«Nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità». Così si legge in Evangelii gaudium al n. 246. Chiediamo al prof. Natalino Valentini − studioso di teologia ortodossa e, in particolare, del pensiero filosofico e religioso russo − quale possa essere il contributo proveniente dall’Oriente cristiano al processo sinodale messo in moto da papa Francesco nella Chiesa cattolica. Le domande sono poste da Giordano Cavallari.
- Professore, la Chiesa cattolica ha effettivamente da imparare dall’Ortodossia riguardo alla sinodalità?
Negli ultimi anni, all’interno del contesto cattolico, il termine sinodalità è diventato una sorta di talismano, di “parola magica” tornata da un lontano passato, densa di significato. È molto proferita, spesso retoricamente invocata, ma ancora forse scarsamente praticata nell’ordinarietà della vita ecclesiale.
Il merito recente di questa riabilitazione si deve indubbiamente a papa Francesco che, già dall’inizio del suo pontificato, ha giustamente sottolineato come «proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio»[1].
Consapevole delle difficoltà esistenti, lo stesso papa Francesco ha più volte indicato l’orizzonte ecumenico di questa sfida, sollecitando un ravvicinato confronto con le Chiese orientali cattoliche e con le Chiese ortodosse, animato dalla convinzione che «nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità»[2].
Forme della rappresentanza
In effetti, nell’attuale ordinamento della Chiesa latina, risalta, a riguardo, l’assenza di un ambito istituzionale rappresentativo nel quale i fedeli laici – ma anche i diaconi e i presbiteri – possano esprimere un loro parere attraverso un voto deliberativo sulle questioni fondanti della vita ecclesiale.
Ciò a differenza di quanto accadeva nei primi secoli della cristianità ove molte decisioni importanti – a partire dall’elezione dei vescovi – venivano assunte dalla stessa comunità in modo sinodale. Stupisce peraltro che, all’interno della stessa cattolicità, quella delle “Chiese orientali cattoliche”, vi siano a riguardo disposizioni e prassi assai diverse che prevedono la convocazione annuale del sinodo patriarcale per l’elezione dei vescovi e per «emanare leggi per l’intera Chiesa patriarcale» (cann 106 §2; 110 §1).
Inoltre, ogni cinque anni, è prevista la convocazione di un’assemblea patriarcale dei vescovi, dei superiori religiosi, dei rappresentanti dei preti e dei laici, delle università, delle facoltà teologiche e dei seminari (cann. 140 e 143) per un confronto su questioni cruciali riguardanti la vita ecclesiale.
Sebbene il Concilio Vaticano II avesse fornito puntuali orientamenti a riguardo (a partire dal “Popolo di Dio” quale soggetto responsabile della missione e la sua articolazione in base ai diversi carismi) al fine di restaurare la vita sinodale nella Chiesa, ciò non si è poi tradotto concretamente in modo significativo sul piano applicativo canonico e pastorale.
- Quali sono le differenze più marcate e quali sono gli aspetti che lei ritiene complementari?
Le differenze tra le due prospettive ecclesiologiche sotto il profilo pastorale, della prassi liturgica e spirituale, sono molteplici, mentre si possono cogliere profonde convergenze relativamente ai fondamenti teologici della sinodalità.
Indubbiamente l’ecclesiologia ortodossa, soprattutto slavo-russa, rimarca in modo evidente una diversa percezione ed esperienza nel modo di vivere la sinodalità come sobornost’, ovvero come conciliarità – o insiemità ecclesiale – a partire anzitutto dalla centralità della sua dimensione costitutiva sotto il profilo ontologico, mistico, relazionale, che ha il suo paradigma nell’icona della Trinità, di cui la Chiesa è il fragile riflesso nel tempo.
Le differenze con la recezione cattolica, più marcatamente preoccupata della sua declinazione ecclesiologico-pastorale, istituzionale, operativa, organizzativa, sono evidenti.
Il richiamo del Concilio Vaticano II è a recuperare un sano principio di complementarietà, senz’altro non di contrapposizione, tra queste differenti concezioni ecclesiali (Unitatis redintegratio 17). Ciò sarebbe estremamente fecondo per aiutare l’intera cristianità a “respirare con due polmoni” nel cammino di unità e di riconciliazione, offrendo una testimonianza credibile al mondo nella sinodalità vissuta.
Importanti passi avanti sono stati fatti in questi ultimi decenni nel dialogo cattolico-ortodosso sul tema della koinonia, della sinodalità e del primato, in particolare con il documento approvato nel 2007 a Ravenna[3], poi con il documento di Chieti (del settembre 2016)[4], sebbene il cammino sia ancora lungo, tortuoso, non privo di nuovi ostacoli e persino di spinte regressive.
Ortodossia e sinodalità
- Qual è il significato dal termine sobornost’ negli autori slavi?
Nel linguaggio teologico cattolico dell’ultimo secolo il concetto di sinodalità ha assunto un significato polisemico e una varietà semantica dalle molteplici sfumature (collegio, collegialità, conciliarità). Ciò è avvenuto in buona misura anche nelle Chiese ortodosse, sebbene in tale contesto il termine venga poi ricondotto sostanzialmente e direttamente al sinodo.
A tale riguardo, merita una speciale considerazione, appunto, il concetto e, insieme, l’esperienza chiave dell’ecclesiologia ortodossa russa: quello espresso dal termine sobornost’, che possiamo considerare il culmine della visione ortodossa della sinodalità. Il termine è affine, in russo, a sobranie (raduno, basilica) e sobirat’ (riunire): tutti termini che hanno la loro radice comune nello slavo sobor, con il quale si indica l’integrità, l’interezza spirituale nel suo duplice significato: riunione e assemblea di persone, ma anche luogo del culto.
Si potrebbe tradurre con insiemità ecclesiale. La Chiesa “sobornica” è la Chiesa che raduna, unisce, concilia. Per sobornost’ si intende, in ultima istanza, l’unione intima e profonda dei cristiani nella Chiesa, un’unione d’amore, di fede e di vita.
- Quali sono gli autori che, in particolare, hanno sviluppato il concetto?
Tra i primi a utilizzarne il termine e a proporne una sua applicazione nella prassi ecclesiologica, risalta la figura del vescovo Porfirij Uspenskij (1804-1885), il quale, tra l’altro, sollecitava il ripristino dell’antica prassi dell’elezione del vescovo da parte della Chiesa locale, quale applicazione visibile della sobornost’.
Ma il concetto ha assunto una sua decisività, nella riflessione teologica e filosofica, grazie ai principali protagonisti del pensiero slavofilo del XIX secolo (I.V. Kireevskij, A.S. Chomjakov, J.F. Samarin) e grazie anche al diretto sostegno di alcune influenti figure della gerarchia episcopale (Filaret Drozdov, 1782-1867 e Makarij Bulgakov, 1816-1882, divenuti entrambi metropoliti di Mosca).
Tuttavia, sono stati soprattutto i pensatori religiosi russi della prima metà del XX secolo a restituire al termine sobornost’ la pienezza del suo significato ecclesiologico con una visione universale concreta basata sull’amore e sulla fede. Sia pure con diverse accentuazioni e sfumature, questi recuperano il profondo legame con alcune immagini costitutive della Chiesa, così emergenti dalla sacra Scrittura, dalla tradizione apostolica e patristica, e dai concili dei primi secoli della cristianità.
Questi pensatori cercano di coniugare creativamente le antiche radici sinodali con le nuove istanze spirituali, ma anche filosofiche, storiche e politiche, rafforzando il principio di comunione universale.
Già il capo carismatico del movimento slavofilo, Aleksej Stepanovič Chomjakov (1804-1860) – tra i primi a elaborare un’interpretazione della sobornost’ in chiave ecclesiologica – colse il nucleo incandescente del cammino sinodale nel mistero d’amore intra-trinitario. A suo parere, «lungi dall’essere un’unità costruita su presupposti autoritari o gerarchici, l’unità della Chiesa è il frutto sgorgante dall’unità della Trinità che la inabita e la unifica con la sua grazia»[5].
Questa concezione-esperienza della sinodalità ecclesiale, frutto della comunione d’amore intra-trinitaria, non si fonda su principi giuridici o norme sociali, bensì sulla grazia spirituale dell’amore reciproco, ovvero sulla ricerca dell’unità di sostanza nella libertà. L’amore reciproco tra tutti i membri della comunità ecclesiale è la condizione imprescindibile per riconoscere la Chiesa nella sua essenza veritativa e nella sua autenticità cristiana.
Prolungando queste prospettive, ma integrandole e correggendole da certe accentuazioni polemiche e soggettivistiche, prendono forma le principali riflessioni ecclesiologiche dei pensatori religiosi russi eredi di Vladimir Solov’ëv, quali G. Florovskij, A. Schmeman, P. Evdokimov, V. Lossky, ma soprattutto Pavel Florenskij e Sergej Bulgakov.
Nella concezione di questi autori, la comunità ecclesiale è formata anzitutto da persone in relazione d’amore vicendevole, nell’unità fondata nella fede e nella libertà. La Chiesa come sobornost’ è la comunione fraterna dei singoli cristiani nel riconoscimento dell’alterità.
Florenskij e Bulgakov
- Può approfondire attraverso i due ultimi autori da lei citati?
Nel suo celebre capolavoro teologico-filosofico (La colonna e il fondamento della verità) padre Pavel Florenskij definisce l’ecclesialità ortodossa come una vita nuova, la vita nello Spirito, che ha come criterio di legittimità la bellezza spirituale della quale gli starcy sono i maestri dell’“arte delle arti” che è l’ascetica.
È a partire da questa estetica della fede, da questa bellezza «che crea ogni comunione» (Dionigi Areopagita) che possiamo cogliere il significato dell’evento di comunione e di relazione personale di amicizia che ha il suo archetipo celeste nel dialogo d’amore intra-trinitario. Solo nella fedeltà al mistero trinitario di Dio la Chiesa può crescere nella sua divino-umanità e divenire sempre di più ciò che essa già è: ossia il Corpo di Cristo, «manifestazione oggettiva delle Ipostasi dell’amore Divino»[6].
Nella dinamica della sobornost’ la Chiesa ha il compito di custodire e annunciare la verità su Dio nella comunione e nell’homoousia quale legge interiore della sua stessa crescita: il comandamento dell’amore reciproco fino alla reciproca “consegna”, passando attraverso la kenosis del proprio io.
Ripartendo da queste posizioni, padre Sergej Bulgakov porta a maturazione una compiuta teologia della sinodalità come sobornost’, alimentata da una sistematica simbolica d’amore che si esprime soprattutto come unanimità e sinfonicità a partire dal senso originario del suo essere: «Questo amore mirabile e misterioso chiaramente non presuppone né uno psicologismo né un’emozione, bensì un’ontologia di esso, la realtà di una correlazione esistente tra realtà spirituali. Questa relazione testimonia che la Chiesa esiste, ad essa è inerente all’essere quale ens realissimum, essa è oggetto dell’amore divino»[7].
Sempre in virtù di questa sua dimensione ontologica e mistica, la Chiesa, in senso sinodale, non ha confini se non quelli infiniti della rivelazione della vita di Dio nella creazione e nell’umanità, con la forza dell’incarnazione e della Pentecoste.
Per questo la Chiesa come Corpo di Cristo non può essere circoscritta entro i confini canonici confessionali dell’ortodossia, poiché essa esiste «al di là e al di sopra degli steccati ecclesiastici»[8]. Nell’essere sinodale della Chiesa ognuno ritrova sé stesso nella relazione sostanziale con l’altro. Ma questa “pluralità vivente” esprime la sua identità in ogni aspetto della sua vita animata dallo Spirito Santo.
Da questa ininterrotta incarnazione e ininterrotta Pentecoste prende forma la “Sposa dell’Agnello” fondata sul mistero dell’amore. «Questo amore che unisce i molti in una multi-unità, la cattolicità – sobornost’ in Bulgakov – è l’immagine della Santa Trinità, della Trinità Divina, nella multiunità creata»[9]. Qui sta il fondamento dell’universalità e della sinodalità, in vista della salvezza. In questa prospettiva, «l’ecumenismo come tale è l’esperienza di questa unità, una sua nuova rivelazione»[10].
Sinodalità ortodossa e politica
- Sobornost’ diventa, nel mondo russo, pure sinfonia tra Chiesa e nazione?
Vladimir S. Solov’ëv fu tra i primi a mettere in guardia la Chiesa ortodossa da questa antica tentazione e costante rischio, proponendo una revisione critica dell’ecclesiologia di Chomjakov e degli slavofili, sanandola da alcuni residui di nazionalismo e confessionalismo e dalla conseguente identificazione acritica della Chiesa universale con la Chiesa ortodossa greco-russa.
A tale riguardo la sua posizione è molto chiara: «Pur accettando in linea di principio l’idea di Chiesa Universale, gli slavofili la negano di fatto e riconducono l’universalità cristiana ad una Chiesa particolare che, d’altra parte, è ben lungi dal corrispondere all’ideale da loro stessi professato. Come sappiamo, per loro la Chiesa autentica è la “sintesi organica della libertà e dell’unità nella carità”; ma è solo nella Chiesa greco-russa che dobbiamo cercare questa sintesi?»[11].
La vera sinodalità sollecita, dunque, la cristianità ortodossa a ripartire dall’antica fede bizantina consegnata al mondo slavo da Cirillo e Metodio, i quali tradussero καϑολικη con sobornyj, ossia “conciliare”, intendendo la sobornost’-conciliarità non in senso quantitativo o formale, bensì come una comunanza di realtà, di finalità e di vita spirituale che in sé raduna e accoglie tutti quanti, indipendentemente dalle peculiarità locali, etnografiche, storiche.
Il radunarsi in nome di Cristo come sobornost’ implica il superamento dell’appartenenza a una nazionalità, epoca, paese, ceto sociale o altro (Mt 18,20). Il non riconoscimento di questo tratto fondativo comporta il travisamento del concetto stesso di Chiesa, alimentando eresie, divisioni e diatribe di razza, nazionalismi e etno-filetismi, come purtroppo oggi sta drammaticamente accadendo proprio all’interno dello stesso Patriarcato di Mosca.
La Chiesa, in quanto soggetto reale e unità reale, è un “Essere vivente” e non un concetto astratto, «come qualunque persona essa è un unicum, è unica nel suo genere; nel contempo, però, è una persona cattolica»[12], ovvero universale. La sua essenza non è frutto di un’elaborazione mentale bensì di una comunione reale tra persone.
La stessa incorporazione dei fedeli alla Chiesa tramite la vita sacramentale e l’unità della vita mistica rende «partecipi della stessa eredità, parte dello stesso corpo e partecipi della promessa» (Ef 3,6). Tuttavia: «Anche in bocca all’apostolo Paolo la “Chiesa-Corpo” non è un predicato morale, ma un soggetto reale, l’unità della Chiesa non è solidarietà solo morale o corporativa, non è solo unità nominale di “principio e fondamento”, di “organizzazione” e “scopo” (sebbene non vi sia dubbio che tutto ciò in parte costituisca il compito posto alla coscienza del credente), bensì unità ontologica e, in quanto tale, non può essere creata per tramite di qualsivoglia sforzo umano»[13].
Sinodalità in pratica
- Come tutto ciò effettivamente viene declinato nell’organizzazione pastorale delle Chiese ortodosse?
La vita di ciascuno, abitata dalla presenza di Cristo, diviene, per opera dello Spirito Santo, parte del corpo di Cristo, senza però confondersi con quella degli altri. Infatti, la Chiesa è composta di personalità umane che non debbono mai essere viste come elementi separati di un tutto.
L’idea di un organismo implica la coesistenza di una sinfonia di personalità. Questo credo sia il fulcro della concezione ortodossa della cattolicità (sinodalità).
Certamente il confronto con il composito panorama delle Chiese ortodosse, con la loro ecclesiologia di comunione (o eucaristica), il loro modo di concepire e vivere la collegialità e la sinodalità nel passato e nel presente, offre abbondanti occasioni per un arricchimento reciproco lungo il cammino verso l’unità, nel rispetto delle diversità.
Occorre però evitare i rischi di generalizzazione, ma anche di eccessiva idealizzazione di modelli che, sebbene assai edificanti sotto il profilo spirituale e mistico, mostrano talora la loro debolezza sul piano pastorale.
Dobbiamo tener conto anzitutto della pluralità dell’Ortodossia, composta oggi da ben quindici Chiese sorelle autocefale e autonome, ciascuna con una propria gerarchia, con propri ordinamenti canonici, circoscrizioni ecclesiastiche, scuole teologiche ecc., sebbene unite da un comune patrimonio dottrinale, liturgico e spirituale.
Sono Chiese unite in un’unica confessione di fede, all’interno della quale il Patriarcato ortodosso di Costantinopoli gode di una sorta di primazia storica onorifica e per questo il suo patriarca è considerato primus inter pares, la cui prima finalità è il mantenimento dell’unità e dell’universalità della Chiesa ortodossa.
Mentre il Patriarcato di Mosca (riconosciuto come tale da Costantinopoli solo nel 1589), espressione della Chiesa ortodossa russa, ha acquisito nel tempo una sua crescente preminenza in ragione della rilevanza numerica dei fedeli che vi aderiscono, la più elevata tra tutte le Chiese ortodosse.
In ogni Chiesa ortodossa il primate, patriarca o arcivescovo, è un vescovo eletto dagli altri vescovi, che tuttavia agisce ed esercita il suo ministero canonico e pastorale sempre con il consenso di un Sinodo che lo rappresenta. In sostanza, l’autorità posseduta dai vescovi viene esercitata in unità con il resto del clero e del popolo dei fedeli.
Per tale ragione tutte le Chiese ortodosse hanno una struttura sinodale, vale a dire: l’organo direttivo di ognuna è il Sinodo, composto, oltre che dal patriarca, dai vescovi eparchiali, da una rappresentanza di religiosi e laici di ciascuna eparchia, sebbene poi ciascuna Chiesa regoli con una certa autonomia e con proprie disposizioni la sua struttura interna.
- Può precisare qual è il ruolo sinodale dei laici nelle Chiese ortodosse?
La comprensione ortodossa della Chiesa è basata sul principio, attestato nei canoni e nell’antica tradizione cristiana, che ogni comunità cristiana raccolta attorno al proprio vescovo, mentre celebra l’eucaristia, realizza localmente l’intero Corpo di Cristo. A questa “opera” cooperano tutti i battezzati, sia pure con diversi ruoli e funzioni, che, nelle Chiese ortodosse contemporanee, sono stabilite dal sinodo di ogni Chiesa autocefala.
È con la crismazione che si acquisisce il sacerdozio regale mediante il quale ogni laico (membro del popolo – laos – di Dio) diviene anche pneumatoforo, “portatore di Spirito”. La regalità sacerdotale e profetica del laico lo rende creatura liturgica, custode responsabile della verità.
Pertanto, nella dinamica sinodale, in gran parte delle Chiese ortodosse i laici sono ammessi a partecipare attivamente all’elezione episcopale, hanno spesso incarichi nell’amministrazione della Chiesa e nell’educazione teologica. In Grecia la maggioranza dei teologi d’un certo livello sono laici. Il laico preparato riceve anche la benedizione episcopale per poter predicare in chiesa.
Il teologo laico Pavel Evdokimov, facendo riferimento alle grandi figure laicali della tradizione orientale (a partire da Nicola Cabasilas), ha evidenziato il profondo legame spirituale di ogni laico con lo stato del “monachesimo interiorizzato”.
Pur vivendo la sua vocazione nel mondo, ogni laico custodisce la tensione escatologica dei monaci verso l’attesa gioiosa e impaziente della Parusia. Nel contempo, il laico è chiamato ad un’incessante testimonianza evangelizzatrice, ed esprime nella sua persona il mistero della Chiesa nella sua relazione con il mondo, anticipando in qualche modo, attraverso la sua vita, la presenza del regno.
In ogni caso, come è stato rimarcato Joannis Zizioulas – il vescovo che ha maggiormente approfondito l’ecclesiologia di comunione in prospettiva sinodale – «nessun ministero nella Chiesa può essere concepito al di fuori del contesto della comunità», ovvero, tutti sono chiamati alla corresponsabilità e alla sinodalità in ragione anzitutto del suo fondamento comunionale.
Occorre, tuttavia, onestamente osservare che a questa ricchezza di sapienza teologica non sempre corrisponde una prassi pastorale quale opera di discernimento comune di presbiteri e laici in tutte le Chiese ortodosse autocefale. Il “camminare insieme”, l’ordinata assunzione di responsabilità da parte di tutti, secondo i carismi ricevuti, resta una sfida aperta anche per l’ortodossia, soprattutto nella pastorale ordinaria, nella quale la sinodalità diventa lo stile dei rapporti all’interno della comunità.
Confronto e apprendimento
- Da cattolici, dunque, cosa abbiamo da imparare?
Il confronto con il patrimonio teologico ortodosso sulla sinodalità, pur nelle sue differenti sfumature, ma anche fratture tra teoria e prassi, costituisce comunque uno scrigno dal quale è possibile trarre ispirazione e sollecitazioni preziose per il futuro delle Chiese.
Certamente la Chiesa cattolica latina può apprendere molto dalle Chiese sorelle ortodosse, dalla giusta valorizzazione delle Chiese locali, da una effettiva “decentralizzazione”, senza mai perdere di vista la vocazione universale, impedendo quelle derive, all’“autocefalismo” e alle “Chiese nazionali”, che mettono in serio pericolo l’idea dell’unità della Chiesa.
L’autocefalia da parte di una Chiesa territoriale include la conferma di comunione nel riconoscimento al contempo di un’alterità, di un anelito all’unità nel rispetto della differenza.
Da questo punto di vista, il Sinodo panortodosso svoltosi a Creta (nel giugno 2016) ha permesso a gran parte delle Chiese ortodosse di incontrarsi e di sperimentare il complesso equilibrio tra autocefalia e sinodalità.
La sinodalità ha da sempre «permeato tutte le dimensioni di base della vita della Chiesa, dalla sua espressione locale a quella universale»[14], essendo il Concilio dei vescovi non «un organo di potere che si esercita sulla Chiesa, e neppure un’assemblea di “rappresentanti” delle Chiese, ma l’espressione dell’unità della Chiesa, la sua bocca portatrice dello Spirito.
Questa la missione della Chiesa nella storia, ciò che essa fa nel tempo, che dà al concilio la sua seconda dimensione, l’altro suo compito cui è destinato: essere la voce comune, la testimonianza delle Chiese nella loro identità e nella loro unità ontologica»[15].
- I concetti qui presentati stanno giovando al movimento ecumenico?
Dal punto di vista ecumenico, credo sia necessario predisporsi ad una dinamica di complemetarietà e di reciproca comprensione alla ricerca di un modello di Chiesa universale più inclusivo, coinvolgente e responsabilizzante per tutti i soggetti che ne fanno parte. Insieme alla prassi sinodale è indispensabile elaborare una spiritualità sinodale, illuminata dallo Spirito di Cristo, che raccolga in unità i molteplici carismi, presenti nell’intero popolo di Dio.
La dimensione spirituale e pneumatologica diventa quindi il fondamento che ciascun cristiano è chiamato a coltivare in sé stesso, per essere realmente capace di “camminare insieme” ad altri, sulle orme di Cristo Gesù, che è il primo “compagno di viaggio”, come ci ricorda l’evangelista Luca nell’episodio dei discepoli di Emmaus (Lc 24,15).
Indubbiamente, molta strada resta ancora da percorrere, anche da parte delle teologie delle parti chiamate oggi ad approfondire la reciproca conoscenza e a mettersi in vicendevole ascolto. Il cammino sinodale include necessariamente, per sua natura, una prassi ecumenica autentica ed esigente, poiché richiede di vivere radicalmente l’esperienza evangelica della fraternità nella reciprocità.
Esso sollecita la Chiesa cattolico-romana e la Chiese ortodosse a ripensare le proprie radici per costruire insieme una diversa e più credibile presenza della cristianità nel mondo, proprio a partire da nuovi gesti di amicizia ecumenica, in una concreta esperienza di unità e di comunione fraterna.
[1] Francesco, Discorso in occasione della commemorazione del cinquantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi (17 ottobre 2015), in AAS 107 (2015), p. 1139.
[2] Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium 246 (24 novembre 2013), in AAS 105 (2013), p. 1119.
[3] Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa, Documento di Ravenna. Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa. Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità.
[4] Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa, Sinodalità e primato nel primo millennio: verso una comprensione comune al servizio dell’unità della Chiesa (Documento di Chieti).
[5] A.S. Chomjakov, L’Eglise est une, Paris 1953, tr. it. in appendice a L. Peano, La Chiesa nel pensiero russo slavofilo, Morcelliana, Brescia 1964, pp. 123-147.
[6] P.A. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, a cura di N. Valentini, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010, p. 103.
[7] S.N. Bulgakov, La Sposa dell’Agnello, cit., p. 393.
[8] S.N. Bulgakov, Al pozzo di Giacobbe, cit., p. 286.
[9] S.N. Bulgakov, “Una Sancta”, cit., p. 63.
[10] S.N. Bulgakov, Al pozzo di Giacobbe, cit., p. 287.
[11] V. Solov’ev, La Russia e la Chiesa universale, a cura di A. Dell’Asta, La Casa di Matriona, Milano 1989, pp. 82-84.
[12] P.A. Florenskij, Il concetto di Chiesa nella Sacra Scrittura, a cura di N. Valentini e L. Žák, San Paolo, Cinisello Balsamo, (Mi) 2008, p. 216.
[13] Ibidem, p. 191.
[14] Bartolomeo I, Discorso inaugurale del Santo e Grande Concilio di Creta (20 giugno 2016), in “Il Regno Documenti” 11/2016, p. 364.
[15] A. Schmemann, La nozione di primato nell’ecclesiologia ortodossa, in Il primato di Pietro nel pensiero cristiano contemporaneo, a cura di O. Cullmann – C. Journet – N. Afanassief, Il Mulino, Bologna 1965, pp. 637-638.