La rubrica curata da don Armando Matteo per la rivista Vita pastorale, che ci ha accompagnato in questi mesi di preparazione, prosegue per qualche puntata anche dopo la celebrazione del Sinodo. Di seguito gli interventi finora pubblicati: Crescere in una società senza adulti /1; Se credere non è più di moda /2; Ripartire dagli adulti /3; La vocazione all’adultità /4; La domenica al centro /5; Insegna a pregare /6; Credi di più nella Bibbia /7; Una fede a schemi non funziona più /8; Sacramenti e solidarietà /9; Scommettere sulla creatività digitale /10; A scuola dai monaci /11.
Giungiamo così all’ultimo principio del decalogo di pastorale giovanile vocazionale, che esprimo con le parole del teologo Jürgen Moltmann: «Nella fine, l’inizio». Nel contesto attuale, infatti, il lavoro che ci attende con i giovani non può più dare per scontato quale sia l’esito finale del suo processo: ovvero che cosa significa, in maniera sufficientemente concreta, aiutare i giovani a diventare “adulti che credono”.
Veniamo da tempi in cui la vita adulta, alla quale i giovani sono naturalmente proiettati, godeva di una sorta di autoregolamentazione sotto quasi ogni suo aspetto. Sino a pochi anni fa, per esempio, la vita dei maschi era fortemente confrontata con una speranza di vita media piuttosto scarsa. E questo imprimeva in loro pure un accentuato atteggiamento di moderatezza e sobrietà. Come a dire che la coscienza della propria piuttosto precoce mortalità era una qualche premessa di una certa moralità.
La vita della donne, invece, era così oberata dai tanti impegni domestici che non vi era quasi spazio per altro. Si pensi semplicemente a che cosa è stata l’esistenza di tante donne senza l’ausilio di una lavatrice e dei tanti elettrodomestici che oggi facilitano ogni faccenda domestica. E poi c’erano i figli, i tanti figli, spesso nati a pochi anni di distanza l’uno dall’altro, ad assorbire le restanti energie delle loro mamme.
Così, si capisce bene che il lavoro pastorale del passato con gli adolescenti e i giovani poteva facilmente limitarsi ad aiutare questi ultimi ad entrare nella condizione adulta con un spirito di prontezza e di disponibilità al sacrificio.
Oggi, ci troviamo da tutt’altra parte. Niente è così cambiato come la vita degli adulti. E questo è certamente una benedizione. Abbiamo vite più lunghe, un benessere medio mai sperimentato, elettrodomestici che ci dispensano da tanto lavoro materiale, offrendoci più tempo per noi stessi. L’orizzonte valoriale attuale è poi sconfinato e non ci sono più istanze morali che abbiamo un valore vincolante per tutti. Come, dunque, affrontare oggi l’ingresso nell’età adulta cristianamente? Come essere adulti credenti?
A me pare sia giunta l’ora che ogni comunità cristiana rediga una sorta di “carta di identità dell’adulto credente” da offrire proprio ai giovani. In essa potrebbero essere indicati alcuni elementi essenziali per reggere cristianamente alla vita adulta contemporanea: quanto spazio dedicare ogni giorno alla preghiera, per esempio, e come vivere questa preghiera; quali testi evangelici si dovrebbero avere sempre sottomano per i momenti di decisione o di fatica interiore; quali opere di carità poter scegliere in quello specifico contesto sociale; quali impegni poter assumere all’interno della parrocchia… ed altro ancora.
Una tale proposta, forse, ha un che di ingenuo, eppure mi pare assai importante ribadire che, quando un’azione pastorale non ha chiaro in mente quale sia il proprio punto d’arrivo, il rischio è quello di girare a vuoto, portando stancamente avanti quello che si è sempre fatto. Quando, invece, la metà è chiara, il cammino si apre da solo.