Nel Sinodo un’idea di futuro

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Il cammino sinodale finora ha messo in moto un grande lavoro di discernimento comunitario attivato a vari livelli: quello dal centro-diocesi con espansione nelle singole comunità e nelle vicarie a livello interparrocchiale, vedendo riuniti i cristiani credenti delle comunità parrocchiali e i membri di varie associazioni e realtà ecclesiali, impegnati nel dialogo e in un serio e sereno confronto che ha saputo superare le piccole problematiche per aprirsi verso orizzonti più ampi, come hanno dimostrato i Cantieri di Betania, con un’apertura ad ampio spettro su problematiche sociali, ambientali oltre a quelle strettamente ecclesiali concernenti la vita interna, nella logica della GS e del magistero di papa Francesco.

La Chiesa si è interrogata su sé stessa non per narcisismo e per fare opera di maquillage, ma per superare l’autoreferenzialità che è guardarsi allo specchio. L’autoreferenzialità è una malattia: la mia parrocchia, il mio gruppo, la mia associazione. Una sorta di neoclericalismo di difesa. Siamo invece chiamati ad accogliere le inquietudini della storia e a lasciarci interrogare, a portarle davanti a Dio, «a immergerle nella Pasqua di Cristo» (papa Francesco).

“Perché il mondo creda”

Ci si è posto il problema ricorrente della riforma della Chiesa, perché essa sia effettivamente «un segno efficace dell’unità a cui tutta l’umanità è chiamata, uno strumento di riconciliazione e di guarigione dalle ferite del nostro mondo comune, non certo per rendere il cristianesimo più potente e influente in questo mondo, ma per renderlo credibile, perché il mondo creda» (T. Halík).

Questa efficacia è resa possibile dall’azione dello Spirito, ma anche dall’impegno concreto per il prossimo a imitazione dell’attenzione e dell’azione concreta di Gesù Cristo per i poveri, i malati, gli esclusi a causa delle barriere e dei pregiudizi creati dagli uomini.

La Chiesa non è chiamata a fare solo diagnosi e pronunciamenti, ma a tradurli in fatti concreti per mezzo dei singoli e della variegata costellazione di presenze operanti a vari livelli istituzionali e di volontariato: Santa Sede, Caritas, Comunità Sant’Egidio…

Rahner, che per il Sinodo della Chiesa tedesca del 1974 aveva scritto Trasformazione strutturale della Chiesa come compito e come chance, avrebbe gioito nel vedere il lavoro svolto dal popolo di Dio e confluito nell’Instrumentum laboris.

Egli 43 anni fa si chiedeva come sarebbe stata la Chiesa nel 2200. Sentiamo come rivolto a noi il suo interrogativo, visto che comunque siamo nel quinto lustro del terzo millennio.

Già da allora egli esortava a trovare nuove vie aperte al futuro: «Nella Chiesa non ci può e dev’essere una strategia globale della pastorale che guardi più avanti di quanto si facesse prima?» (Saggi X, pag. 205).

Non mancano al riguardo riflessioni, visioni e passi concreti che si sforzano di trovare nuovi sentieri. Penso ai tentativi di rinnovare la teologia, il volto della parrocchia e di trovare nuove forme di presenza dei battezzati in essa e più in generale nella Chiesa.

Papa Francesco, con i ministeri istituiti, sta spingendo in questa direzione.

Se è vero che la parrocchia ideale è quella in cui, ipotizzando una prolungata e motivata assenza del parroco, non si verifica una sorta di paralisi, bensì una continuità nell’azione pastorale sostenuta dai laici che si assumono la responsabilità della comunità, così è auspicabile che debba avvenire nel futuro, salva ovviamente la presenza del presbitero coordinatore che, col suo carisma sappia orientare quelli dei fedeli in un cammino aderente ai suggerimenti dello Spirito di fronte ad un mondo che cambia e che ha e avrà comunque bisogno dell’annuncio sempre attuale del Vangelo.

Il futuro sta nelle origini: come la Chiesa nascente si interrogava sul suo presente aprendo nuove prospettive nell’ascolto dello Spirito e dei fratelli, così sta avvenendo ora e dovrà sempre avvenire nel futuro.

È però necessario tener presente che i tentativi di proporre un cristianesimo originario sono spesso la proiezione di ideali personali sulla storia, interpretazioni storicamente condizionate che, per quanto possano essere molto preziose, non dovrebbero essere intese come tentativi di ricostruzione di un cristianesimo puro, destrutturato, “nudo”.

Stiamo muovendo comunque i primi timidi passi verso il futuro che, al momento, è il terzo assente, a confronto con un presente ben determinato e la necessità di un suo superamento guidato, orientato da una riflessione pastorale supportata dalla riflessione dei teologi, dal magistero e dettato dall’evolversi delle situazioni che imporranno il superamento e un passo in avanti nella logica che «la realtà è superiore all’idea», liberandoci gradualmente da impacci rappresentati da richieste e prassi frutto di inerzia.

Bisogna arrampicarsi sulle spalle dei giganti per vedere oltre. Non mancano e non mancheranno nella Chiesa quelli che sanno vedere ben oltre lo status quo.

I teologi sul futuro della Chiesa

Karl Rahner così immaginava il futuro: «Nel 2200 la Chiesa apparirà e apparirà necessariamente nel suo aspetto empirico-fenomenico molto diversa da quella cui siamo oggi abituati. Tale immagine fenomenica futura sarà solo e unicamente qualcosa che le sopravviverà senza aver posto dei problemi e senza aver riflettuto al riguardo, qualcosa che “capiterà”

solo a piccoli passi…, così come la Chiesa del feudalesimo medievale è succeduta alla Chiesa dei Padri. Il laicato acquisterà necessariamente un’autonomia, un potere e un’importanza maggiore di quella che ha adesso. Nella comunità di base i laici diventeranno in larga misura i protagonisti della vita della Chiesa» (Saggi X, 223-24).

Papa Francesco si muove in questa direzione quando fa capire ai cristiani che non devono aspettarsi che nella Chiesa tutto debba essere deciso con le ultime direttive su ogni questione.

«Dove un credente assolve il suo compito di cristiano nella famiglia e nella vita pubblica profana, lasciandosi guidare da una motivazione profondamente cristiana, lì la Chiesa vive e prende decisioni in cose molto spesso forse più importanti di quelle direttamente accessibili all’autorità ecclesiale… Noi cristiani abbiamo nella Chiesa compiti sia verso di essa, sia verso il mondo, verso la vita pubblica profana e verso la società, che dobbiamo assolvere come portatori della Chiesa» (K. Rahner, ivi).

Uno spirito aperto sa anche capire come il carisma della guida stia comunque facendo progredire la comunità cristiana proprio con l’intuizione (2015) e la realizzazione di un Sinodo universale sulla Chiesa. Basti pensare all’intuizione e alla realizzazione del Concilio Vaticano II ad opera di papa Giovanni XXIII.

Tuttavia, resta il fatto che – come afferma Tomáš Halík – «il servizio di maggior valore per la credibilità e la vitalità della fede sarà nell’azione di quei cristiani che avranno il coraggio di uscire dagli attuali confini mentali e istituzionali della Chiesa tradizionale, che sapranno, secondo l’esempio di san Paolo, farsi “tutto per tutti” e, come cercatori tra gli altri, si incammineranno su una nuova via». (Pomeriggio del cristianesimo. Il coraggio di cambiare).

Rimangono, al riguardo, sempre attuali le parole di Severino Dianich: «La Chiesa, prima ancora di conoscersi nei suoi preti, nei suoi catechisti, nei suoi religiosi, nei suoi soci di Azione cattolica, nei membri di associazioni e di movimenti impegnati in particolari attività, si riconosca operosa nell’esistenza di fede dei suoi sposi, dei suoi avvocati, delle sue casalinghe, dei suoi studenti, dei suoi infermieri, dei suoi politici, dei suoi sindacalisti, dei suoi contadini. Tutti costoro, per realizzare la missione della Chiesa, non hanno bisogno di qualifiche ulteriori, né di fare qualcosa di diverso da quello che fanno, ma solo di farlo nella sequela di Cristo» (in Aa.Vv., Dossier sui laici, Queriniana, Brescia1987, pag. 146).

Dentro la società 

Madeleine Delbrêl, la grande missionaria delle “periferie”, descriveva lo stile del cristiano immerso nella società non come un semplice «esserci», ma come testimonianza tangibile di una novità di vita che inserisce con semplicità un valore così trascendente com’è la fede nella vita di tutti i giorni, in modo da suscitare interrogativi nelle coscienze.

«Di fronte alla scristianizzazione egli [il credente] spesso lotta contro fatti ed eventi nuovi perché la fede dove c’è duri: e appare come un uomo dal passato. Al contrario, di fronte all’ateismo il cristiano credente pone con la sua vita proprio perché credente, un’ipotesi vivente di Dio là stesso dove non c’è più ipotesi di Dio. La sua fede in Dio è per questo mondo nuovo un fenomeno ancora più nuovo. Il cristiano è per i fratelli un uomo che ama le cose del mondo nel loro valore e nella loro realtà, ma è anche un uomo che preferisce a tutte queste cose il Dio di cui è credente. La sua preferenza lo conduce a certe scelte. Lo si vede così scegliere un Dio invisibile. Queste scelte propongono al mondo un interrogativo su ciò che oltrepassa il mondo» (Delbrêl, Noi, delle strade, p. 204).

La parrocchia dovrà quindi necessariamente essere, oltre che luogo di accoglienza per tutti, anche un centro di formazione dei battezzati ad una spiritualità ben fondata teologicamente e aperta al rinnovamento; persone capaci di dialogare, con serietà e serenità con l’uomo e la donna di oggi parlando la lingua di Dio nella lingua di cui è fatta l’esperienza umana. Non esiste d’altronde una parola cristiana che non contenga un’ispirazione per ripensare a fondo le cose degli uomini.

Bisogna però formare cristiani credenti liberi dai fardelli della bigotteria, della credulità e di un senso di appartenenza morboso che rasenta la patologia e che serve solo a squalificare il cristianesimo di fronte ad una società secolarizzata.

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3 Commenti

  1. Mauro Mazzoldi 13 dicembre 2023
    • Gian Luca 13 dicembre 2023
  2. Fabio Cittadini 13 dicembre 2023

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