Sinodalità e discernimento comunitario

di:

chiesa italiana

Nel fare eco al magistero di papa Francesco, secondo cui “non si può andare nel percorso sinodale senza discernere»[1], occorre fare nostro l’invito dei Vescovi italiani alla conversione all’ascolto rivoltoci a suo tempo durante la scorsa Quaresima: «la prima fase del Cammino sinodale ci consente di ascoltare ancora più da vicino le voci che risuonano dentro di noi e nei nostri fratelli […] Una Chiesa che ascolta è una Chiesa sensibile anche al soffio dello Spirito […] Ascolto della Parola di Dio e ascolto dei fratelli e delle sorelle vanno di pari passo. L’ascolto degli ultimi, poi, è nella Chiesa particolarmente prezioso, poiché ripropone lo stile di Gesù, che prestava ascolto ai piccoli, agli ammalati, alle donne, ai peccatori, ai poveri, agli esclusi”[2].

Focalizzandoci sul magistero di papa Francesco, secondo cui «ascoltare è più che sentire», occorre tener presente che “la parrocchia non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità. Sebbene certamente non sia l’unica istituzione evangelizzatrice, se è capace di riformarsi e adattarsi costantemente, continuerà ad essere la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie.

Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi. La parrocchia è presenza ecclesiale nel territorio, ambito dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del dialogo, dell’annuncio, della carità generosa, dell’adorazione e della celebrazione. Attraverso tutte le sue attività, la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione.

È comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario. Però dobbiamo riconoscere che l’appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente, e siano ambiti di comunione viva e di partecipazione, e si orientino completamente verso la missione”[3].

Occorre sottolineare che questo processo, fatto di ascolto e di dialogo, realizza l’esperienza sinodale “grazie all’effettiva comunicazione di fede, di vita e di impegno missionario”[4], allo scopo di porsi in ascolto del popolo di Dio, per cogliere la presenza, l’azione e la voce di Dio sulla base di quella sensibilità spirituale che permette alla Chiesa nel suo costante discernimento di incarnare la propria missione nei limiti umani  (EG, 43).

È necessario però decidere alla luce dello Spirito secondo la pratica del discernimento spirituale: “E qui vorrei soffermarmi anche sulla necessità del discernimento nel percorso sinodale. Qualcuno può pensare che il percorso sinodale è ascoltare tutti, fare un’inchiesta e dare dei risultati. Tanti voti, tanti voti, tanti voti… No.

Un percorso sinodale senza discernimento non è un percorso sinodale. Occorre – nel percorso sinodale – discernere continuamente le opinioni, i punti di vista, le riflessioni. Non si può andare nel percorso sinodale senza discernere. Questo discernimento è quello che farà del Sinodo un vero Sinodo, di cui il personaggio – diciamo così – più importante è lo Spirito Santo, e non un parlamento o un’inchiesta di opinioni che possono fare i media. Per questo sottolineo: è importante il discernimento nel percorso sinodale”[5].

Discernere insieme

Nel discernimento comunitario la comunicazione è una particolare relazione generata dall’incontro e dal dialogo in modo effettivo, cioè in base al carattere performativo della comunicazione, e non semplicemente informativo: “questo fa si non soltanto che il destinatario del messaggio faccia propria l’esperienza raccontata, ma anche che l’interlocutore, assunta l’esperienza del locutore, possa a sua volta rivolgersi a terzi, generando in loro sia la realtà comunicata, sia la capacità di testimoniarla […]

Tale comunicazione – secondo il succitato documento della Commissione Teologica Internazionale – ha tre differenti “oggetti”: la fede, la vita e l’impegno missionario. Ciò significa che in questa dinamica comunicativa il locutore è personalmente coinvolto in ciò che annuncia”[6].

È nella Gaudete et exultate, l’Esortazione Apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, che papa Francesco delinea i tratti del discernimento. L’esercizio del discernimento consente di “sapere se una cosa viene dallo Spirito Santo o se deriva dallo spirito del mondo o dallo spirito del diavolo […] non richiede solo una buona capacità di ragionare e di senso comune, è anche un dono che bisogna chiedere. Se lo chiediamo con fiducia allo Spirito Santo, e allo stesso tempo ci sforziamo di coltivarlo con la preghiera, la riflessione, la lettura e il buon consiglio, sicuramente potremo crescere in questa capacità spirituale” (GE, 166).

Innanzitutto l’attitudine del discernimento viene definita come un bisogno urgente, a motivo del fatto che “la vita attuale offre enormi possibilità di azione e di distrazione e il mondo le presenta come se fossero tutte valide e buone” (GE, 167), tant’è che “siamo liberi, con la libertà di Gesù, ma Egli ci chiama a esaminare quello che c’è dentro di noi – desideri, angustie, timori, attese – e quello che accade fuori di noi – i “segni dei tempi” – per riconoscere le vie della libertà piena” (GE, 168).

Si tratta della via ordinaria, e non solo in merito a gravi questioni, ma a partire dalle piccole cose, per “riconoscere i mezzi concreti che il Signore predispone nel suo misterioso piano di amore, perché non ci fermiamo solo alle buone intenzioni” (GE, 169), fermo restando che, sebbene “il discernimento spirituale non esclude gli apporti delle sapienze umane, esistenziali, psicologiche, sociologiche o morali […] non richiede capacità speciali né è riservato ai più intelligenti e istruiti, e il Padre si manifesta con piacere agli umili”» (GE, 170).

Il discernimento presuppone una capacità di ascolto, che implica “obbedienza al Vangelo come ultimo criterio, ma anche al Magistero che lo custodisce, cercando di trovare nel tesoro della Chiesa ciò che può essere più fecondo per l’oggi della salvezza” (GE, 173), che scaturisce dalla vita illuminata dallo Spirito (cfr. GE, 171).

Rifacendosi a san Bonaventura, inoltre, il papa delinea alcune condizioni necessarie per progredire nell’arte del discernimento: educarsi alla pazienza di chi sa che i tempi di Dio non sono i nostri e alla generosità di chi si abbandona alla logica del rinunciare fino a dare tutto (cfr. GE, 174): “il discernimento non è un’autoanalisi presuntuosa, una introspezione egoista, ma una vera uscita da noi stessi verso il mistero di Dio, che ci aiuta a vivere la missione alla quale ci ha chiamato per il bene dei fratelli” (GE, 175).

Al capito nono dell’Esortazione Apostolica post-sinodale Christus Vivit, inoltre, papa Francesco riprendere alcune riflessioni applicandole al discernimento della propria vocazione nel mondo (cfr. ChV, 283-297), chiarendo che “per accompagnare gli altri in questo cammino, è necessario anzitutto che tu sia ben esercitato a percorrerlo in prima persona” (ChV, 298).

Certamente il cantiere sinodale del Sinodo dei giovani segna a grandi linee un passo concreto in cui il popolo santo di Dio, alla luce dell’esperienza sinodale sulla famiglia, si è cimentato per la prima volta a livello universale nell’esercizio del discernimento comunitario, partendo dalla consultazione dal basso, fino ai tavoli sinodali nei c.d. “circuliminores” per la “relatio post disceptationem” in vista della “relatiosynodi” finale.

 Il processo di discernimento spirituale, collocato a un livello esistenziale e personale, che tiene conto dell’esperienza concreta nel “qui” e “ora” e che presta particolare attenzione alle mozioni interiori, in quanto consente di rileggere la propria vicenda personale come storia di salvezza benedetta e accompagnata da Dio, avviene alla luce del riconoscere, interpretare e scegliere:

  • Riconoscere: è la tappa dalla facoltà della memoria, un tempo per “percepire le mozioni e le ispirazioni interiori, identificarle, dare loro un nome e familiarizzarsi con la loro presenza e incidenza”[7]
  • Interpretare: a questo punto del processo di discernimento – necessariamente all’interno di una relazione personale con Gesù Cristo e nella sua sequela – vengono in nostro aiuto i criteri e le regole del discernimento spirituale, in particolare le intuizioni ignaziane[8], per comprendere i dati raccolti interiormente alla luce della Parola.  
  • Scegliere: “questa la tappa finale di tutto il processo di discernimento è il momento nel quale l’uomo nella libertà sceglie, rispondendo a una chiamata divina, giungendo a una risoluzione, possibilmente precisa, puntuale e concreta”[9], conformemente al bene e al meglio. A ben guardare lo stesso interrogativo fondamentale della fase sinodale in corso viene declinato in tre tappe di discernimento comunitario: ricordare le nostre esperienze, interrogandosi su quali esperienze della propria Chiesa particolare l’interrogativo fondamentale richiama alla mente; rileggere queste esperienze in modo più approfondito, rileggendo in profondità queste esperienze suscitano (gioie, difficoltà o ostacoli e ferite); raccogliere i frutti da condividere, comprendendo cosa stia chiedendo la voce dello Spirito per compiere i passi necessari per la Chiesa particolare[10].
Dinamica del discernimento

La dinamica che dovrebbe ritmare il discernimento comunitario, basandosi sulmetodo di Joseph-Léon Cardijn, è costituita dal trinomio vedere-giudicare-agire, tre momenti intrinsecamente collegati tra loro. In base a quanto emerso dalla V Conferenza generale dell’episcopato latino-americano e dei Caraibi (Aparecida, 13-31 maggio 2007), occorre vedere la realtà con lo sguardo del discepolo, che scaturisce dall’ascolto di Cristo crocifisso e risorto, in cui si cela il grido del Popolo e, quindi, la volontà di Dio, allo scopo di pervenire a una decisione ecclesiale sulla base di un processo che gestisca il conflitto, sino a quando non si capiscono reciprocamente l’uno le ragioni dell’altro, affinché “l’unità sempre prevale sul confitto” (EG, 226-230), avendo il coraggio di verificare, mettere cioè alla prova dei fatti il frutto del discernimento e della realizzazione della decisione che ne è scaturita[11].

La metodologia della riflessione teologico-pastorale si caratterizza per la triplice distinzione nelle tre fasi dell’analisi e valutazione, della decisione e progettazione e dell’attuazione e verifica[12]. Un possibile itinerario di discernimento in comune, sulla base dei criteri di servire il Regno e dello spirito di povertà, potrebbe essere intavolato sui seguenti cinque momenti: formulazione e valutazione della questione, porsi in preghiera davanti a Dio per ricercarne la volontà, riflessione personale in comune, ascolto reciproco in clima di fraternità e preghiera,  decisione secondo il criterio dell’ecclesialità[13].

La forma comunitaria, seppur promuova il dialogo, tuttavia non preserva il discernimento da rischi, a motivo degli spazi di influenzabilità delle fazioni e della demagogia, ma la cura della vita interiore, la competenza e la consapevolezza dell’umana fragilità sono fattori correttivi efficaci, perché il confronto, la verifica e la correzione siano vissuti come “viaggio comune verso la verità”[14].

  • L’autore è sacerdote della diocesi di San Marco Argentano-Scalea, dove è vicario parrocchiale nella parrocchia “San Pietro Apostolo” in Roggiano Gravina e svolge il servizio di notaio presso la curia vescovile.

[1] Francesco p.p., Discorso ai partecipanti all’assemblea plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, Sala Clementina, 21 gennaio 2022.

[2] CEI, Messaggio per la Quaresima 2022, dal titolo: “Quando venne la pienezza del tempo (Gal 4,4)”, al link: https://www.chiesacattolica.it/quando-venne-la-pienezza-del-tempo-messaggio-per-la-quaresima

[3]Francesco p.p., Evangeli Gaudium, n. 28, 24novembre 2013.

[4]Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, n. 110, Città del Vaticano 2018, al link: https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20180302_sinodalita_it.html

[5] FRANCESCO P.P., Discorso ai partecipanti all’assemblea plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, Sala Clementina, 21 gennaio 2022.

[6] Coda P. – RepoleR. (edd.), La Sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa. Commento a più voci al Documento della Commissione teologica internazionale, Bologna 2019, 111-112.

[7]Loris Piorar, Riconoscere, interpretare e scegliere. Le tappe del discernimento, in La Rivista del Clero Italiano, 5/2017, pp. 378-388.

[8]«Presuppongo che esistono in me tre tipi di pensieri, cioè uno mio proprio, che deriva unicamente dalla mia libertà e dalla mia volontà, e gli altri due che provengono dall’esterno, uno dallo spirito buono e l’altro dallo spirito cattivo» (Esercizi Spirituali [32], in Sant’Ignazio di Loyola, Gli Scritti).

[9] Loris Piorar, ivi.

[10] Cfr. Documento preparatorio Sinodo 2021-2023: «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione», n. 16, p. 26; Vademecum per il Sinodo sulla sinodalità § 5

[11] Cfr. Piero Coda, Discernimento comunitario in una chiesa sinodale  in Ekklesia n. 13 (2021/4), pp. 17-19.

[12] Cfr. Sergio Lanza, Convertire Giona. Pastorale come progetto,Roma 2005, pp. 116-119.

[13] Cfr. Antonio Mastantuono, Un prete che educa. L’assistente di Azione Cattolica: uomo di relazioni, esperto in umanità, Roma 2010, pp. 88-96.

[14] P.L. Berlinguer, Una gloria remota. Avere fede nell’epoca del pluralismo, Bologna 1994, p.79.

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