Mons. Heiner Wilmer, vescovo dehoniano di Hildesheim (Germania), interviene sul tema della sinodalità nella Chiesa cattolica – mentre a Francofrte si sta svolgendo la terza Assemblea plenaria del Cammino sinodale della Chiesa tedesca (fino a sabato 5): entrato nella sua fase deliberativa, con l’approvazione finora del testo quadro presentato dal Consiglio di presidenza e quello sul potere e la divisione dei poteri nella Chiesa.
Il Cammino sinodale della Chiesa cattolica tedesca è entrato nella sua fase deliberativa proprio in questi giorni. A motivo della pandemia, ma soprattutto della necessità di dare tempo al discernimento collegiale e alle decisioni che ne conseguono, si è deciso di prolungarlo di un anno – con una quinta Assemblea plenaria prevista per marzo 2023.
Quando una Chiesa locale conviene per immaginare insieme il suo futuro, per riflettere su quanto della sua storia può essere ancora fecondo e quanto invece è necessario trasformare, la prima cosa che essa si trova di fronte è la sua concreta realtà – fatta sia di limiti sia di preziose pratiche della fede e passione per il Vangelo. E, forse, non può essere altrimenti.
Guardare oltre sé stessi
L’aderenza alla realtà, all’esperienza cristiana, chiede di partire da qui per non rischiare astrazioni asfittiche o retoriche dichiarazioni di intenti. Il vissuto del cattolicesimo tedesco è il primo “materiale” su cui possiamo e dobbiamo lavorare, se vogliamo essere fedeli al nostro desiderio di una rifondazione che renda la nostra Chiesa locale all’altezza del Vangelo nel concreto della storia del nostro paese.
Ma non possiamo fermarci solo a questo. Non possiamo cullarci sul nostro ombelico, dimenticando la dimensione universale di quella Chiesa cattolica di cui facciamo parte. Un’universalità che non è pretesa né di omologazione né di totalizzazione che offusca il radicamento della fede in concreti contesti di vita con la loro cultura, storia, civilizzazione. Si tratta, invece, di quell’universalità che chiede a ogni Chiesa locale di guardare oltre se stessa, di tenere conto che accanto al suo modo di vivere e intendere la fede ci sono stili e situazioni che hanno la medesima dignità, il medesimo anelito all’universalità.
È questa universalità aperta che salva ogni Chiesa locale dal provincialismo, anche quella tedesca. Un’universalità che salva perché ci impedisce di pensare di essere unici o i migliori: siamo invece uomini e donne credenti tra una moltitudine di sorelle e fratelli nella fede.
Quando decidiamo per noi, dobbiamo pensare anche a loro. Il nostro compito è quello di avviare un vero discorso internazionale sulle proposte di riforma emerse nel corso del nostro Cammino sinodale – come il ministero ordinato, il ruolo delle donne nei ministeri ecclesiali e nei processi di decisione, sessualità e vita di coppia, l’esercizio del potere e il suo controllo nella Chiesa cattolica.
Mentre votiamo in plenaria su queste proposte di riforma, ci vincoliamo a esse non per imporle alle altre Chiese locali ma per entrare in un vero dialogo con loro – in un ascolto sensibile e attento a quella molteplicità degli stili della fede che arricchisce tutti noi e ci unisce in una faticosa, ma sempre feconda fraternità.
In questo, dobbiamo avere la saggezza di imparare dalla storia della sinodalità cattolica dopo il Vaticano II. Non si tratta di rinunciare alle proprie persuasioni, agli impegni che ci siamo presi davanti alle comunità della nostra Chiesa tedesca; ma, proprio nel rimanere fedeli a tutto questo, di evitare una sterile contrapposizione fra il Cammino sinodale tedesco e il Vaticano.
Parlarsi… conoscersi…
E per fare questo, bisogna parlarsi – senza preconcetti e sospetti, su entrambi i lati. Senza un riconoscimento che il Cammino sinodale della Chiesa cattolica tedesca nasce e si dipana a ragione di una cura e preoccupazione evangelica per la Chiesa tutta, si preclude quella base fiduciale necessaria a ogni dialogo e discernimento comune. Senza comprendere il compito di unità della Chiesa, che deve tenere conto della grande varietà di contesti del cattolicesimo globale, non daremmo credito al nostro interlocutore romano.
Un passo in questa direzione lo si è fatto proprio all’inizio della terza Assemblea plenaria del Cammino sinodale, quando il presidente della Conferenza episcopale, mons. Bätzing, ha annunciato una intensificazione dei rapporti tra il Consiglio di presidenza del Cammino sinodale e i vertici vaticani del Sinodo dei vescovi. Conoscersi per parlarsi, parlarsi per conoscersi direttamente – e non attraverso l’informazione mediatica.
Sono convinto che questo farà bene alla Chiesa tutta, istruendo un luogo di intelligenza culturale della fede in vista di quella rifondazione della nostra Chiesa universale che lo stesso documento preparatorio vaticano ritiene essere compito impellente di tutte le Chiese locali e di tutti i credenti senza distinzioni fra di loro. Certo, ci sono posizioni diverse per quanto riguarda i tempi e i modi di questa rifondazione del cattolicesimo e della sua Chiesa, ma questa deve essere vista come una ricchezza e non come un impedimento. Senza perdere di vista l’urgenza di un Vangelo che si declina qui e adesso nella storia umana, abbiamo bisogno di slancio e pazienza per mettere mano a una nuova edificazione della nostra Chiesa – in Germania e ovunque.
Mettere mano all’aratro senza guardare indietro e, al tempo stesso, coltivare la pazienza del contadino tra semina e raccolto – sapendo che altri godranno dei frutti della nostra passione per il Vangelo. Perché l’universalità della Chiesa cattolica non è solo estensiva, ma è in primo luogo questione di tempo: guardiamo alle generazioni credenti che verranno facendo memoria di quelle che ci hanno preceduto consegnandoci il Vangelo del Regno.
Una Chiesa scossa da scandali economici, (linburg) con una tassazione imposta per legge civile ed ecclesiastica che supera la forza battesimale dell’appartenenza alla Chiesa, una crisi di identità dei preti , una pletora di dipendenti dalle casse della Chiesa , in un popolo che perde la fede come tutti gli altri e non si distingue in particolari esperienze laicali e diocesane per la catechesi e l’evangelizzazione, la sua iattanza nei confronti delle chiese sorelle, una chiesa dove la parte popolare non essite o si fa viva ai centri Caritas : questa Chiesa si rilancia con il sacerdozio agli sposati e alle donne? Non che tale questione non sia da porre. Ma non c’entra ssolutamente con le questioni poste prima. Lo trovo allucinante. E allucinanti sono i vescovi. Nessun carisma, nessuna forza di attrattiva evangelica, nessuna interiorità. Bah!
Le Chiese.
Io pensavo che fosse una sola.
Ingenuo
…esistono dal tempo di Paolo… le Chiese (locali).
Su, ci siamo capiti.
In Germania stanno esagerando.
Con la scusa delle Chiese locali si stanno costruendo un cattolicesimo tedesco (contraddizione persino lessicale).
A Paolo non credo possa piacere.
In questo credo che troverò l’Autore concorde.
Ripensare a fondo il ruolo e il senso del ministero ordinato e il ruolo della donna nella Chiesa è un tema ineludibile e urgente per incarnare la Chiesa nel tempo attuale. Può essere che altre Chiese nazionali sentano altre urgenze, ma certo quelle europee non possono negare che il tema sia attualissimo e investa soprattutto le nuove generazioni che non capiscono assolutamente il ritardo della chiesa Cattolica sul tema della donna e sul modo di intendere il ministero ordinato (un servizio e non un privilegio). L’abolizione del celibato obbligatorio, l’ammissione della donna al Diaconato potrebbero essere segni di una volontà di interpretare le Scritture e la Tradizione in modo davvero evangelico ossia umano.
“Quando decidiamo per noi, dobbiamo pensare anche a loro. Il nostro compito è quello di avviare un vero discorso internazionale sulle proposte di riforma emerse nel corso del nostro Cammino sinodale – come il ministero ordinato, il ruolo delle donne nei ministeri ecclesiali e nei processi di decisione, sessualità e vita di coppia, l’esercizio del potere e il suo controllo nella Chiesa cattolica”. Ma sinceramente, chi vi dice che la altre Chiese locali vogliano discutere di questi argomenti, e non magari di altri? O magari non discuterne. Sembra una nuova versione dell’imperialismo tedesco in salsa ecclesiastica comunque conferma quello che i critici dicevano da tempo: il sinodo tedesco partiva subito con l’idea di diventare internazionale.
Mi sembra che l’articolo vada nella direzione opposta di come lo interpreta lei (negativamente) e quindi non sia molto lontano da come lei pensa. Che non si voglia discutere di nulla nelle Chiese locali non mi sembra un buon segno; che si voglia discutere di altro, invece, una cosa importante. Ma è solo se si intavola un dialogo fra le Chiese che si possono trovare punti di convergenza comuni.
Pensate se le chiese locali africane rivendicassero la poligamia e la volessero imporre all’ intera Chiesa ,o se le chiese locali sudamericane rivendicassero il culto alla Pachamama e lo volessero imporre a tutta la Chiesa .La Chiesa tedesca ,ingrandecaffanno per la perdita continua di fedeli e conseguentemente di soldi ,unica chiesa a fare pagare i sacramenti e a negarlo a chi non ha pagato la Kirchentass, vuole porre alla Chiesa universale le sue personalissime paranoie e priorita’ ? Spero che Roma non cali le brache: la a chiesa non e’ dei tedeschi.
Né nel mio commento, né tantomeno nell’articolo, si dice qualcosa che vada nella direzione da lei espressa. L’esigenza, piuttosto, è di aprire un dialogo tra le Chiese locali e con il Vaticano esattamente per evitare di imporre esigenze proprie – che ci sono e vanno verificate nel contesto della cattolicità della Chiesa. Poi tra l’invito a pensare la possibilità di un ministero ordinato aperto agli uomini sposati (esigenza già espressa anche dalla Chiesa latino-americana) e quella prospettata da lei di una richiesta delle Chiese africane in merito alla poligamia credo che ci siano delle differenze sostanziali (almeno il fatto che la prima fa parte della storia e della tradizione della Chiesa).
“Senza guardare indietro”. È l’espressione del testo che più mi interroga e stupisce. Come se fosse realmente possibile crescere e maturare senza tenere nel debito conto ciò che ci precede e ci fonda come persone e come credenti/appartenenti ad una Chiesa che è storicamente “incarnata”. Personalmente ho tante perplessità sul modo in cui sono intesi e soprattutto realizzati i “percorsi sinodali” in atto in alcune Chiese nazionali. Il fatto che specie in Germania stiano emergendo forti dubbi e grossi timori sugli “effetti sinodali” mi sembra confermarlo (è il caso del recentissimo e preoccupato appello lanciato online da non pochi chierici e fedeli: https://neueranfang.online/manifest/#unterzeichnen)
Con l’idea che nulla si debba toccare, perchè l’edificio della chiesa rischia di crollare, l’edificio della chiesa rimarrà in piedi ma vuoto di persone. La chiesa è chiamata a seguire il vangelo e non vuote tradizioni. Vivere la nostra fede non significa riproporre sempre le stesse nozioni ma approfondire ciò che abbiamo ricevuto e ridonarlo. Esempio se la Chiesa riflettesse sulle conseguenze concrete del Battesimo nella sua vita e nella sua missione si aprirebbero sentieri non ancora esplorati.
Temo di essere stato frainteso nel mio precedente intervento. Il nodo nevralgico, almeno dal mio punto di vista, è il rapporto che la Chiesa ha nei confronti del proprio millenario e ricco depositum fidei. Tale rapporto può essere oggi variamente interpretato/adattato nel senso della continuità o della discontinuità. Ciò che mi sembra emergere, almeno nel caso del sinodo in Germania, è una tendenza alla discontinuità. L’appello del clero e dei fedeli tedeschi che ho segnalato nel precedente ppst è fatto da ambienti che si riconoscono come “liberali”. Il che, mi sembra, per lo meno legittimi la mia (critica) impressione sui presupposti teorici-pratici del sinodo tedesco
Forse sarebbe meglio mettere da parte le etichette che solitamente usiamo (liberali/tradizionali e così via), perché in fin dei conti non ci permettono di cogliere sia la complessità dei temi sia la varietà presente nei vari settori del cattolicesimo. L’articolo che lei ha commentato non intendeva in alcun modo né tagliare i ponti con la tradizione, né interpretarla nel senso della discontinuità (tra l’altro, il passaggio da cui lei parte richiamo un passo evangelico sulla sequela di Gesù, e dice di un’urgenza che chiede l’abbandono delle proprie consuetudini). E poi dovremmo chiederci cosa significa discontinuità e se essa emerge solo ora, dopo il Vaticano II, o se la si può riscontrare anche in altre fasi della storia della Chiesa. Penso che solo così sia possibile instaurare quel dialogo, oltre i confini delle proprie visioni, che l’autore auspica con il suo testo.
La ringrazio per il suo intervento. Ciò che penso e ho scritto deriva semplicemente dal timore che nella Chiesa cresca oltre misura fino a divenire dominante un atteggiamento di “distanziamento” nei confronti della propria storia e tradizione. Un distanziamento che, secondo me, non può generare nulla di positivo per la Chiesa e di certo non aiutarla a trovare nuove modalite di annuncio del messaggio evangelico. E dico questo a bassa voce, da laico che resta sempre stupito di fronte alla ricchezza e bellezza della tradizione cristiana quando questa viene presentata e vissuta in modo maturo e non conflittuale. Per questo ho fatto riferimento alla distinzione tra continuità e discontinuità (distinzione che ho ripreso da un celebre discorso di Benedetto XVI sulle diverse possibili ermeneutiche su concilio e tradizione). Io mi auguro solo che si privilegi la via della continuità, per il bene non solo della Chiesa ma anche del mondo che dalla Chiesa attende una parola di salvezza che per essere tale deve anche poter essere profetica e perciò forse e questa “dissonante”.
Non mi stupisce che lei mi dica queste affermazioni in quanto sono antiche. Quando Pietro battezzò il centurione Cornelio i fedeli circoncisi si stupirono che lo Spirito Santo si effondesse anche sui pagani e Pietro rispose: “Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?” (Atti 10,44-48). San Paolo dice.”la lettera uccide, lo Spirito dà vita.” Seguiamo lo Spirito e ci porterà per strade inesplorate.