Prosegue con questa VI puntata la rubrica «Verso il Sinodo sui giovani», firmata da don Armando Matteo per la rivista Vita pastorale, che ringraziamo per il consenso a riprendere questo appuntamento mensile anche su Settimana News. Di seguito si trovano gli interventi finora pubblicati: Crescere in una società senza adulti /1; Se credere non è più di moda /2; Ripartire dagli adulti/3; La vocazione all’adultità /4; La domenica al centro /5.
Il quarto principio della pastorale giovanile vocazionale ci viene suggerito da un’incisiva considerazione di papa Francesco: «Negli ultimi decenni, si è prodotta una rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico». E sulle possibili di questa rottura indica l’aumento di «genitori che non battezzano i figli e non insegnano loro a pregare» (EG 70).
Su questo terreno c’è molto da lavorare. Si tratta di prendere consapevolezza che un tale mancata iniziazione dei piccoli all’esperienza della preghiera non riguarda più solo qualche rara famiglia. La nuova configurazione mentale che gli adulti di oggi hanno assunto, sempre più spesso fa sì che essi stessi abbiano marginalizzato l’esperienza del credere e del pregare nella loro esistenza. Di conseguenza, non hanno potuto offrire alcuna concreta testimonianza ai loro “cuccioli”. È giunta l’ora, perciò, in cui si smetta, all’interno delle comunità, di lamentarsi del fatto che i bambini non conoscano neppure l’Ave Maria o il Padre nostro. Il punto è che essi più radicalmente non sono stati introdotti alla preghiera.
Sotto questo profilo, non ci potrà più essere esperienza di Chiesa rivolta al mondo dei ragazzi e dei giovani che non intercetti tale lacuna. Ciò comporta l’invenzione di spazi e di tempi esplicitamente dedicati a trasferire alle nuove generazioni l’arte ed il gesto della preghiera. La stessa vita di comunità deve trasferire un’identità profonda di casa e scuola di preghiera. La Chiesa, insomma, non può più restare un luogo dove si prega. Deve assumere anche la forma di un luogo ove si apprende a pregare.
Lo stesso papa Francesco, a riguardo della crisi nella trasmissione della fede, elenca pure la mancata creazione, da parte degli operatori pastorali, di una «adesione mistica della fede» all’interno degli spazi ecclesiali. Ed è questa, in verità, la preghiera che oggi manca alle nuove generazioni. Manca loro un’adesione al mistero vivente dell’amore di Dio Padre, che il vangelo di Gesù sempre manifesta e che lo Spirito concede ad ogni credente.
Ebbene, come non interrogarsi a questo punto su come oggi le comunità pregano? Quale sacerdote non si è già accorto del fatto che sono tanti coloro che hanno perso memoria delle più elementari risposte dalla liturgia? Quale sacerdote non si è già accorto che, solo raramente, l’assemblea è in grado di partecipare coralmente al canto che è parte integrante della celebrazione? Quale sacerdote non ha già ricevuto come risposta al momento della comunione, al posto del previsto Amen, un convinto Grazie?
Insegnare a pregare passa anche dalla corretta manutenzione di questi spazi liturgici comunitari. E dalla riconquistata convinzione che la prima forma di espressione della fede è la preghiera. Credere è pregare. Così come pregare è credere. Entrambe presuppongono, infatti, il duplice riconoscimento sia della propria condizione di vita precaria, sia della presenza di un Padre che conosce persino il numero dei nostri capelli. A lui, perciò, possiamo rivolgerci con immensa fiducia e amore.