L’esortazione apostolica postsinodale, Querida Amazonia, costituisce una sorpresa e un enigma. La sorpresa è la sua costruzione a partire da testi e riferimenti culturali interni alla cultura amazzonica. L’enigma è la distanza-vicinanza con il documento finale del sinodo che viene ad un tempo approvato e «tenuto a distanza».
La poesia e il lirismo dei canti amazzonici accompagnano il riferimento privilegiato alla Laudato sì’, all’Evangelii Gaudium e all’Instrumentum laboris. Il lavoro del sinodo, il documento finale, rimane in vigore e non viene in nulla smentito, ma non riceve l’autorevolezza del consenso esplicito del papa.
Il sogno e la visione
Usando una espressione molto consueta nella predicazione di Francesco che parla di sogno degli anziani e di visioni per i giovani si potrebbe dire che la postsinodale si attesta sui sogni, lasciando le visioni, cioè le conclusioni operative, le strutturazioni teologiche e le sperimentazioni ecclesiali al vissuto della Chiesa amazzonica. L’intera esortazione, sviluppata in 111 numeri e in quattro capitoli, viene titolata nelle sue parti dalla qualifica di «sogno»: un sogno sociale; un sogno culturale; un sogno ecologico; un sogno ecclesiale.
Il quadro di riferimento, il clima dei sinodali, le indicazioni sociali e culturali, le aspirazioni spirituali: tutto viene confermato e ripreso in termini originali e propri.
Le considerazioni più programmatiche come la sinodalità, la ministerialità, il diaconato, la formazione, le strutture ecclesiali regionali, il rito e la teologia sono evocate, non espressamente validate, ma pienamente riconosciute e del tutto pertinenti con il testo papale.
In attesa di un’analisi più precisa e profonda dell’esortazione ci si può attestare sul punto più letto dai media e da un parte dei commentatori ecclesiali: quello riguardante il «sogno ecclesiale».
Amazzonia: una cultura ecclesiale marcatamente laicale
Nel testo esso viene alimentato dall’annuncio kerigmatico, dal compito dell’inculturazione, dall’ascolto attento della cultura indigena, dalla dimensione spirituale e di santità. La liturgia e la ministerialità vengono riconosciute come doverosamente coassiali all’esperienza vitale dei popoli indigenti e delle popolazioni amazzoniche, senza entrare in dedicazioni specifiche. Il ministero, ad esempio, è legato all’eucaristia e alla penitenza (non alla predicazione), ma il riconoscimento di diaconi sposati chiamati al ministero (n. 111 del documento finale) non viene evocato. Non è per nulla smentito, non è formalmente approvato.
Questo potrà giustificare critiche esplicite per la mancanza di coraggio nel superare una soglia diventata, sia in sinodo sia fuori, dirimente. Forse verrà evocata la decisione di Paolo VI nell’Humanae vitae e il crollo di credibilità recensito allora rispetto al papato. In realtà la posizione di Francesco non è sovrapponibile a quella di Paolo VI. Non sceglie. Si ferma prima. Si rifiuta di prendere una posizione che avverte non ancora matura nella Chiesa universale.
O meglio, lascia al vissuto della Chiesa in Amazzonia la piena libertà di muoversi in un contesto non eccessivamente normato. Come si legge al n. 94: «Ciò richiede nella Chiesa una capacità di aprire strade all’audacia dello Spirito, di avere fiducia e concretamente di permettere lo sviluppo di una cultura ecclesiale propria, marcatamente laicale». Sembra quasi che l’autorità ecclesiale ultima lasci lo spazio alle creatività del vissuto, per non uniformare e clericalizzare le novità.
Forse si può parlare di auto-limitazione del ministero petrino, senza rinunciare alla sua autorità. L’esercizio in atto di uno dei quattro principi enunciati in Evangelii Gaudium: l’unità è superiore al conflitto. Solo una originale composizione creativa, favorita dallo Spirito, farà delle differenza e delle contrapposizioni una sintesi nuova. L’attesa del pastore vorrebbe favorire la creatività del popolo di Dio. Sarà cosi?