Decimo appuntamento con la rubrica di don Armando Matteo, «Verso il Sinodo sui giovani», pubblicata sulla rivista Vita pastorale. Di seguito gli interventi finora pubblicati, ripresi su Settimana News: Crescere in una società senza adulti /1; Se credere non è più di moda /2; Ripartire dagli adulti /3; La vocazione all’adultità /4; La domenica al centro /5; Insegna a pregare /6; Credi di più nella Bibbia /7; Una fede a schemi non funziona più /8; Sacramenti e solidarietà /9.
So di affermare qualcosa in controtendenza con quanto normalmente viene pensato e affermato a proposito del rapporto delle nuove generazioni con il grande continente digitale. Ritengo, tuttavia, che in quel rapporto non ci sia nulla di particolarmente problematico. Ci sono in giro troppi gridi d’allarme, come se a causa dell’uso costante di questi nuovi straordinari strumenti di comunicazione un’intera generazione si fosse completamente «scimunita». Per cui, anche nella testa di molta gente di Chiesa, dire «nativi digitali» suona più o meno come dire «idioti digitali». Niente di più falso! Le criticità presenti sono poche e di lieve entità.
A me pare, invece, che una tale strategia di pensiero diventi spesso, da una parte, occasione per affermare l’immarcescibile paternalismo ecclesiastico, che cerca sempre i punti deboli delle persone con cui si relaziona per poter poi presentare i preti e le suore quali autentici salvatori della patria. Dall’altra, è una scusa per non verificare sul serio la qualità di presenza della comunità cristiana dentro il mondo della rete. Salvo rarissime eccezioni, almeno in Italia, la Chiesa ha una presenza in quel mondo che, a voler essere onesti, è semplicemente penosa. Dai più alti livelli sino a quelli periferici, i siti di matrice cattolica sembrano semplici «vetrine di esposizione», dove lo stimolo all’interazione con l’utente è praticamente prossimo allo zero.
L’impressione è più o meno quella per la quale all’utente si voglia semplicemente dire: «Ecco quanto siamo bravi, ecco che cosa siamo pronti a fare per te». Ed è così che l’esperienza fondamentale della rivoluzione digitale viene del tutto elusa: l’esperienza dell’interattività, del flusso bidirezionale tra i soggetti in contatto, dello scambio di punti di vista, a un livello paritario e democratico. Senza, ovviamente, dimenticare tutti quei siti sempre e permanentemente in attesa di essere aggiornati.
Si deve, invece, procedere a un vero e proprio salto di qualità per garantire alla comunità ecclesiale una partecipazione vera, e non puramente di facciata, dentro il continente digitale. Ed è proprio qui che la competenza giovanile ci viene in soccorso. Non sarà possibile sviluppare alcun nuovo approccio con le nuove generazioni, senza la nostra disponibilità a scommettere sulla loro creatività digitale. È solo una pia illusione che l’attuale presenza in rete del mondo cattolico possa essere attrattiva e significativa per i giovani. Sono loro che debbono e possono aiutarci a costruire una Chiesa 2.0. Se non ci lasceremo aiutare da giovani, il rischio è di trasformarci in roba da museo 2.0!
Qui è in gioco una vera e propria «conversione digitale», da parte della comunità cattolica. Il primo passo sarà quello di smettere di demonizzare l’uso che i giovani fanno di internet, dei cellulari e dei vari Instagram, Twitter e Facebook. È sotto gli occhi di tutti che un certo comportamento digitale idiota è più una caratteristica del mondo adulto che dei giovani.