Da un po’ di tempo la Chiesa ha scoperto un nuovo aggettivo di cui pare non possa più fare a meno: sinodale! Questa parola svolge la medesima funzione del prezzemolo in cucina e la si incontra praticamente ovunque; fa coppia fissa con termini quali «cammino, progetto, stile, gruppo, modello, commissione».
Un lungo processo
Non c’è dubbio che si tratti di espressioni dense di significato, ma a ben guardare siamo di fronte alla (ri)scoperta dell’acqua calda, perché la sinodalità vale a dire il «fare strada insieme», pur essendo una delle dimensioni più spesso invocate e una delle dichiarazioni di intenti più affermate nella Chiesa di oggi, non è un attributo opzionale della comunità cristiana in tutte le sue sfaccettature, ma ne è un elemento fondamentale. O la Chiesa è costitutivamente sinodale, oppure non è. Punto!
Certo, si fa presto a condire i discorsi ecclesiali con la parola sinodalità, ma a ben guardare la sinodalità non è cosa da poco, perché richiede un lungo processo di costruzione, caratterizzato da pazienza, costanza, allenamento, preghiera, fatica, speranza. In una parola, la sinodalità necessita di quella perseveranza di cui ci parlano gli Atti degli apostoli alla fine del secondo capitolo.
«Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (At 2,42-47).
Alla luce di questi versetti mi sento di dire che l’essere perseveranti è il primo passo per costruire una sinodalità autentica, capace di andare oltre le mode e gli slogan del momento. E la perseveranza deve tenere conto di una serie di altri atteggiamenti che la completano e la chiariscono: la pazienza, la costanza, la continuità, l’ordinarietà, la normalità. Senza queste attenzioni temo che la perseveranza – e di conseguenza la sinodalità – rischi di fare la fine di un fuoco di paglia che si accende in fretta e altrettanto in fretta si spegne.
Camminare insieme
Scusate il gioco di parole, ma, non basta convocare un Sinodo sulla sinodalità perché, quasi per magia, la Chiesa si riscopra sinodale. In altri termini, la sinodalità non va solo evocata, quasi fosse una specie di deus ex machina per risolvere le situazioni più ingarbugliate, ma va voluta, pensata e costruita giorno dopo giorno.
Luca, l’autore degli Atti, ci dice che i primi cristiani «erano perseveranti» in molte circostanze, cioè ce la mettevano tutta, senza perdersi d’animo, senza scoraggiarsi, senza ritirarsi, nonostante le difficoltà, le prove, la fatica e perfino nonostante certe persone e certe situazioni.
Chiediamoci un po’ come siamo messi noi a perseveranza; domandiamoci se siamo capaci di perseverare o se invece siamo vinti dalla tentazione di mollare tutto, di criticare ogni cosa, di remare contro solo per il gusto di andare controcorrente o di cantare fuori dal coro anche se siamo stonati. Diciamocelo: non è per nulla facile essere sinodali, camminare insieme accettando e rispettando il passo sia di chi è più lento, sia di chi procede più spedito; per motivi diversi ogni tanto ci innervosiscono tanto l’uno quanto l’altro.
Essere Chiesa sinodale non vuol dire marciare allo stesso passo, sulla stessa strada, nello stesso tempo, ma significa piuttosto muoversi con perseveranza verso una meta condivisa incoraggiati dalla presenza di quell’orizzonte comune che si chiama Dio.
Date spazio anche a voci fuori dal coro, ai cosiddetti “lontani”, senza preclusioni. Per esempio ho letto e riletto il breve contributo della Comunità cristiana di base di San Paolo (Roma, 13 febbraio 2022): superate le prime due pagine, i temi che vengono a galla sono pressanti e non più rinviabili, rientrano a pieno titolo nel secolare ritardo denunciato dal card. Martini, vanno affrontati, non aggirati!
Se poi capissimo verso quale meta forse saremmo ancora più sinodali…