La tua differenza è la mia ricchezza

di:
spezie

Foto di Peter H da Pixabay

Il cammino sinodale ci ricorda sì, che siamo in cammino, ma che partiamo ognuno da una posizione particolare. Anzi, particolarissima. Come esseri umani siamo degli esseri «situati», collocati in uno spazio e un tempo particolari. Siamo frutto originale della nostra cultura, l’humus in cui siamo nati e cresciuti, e ci ha educato a uno sguardo particolare sul mondo. E non solo. Anche su realtà come la vita, l’amore, la morte, il tempo, l’educazione …

Siamo, infatti, degli essere concreti, incarnati in un mondo particolare. Con un modo particolare di vivere la nostra comune umanità. Anche se spesso pretese universali o totalizzanti cercano di sedurci e di imprigionarci. Una inconscia volontà di onnipotenza, sempre in agguato. Così, con i piedi per terra e uno sguardo particolare, il nostro punto di vista, affrontiamo l’esistenza, nella complessità degli sguardi incrociati degli altri. Per questo il cammino sinodale si rivela prezioso, fecondo. Mette insieme i più differenti punti di vista.

Punti di vista

L’esperimento di una Università americana si rivela a questo proposito interessante. Su in lungo tavolo vengono posti due bambini, uno a un capo e uno ad un altro, separando il loro sguardo da uno schermo. Di fronte al primo viene posta una bambola, davanti all’altro una mela. Si domanda al primo cosa vede: «una bambola», la risposta sicura. E l’altro, cosa vede? si domanda sempre a lui: «una bambola». Stessa cosa vale per l’altro, che alla doppia domanda risponderà sempre «una mela». Pare, infatti, che attorno ai due anni quello che si vede si creda vedano pure gli altri.

Ora, diventando adulti si resta a volte… a quella fase infantile. E non solo si pensa, ma si pretende che gli altri vedano le stesse cose, allo stesso modo. Dimenticando che ogni essere ha un suo punto di vista specifico.

Ricordo la parabola di un vecchio professore. Una città si osserva da tre punti di vista essenziali: da dentro, da fuori, dall’alto. Essi sono tutti ugualmente importanti. Non ci si dovrà ridurre, pertanto, a un unico sguardo anche se all’interno stesso delle cose o nel cuore della situazione. Altri punti di osservazione si rivelano interessanti, stimolanti. Anzi complementari. L’alterità di un altro sguardo farà crescere il vostro in sintesi, in complessità e in apertura di orizzonte.

In questo modo si impara a declinare una splendida, difficile verità: «La tua differenza è la mia ricchezza». E ciò sarà come la forza di un atomo, l’energia che sconvolgerà ogni sistema, ogni chiusura e ogni sicurezza identitaria. Siamo, infatti, abituati a ripetere dentro di noi: la tua differenza mi fa paura e, in fondo, non la tollero!

Come ad Emmaus

Sì, perché perfino uno sguardo da fuori si rivela interessante. A volte, esso legge meglio la situazione di chi la vive dal di dentro, trovandosi come immerso, imprigionato. In fondo, ogni realtà può essere vista da questi tre punti. Da dentro per capirne la struttura, da fuori per vederne la sua grandezza o meno,  da sopra per scoprirne il senso.

Come per una città, il punto di vista dall’alto ne scopre il perché, il suo senso: sorta su un monte per la sua difesa, in un anfratto, su una costa, su uno sperone di roccia o lungo la riva di un fiume per la sua mobilità. Comporre questi sguardi diversi sa sempre di miracolo. Esattamente come saper accogliere il punto di vista differente di altre persone.

E questo avvenne proprio sul cammino di Emmaus. Due discepoli in fuga incontravano sul loro cammino un altro sguardo sugli ultimi avvenimenti. Quello di uno straniero. L’inclusione di esso cambiò il loro stesso passo: da passo di morte e di nostalgia in un passo di danza. La parola si fece di fuoco. Il cuore si incendiò. L’ascolto curioso ed entusiasta. E si misero a correre, invertendo la direzione, verso Gerusalemme, verso la comunità. In piena notte: nessun pericolo ormai li avrebbe fermati.

Era la forza travolgente dello sguardo di uno straniero. Un vero soprassalto di vita. Un autentico cammino sinodale. Da allora, ogni straniero accolto prenderà il nome di Cristo.

Renato Zilio è missionario in Marocco

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