia del Covid, al di la delle polemiche sui vaccini, ha dimostrato che non è concessa fiducia nemmeno alla scienza. Negli ultimi decenni tale fiducia è stata negata alla filosofia, all’economia, alla politica e, infine, alla fede e alla Chiesa. La crisi religiosa ha dunque radici allargate e profonde.
Il perché di tale sfiducia può essere ricondotto a tre fattori: il personalismo, la monetizzazione, la globalità.
La persona adulta moderna ha come obiettivo unico il proprio benessere: bene assoluto che prevede il benessere economico, affettivo e relazionale. Nessun altro, singolo o autorità, è autorizzato a indicare orientamenti e regole.
Esempi curiosi e significativi: il matrimonio è deciso da giovani eterosessuali quando e come vogliono, con o senza convivenza prematrimoniale; gli omosessuali lo richiedono come diritto da riconoscere. Conclusione: il matrimonio civile o religioso è a disposizione della propria decisione.
Simile atteggiamento per i vaccini: decido io se, come e quando lo richiedo; il problema dei morti, della trasmissibilità dell’epidemia non è un mio problema.
Altri esempi: le persone fragili fanno purtroppo parte della nostra società; occorre difendere chi ha più probabilità di vita e non disperdere risorse economiche. Per non parlare dei delitti, soprattutto femminicidi, in famiglia. Il possesso della persona, indice del mio benessere, non esclude il delitto di morte propria, di figli, di chi si è permessa/o di abbandonarmi.
La gratuità, il rispetto dell’altro, la comunità, la missione, il volontariato non sono ideali ammirati e condivisi. Auspicare il blocco navale per frenare l’arrivo dei migranti è l’apice della non fraternità.
Nell’ambito della fede il meccanismo è il medesimo: battezzare il neonato è ancora richiesto, con i padrini scelti tra amici e parenti, nella data offerta dal ristorante, con l’annotazione: “non siamo sposati”.
Per la morte del nonno chiedono la benedizione, una buona omelia, anche la messa per l’ottavario e il trigesimo. Pochi ricevono l’eucaristia, a differenza di qualche decennio fa quando moltissimi la ricevevano, come partecipazione al lutto.
Il sacramento della penitenza è diventato fantasma, riservato all’1-2 per mille degli scrupolosi.
Sono gradevoli le cerimonie-evento: messa alle 5 del mattino sulla spiaggia, pellegrinaggio alla Madonna di Loreto con cammino tutta la notte; benedizione personalizzata all’affresco della Madonnina del latte voluta bene.
La monetizzazione permea l’intera vita: per sopravvivere, per muoversi, per tenere relazioni, per divertirsi, per superare difficoltà, per ritrovare serenità. Per adulti, per adolescenti, addirittura per bambini, con 100 euro all’ora, gli specialisti provvederanno a fornire indicazioni.
Pomate, ginnastiche, profumi, borse e sciarpe per uomini e donne nasconderanno l’età che avanza.
La globalizzazione ha offerto l’occasione di conoscere il mondo, di sentirsi protagonisti alla pari di chiunque altro, anche se celebre o competente. È possibile esprimere la propria opinione su tutto: in anonimato, come hanno intuito Mark Zuckerberg & Compagni, inventando Facebook, Twitter, Instagram, TikTok… Sono io, con il mio pensiero: leggo e scrivo quel che voglio. Spulciando in rete, sicuramente ci sarà chi la pensa come me. Se sono furbo, asseconderò gli interlocutori con immagini e scritti per racimolare molti like, fino a diventare anche ricco.
In confronto, la parrocchia ho comprato i quattro ceri da accendere, uno per volta, nelle domeniche di Avvento in preparazione al Natale.
Nel frattempo, sta imponendosi un nuovo calendario mondiale, offerto dal Black Friday, allungato in settimane e mesi, per acquisti e sconti. La religiosità delle feste è un semplice dato storico.
La proposta pastorale è standardizzata e arida
La proposta pastorale è ancora deduttiva: la verità che procede dalla Scrittura, dalla tradizione e dal magistero è comunicata come evento di salvezza. L’abbiamo applicata a partire dall’infanzia fino alla morte: in quest’ultima circostanza leggiamo brani dell’Apocalisse. Le formule di verità, comunicate con la fede, non possono essere né disattese, tanto meno contraddette.
Eppure la parola sacra è una narrazione. Il Pentateuco, i libri storici, sapienziali e profetici del Vecchio Testamento, hanno raccontato di tutto e di più: vicende belliche, autorità, preghiere, invocazioni, preveggenze. Le parole del Signore erano rivolte ad ascoltatori per lo più agricoltori e pescatori. È stata utilizzata la forma della parabola perché tutti comprendessero. I padri della Chiesa hanno commentato, rafforzando i significati profondi delle parole trasmesse nelle Scritture.
Noi disponiamo di manuali che hanno concluso con formule composte e logiche, servendosi naturalmente delle culture durante le quali le stesse formule sono state elaborate. La distanza tra il Credo apostolico e il Catechismo della Chiesa cattolica è infinita: non è stata colmata, anzi si è accentuata.
I biblisti, nel loro preziosissimo lavoro, non possono fermarsi all’esegesi. Rischiano di diventare scribi, attenti alla parola e ai suoi significati di allora. Dovrebbero aiutarci a capire che cosa vogliono dire per il Natale, gli angeli, i magi, la stella: «La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio» scrive la Lettera agli Ebrei. È viva se si rivolge a me; efficace se arriva al mio cuore.
La teologia risente ancora della grandiosa sintesi tra la metafisica aristotelica e il messaggio cristiano, operata da san Tommaso. Furono allora definiti i concetti generali delle virtù, dei sacramenti, delle autorità nella Chiesa.
La confessione individuale ha avuto inizio nel VI secolo divulgata dai monaci irlandesi scesi in Francia.
San Tommaso è morto nel 1274: difficile farlo digerire nel XXI secolo.
Ogni timido tentativo di percorrere nuove vie di interpretazione viene esaminato nei dettagli, con molta prudenza. Non esiste nemmeno il tentativo di nuove letture del parlare di Dio.
La liturgia è immobile: 16 anni per cambiare un paio di frasi del Padre nostro e del Gloria a Dio. È trascritta la musica, cara ai monaci, del canto gregoriano.
La riforma recente, con il nuovo Messale, è la terza edizione del Messale di Paolo VI (1969): è stata introdotta la formula “fratelli e sorelle”, il Kyrie eleison, gli “amati dal Signore”, la “rugiada dello Spirito”, “presbiteri e diaconi”, la “cena dell’Agnello”…
La creatività di biblisti, teologi e liturgisti aiuterebbe ad accompagnare il nuovo mondo con linguaggio adeguato. Difficile che le assemblee sinodali siano in grado di suggerire metodologie e contenuti: sono temi in mano a pochi esperti prudenti, controllati e fuori dal mondo.
Le strutture organizzative della Chiesa sono ferme da secoli
Sono molti i problemi che affliggono le strutture fisiche e il personale dell’organizzazione della Chiesa.
Si ristruttureranno i confini delle diocesi? Senza una discussione ad iniziare dai vescovi titolari, è difficile che avvenga.
Due ipotesi da scegliere: tutelare gli ambiti delle città grandi e di quelle costiere o abbandonare i luoghi impervi dell’entroterra? Sarà interessante conoscere a che cosa porterà il “cammino sinodale”.
Per non affrontare il problema, sembra che la scelta, squisitamente clericale, sia quella di attendere la morte del titolare della diocesi da sopprimere. Così i titoli delle diocesi occupano un’intera riga. La diocesi di Macerata si scrive: diocesi di Macerata-Recanati-Tolentino-Cingoli-Treia: è salva la memoria storica e nient’altro.
Uguale problema si pone per i confini delle parrocchie. Abituati ad essere presiedute da un sacerdote, ora sono affidate ad un solo presbitero fino a cinque o più parrocchie.
Le messe quotidiane sono azzerate di fatto, per non averle soppresse, ritornando alla tradizione post-apostolica che si riuniva per la celebrazione eucaristica nel giorno del Signore. Con l’abbondanza del clero, dopo il Concilio di Trento, si arrivò a dotare le chiese di sei altari, oltre a quello centrale: celebravano pure in contemporanea. Così ogni volta si giustifica, anche teoricamente, l’abbondanza e la penuria.
La mancanza di vocazioni e l’invecchiamento del clero suggeriscono di metter mano ad una riorganizzazione strutturale. Per non parlare delle chiese vuote, che nessuno vuole, nemmeno in regalo: penserà il tempo a ridurle in rovina.
Il problema della scarsità del clero è stata attenuata con l’immissione di sacerdoti stranieri: dall’est Europa, soprattutto Polonia, Africa, Asia (India e Filippine). Sono stati collocati nello schema dei fidei donum. Per la verità, Pio XII, nel 1957 aveva esortato all’opera missionaria in terra di missione; ora siamo all’immissione da terre lontane. Nonostante le mille esortazioni, le vocazioni scarseggiano: probabilmente perché oggi farsi prete o religioso/a non desta nessun ideale. Sul diaconato femminile pesa la lettura storica maschilista dei ministeri.
Una riflessione seria andrebbe attivata per i tre poli di riferimento di evangelizzazione sul territorio: le parrocchie, i religiosi e le religiose , i movimenti consolidati e nascenti.
Problemi delicati e complessi: varrebbe la pena approfondire una “riforma sostanziale” a partire non dai soggetti evangelizzatori ma dai destinatari della missione.
Gli scandali insopportabili
Un ulteriore elemento di difficoltà e di sfiducia è alimentato dai gravi scandali di ecclesiastici riguardanti la castità e l’economia.
Non passa settimana che giornali, tv, video non presentino situazioni oggettivamente pesanti, fino ad arrivare alla pedofilia e al consumo di sostanze proibite.
Se i più fedeli tentano di difendere gli onesti, l’opinione pubblica non perdona. Il risultato è la non credibilità. Anche per argomenti che sfiorano il sacro, le persone di Chiesa non sono interpellate.
La campagna contro la Chiesa è dura e spietata, appena attenta alla figura del papa.
Nonostante le disposizioni per questi tipi di reato, non è stata fatta un’analisi approfondita del fenomeno. Non è più sufficiente vergognarsi e chiedere perdono. Probabilmente l’arrivare “dopo” gli scandali esplosi offre la sensazione che la copertura istituzionale continui ancora.
Domande che colpiscono le coscienze fino a sfiorare la stabilità della fede.
La riforma
Occorrono coraggio e fantasia per ripartire. La situazione va affrontata per com’è. La riforma del Concilio di Trento fu sospinta dalla separazione della Chiesa luterana. Oggi, essendo la crisi prolungata e vischiosa, solo la forza di voler bene spinge a migliorare le cose.
Il coinvolgimento sinodale aiuta perché apre alla discussione, alle proposte, anche ai dibatti su differenti opinioni: il rischio maggiore è che non si arrivi a misure concrete di cambiamento.
Oltre l’esigenza di una riforma generale per la Chiesa, è altrettanto urgente affrontare le questioni riguardanti l’Italia.
Non si facciano appelli incongrui, quali la conversione, il discernimento, lo Spirito. Appelli che, non avendo riscontri, risulterebbero vaghi. La responsabilità è di chi vive una determinata storia in un preciso territorio. La buona fede, ispirata certamente, deve indicare l’aiuto alla Chiesa che soffre.
È la preghiera di ogni buon cristiano.
Arrivare a proposte per il futuro presuppone un camminare insieme ben rodato, ma chi coinvolge chi? Chi è già dentro le strutture, laici compresi, pensiamo davvero che voglia aprirsi agli altri?
L’articolo da un simpatico quadro del reale, ma se ancora suscita la diatriba tra Vangelo e dottrina (termine inesistente in esso, se non in connotate traduzioni) siamo perduti. Eppure possiamo continuare a sognare la Chiesa perchè ai margini dei margini il Vangelo è ancora vivo e Cristo non è andato in vacanza!
Nella Chiesa italiana non si vuole fare nessun cambiamento perchè si pensa che con il tempo le cose cambino da sole. Sì le cose cambieranno ma in peggio, se non si interviene in tempo. La storia dimostra che la chiesa si muove a fare delle riforme solo quando avvengono situazioni esterne ma molto poco dall’interno. L’obiettivo di tutto ciò è quello di chiudersi in esigue fortezze con pochi preti e fedeli che difendono strenuamente la dottrina tradizionale senza interessarsi della realtà circostante. Si vuole un cristianesimo di una elite eletta che non vuole seguire il vangelo. Per capolvegere questo schema bisogna prendere come modello il Cristo Buon Samaritano e la chiesa deve diventare un ospedale da campo.
‘Si vuole un cristianesimo di una elite eletta che non vuole seguire il vangelo’
mi sembra che da questa affermazioe venga fuori il gravissimo problema di certa mentalità presente in molti sostenitori della ‘Chiesa come ospedale da campo’: volere una Chiesa che abbia come comandamento centrale la missione ad gentes e la cura del fratello più debole, una Chiesa che si apre, accoglie e cura il fratello anche più lontano dalla fede, ma allo stesso tempo disprezzare coloro che sono già dentro la ‘struttura’ e sono anch’essi feriti e bisognosi di cure, accusandoli di esseri finti cristiani, ipocriti, elitisti etc (tranne loro ovviamente)
ambè, se la faccenda è così più che un ospedale volete un cadavere in putrefazione, perchè molti dei suoi membri a forza di insulti ripetuti si danno alla macchia o cercano alternative e alla fine mancano gli operai per la messe
Perchè quando si parla di vangelo a qualcuno viene l’orticaria o il mal di pancia e quando si parla di dottrina tutto va bene? Bisogna meditare, pregare e vivere secondo le possibilità di ciascuno tutto il vangelo senza selezionarlo o manipolarlo in base ad una o un’altra dottrina o visioni politiche, perchè se lo si fa il cristianesimo diventa una ideologia. Se si ferma a leggere il vangelo quando parla di famiglia ma quando il vangelo, come quello di oggi, parla di giustizia e carità per preparare la venuta di Cristo allora il vangelo non va più bene. Un certo cristianesimo non vuole seguire il vangelo per intero e ciò non mi meraviglia. Quando Gesù faceva discorsi troppo difficili le persone se ne andava.
Il Vangelo rimane la stella polare e la dottrina serve per spiegare il vangelo e non per occultarlo. Il Vangelo è la Parola più potente che Dio ci ha dato e tutti hanno cercato occultarlo atei, laicisti, massoni, preti, vescovi cardinali, papi ma nessuno ci è riuscito. Io non sarei cristiano se non potessi bere all’acqua sorgiva del Vangelo.
sinceramente il 90+% delle omelie che sentono trattano temi sociali o comportamentali, almeno per una loro parte consistente. le omelie puramente dottrinali sono roba rara.
comunque la contrapposizione che fa tra dottrina e Vangelo è falsa, visto che i vangeli è stato scritto per esporre quello che la Chiesa dei primi cristiani credeva e viveva, e quindi la loro dottrina
Infatti c’è molta distanza tra ciò che pensavano le prime comunità cristiane e l’attuale chiesa la cui struttura, organizzazione e dottrina ha origine medievale. Anche per questo che dopo San Francesco il vangelo non poteva essere più letto dai fedeli e dobbiamo dire che solo con il Concilio Vaticano II (Dei Verbum) la Chiesa ha rimesso il vangelo tra le mani dei fedeli.
nelle prime comunità cristiane i pubblici peccatori non li facevano neanche partecipare alle Eucarestie, quindi ringrazi che la Chiesa medievale ha addolcito la disciplina invece di sparare balle storiche
Non ho capito se da parte dei vescovi esiste una consapevolezza della gravità del problema oppure si usano volontariamente dei pannicelli caldi come il sinodo per l’Italia per non scavare più a fondo e non guardare la verità della scristianizzazione dell’occidente con un occhio profetico
Il pensiero espresso in questo articolo è molto condivisibile. C’è anche da dire, non so se come aggravante, come la riforma della Curia romana, che sembrava dovesse partire, ora sembra arenata. Questa riforma, se implementata, darebbe il via ad una più complessiva e generale riforma della Chiesa. Stupisce comunque l’inerzia dei vescovi (italiani sicuro, fuori dall’Italia non saprei) ad avviare – e ancora prima a pensare!!!!! – una riforma della propria chiesa locale. Tutto sembra concentrato su unità pastorali sì/unità pastorali no. Se i vescovi non percepiscono l’urgenza di dare nuova forma alla propria Chiesa … siamo messi veramente male, al di là del verbalismo. Come una nuova non fa tempesta – per citare un proverbio -, un sinodo non è riforma della Chiesa, anche perché alcune evidenze, come detto nell’articolo, già ci sono… cosa aspettare?
Forse unica nota stonata dell’articolo è una mancata percezione dell’assenza di un laicato in grado di rispondere alla sfida della riforma della Chiesa. Questo anche a motivo del fatto che un laico/una laica viene considerato/a inferiore, un subalterno. Basta vedere come viene qualificato nel codice di diritto canonico rispetto ai vescovi/presbiteri. Occorrerebbe che si rileggesse con più attenzione “Cordula, ovvero il caso serio” di Balthasar!!!