È stato pubblicato il Dossier conclusivo dell’Assemblea continentale per l’Europa del Sinodo 2021-2024 (Praga, 5-12 febbraio 2023).
Leggendo il rapporto dell’Assemblea, sorgono spontanee alcune considerazioni, con i limiti di una lettura esterna e anche periferica.
La prima impressione è il linguaggio, forse dovuto alla composizione dell’assemblea: una chiara impronta ecclesiale in stile parenetico. Invocare la conversione e l’aiuto dello Spirito Santo, quando non è necessario, sembra dire che sia lo Spirito a doversi attivare. Un’attitudine sparsa in molti solenni documenti della Chiesa; quando non si sa cosa fare, si appella allo Spirito.
L’ispirazione di Dio nelle coscienze e nel mondo è presente: il problema è ascoltarlo. Invocarlo significa non agire, perché non lo si riconosce o non lo si condivide.
Tutto il documento parte da una visione interna alla Chiesa, senza affrontare decisamente nessun argomento. È vero che l’Assemblea riferiva nella prospettiva dell’ascolto. Intrecciare culture, sensibilità, esperienze deve essere stato faticoso. La speranza è che sia il Sinodo a dipanare orientamenti e proposte.
Sette tensioni
Il titolo del Sinodo, d’altra parte, designa un ampio raggio di riflessione: «comunione, partecipazione, missionarietà» e abbraccia la dimensione della vita della Chiesa e il suo rapporto con il mondo.
Le priorità indicate dall’Assemblea sono tutte orientate alla visione ad intra della Chiesa:
* Carismi e ministeri
* Servizio sinodale dell’autorità
* Criteri di sinodalità per prendere decisioni
* Il ruolo delle donne
* Tensioni sulla liturgia
* Sinodalità per tutto il popolo
* Rinnovare il senso della missione (considerazioni conclusive).
Fa impressione la genericità delle sette tensioni enucleate dall’assemblea:
«1) il rapporto tra la proclamazione della verità del Vangelo e la testimonianza dell’infinita misericordia di Dio;
2) l’articolazione tra fedeltà alla tradizione e aggiornamento sulla spinta del richiamo della voce dello Spirito;
3) la liturgia come specchio della vita della Chiesa, in cui si riflettono anche le sue tensioni;
4) il pluralismo delle concezioni della missione;
5) la capacità di esercitare la corresponsabilità di tutti nella diversità di carismi e ministeri;
6) le forme di esercizio dell’autorità in una Chiesa che è, al tempo stesso, costitutivamente sinodale e costitutivamente gerarchica;
7) l’articolazione tra locale e globale, per salvaguardare tanto l’unità cattolica della Chiesa, quanto la possibilità di incarnarsi nella varietà dei contesti e delle culture.
Nel prosieguo del cammino le Chiese europee sono chiamate a scoprirne il potenziale dinamico, evitando Il rischio di deflagrazioni» (n. 52).
Incertezze
Linguaggi orientati non a tutto il popolo cristiano, quanto piuttosto alle problematiche interne alla Chiesa, con linguaggi comprensibili solo agli addetti ai lavori.
L’impostazione dei lavori è sicuramente rivelatrice di paure, con il rischio dell’immobilità. La speranza è che, nello svolgimento del Sinodo, si abbia il coraggio di affrontare la strada da seguire.
Impressiona come, di fronte alla secolarizzazione dell’Europa, con il conseguente clima di distacco e di abbandono della frequenza, la riflessione non influisca, se non marginalmente, sulla vita della Chiesa. Le contrapposizioni del tipo “luce e ombra” permeano i contributi.
Tra gli esempi si possono citare alcuni passaggi: per gli emarginati, a proposito del rapporto tra cultura moderna e messaggio evangelico, per le donne, nella liturgia.
Per i poveri le posizioni sono due: «Si riconosce l’urgenza di una reale vicinanza a tutti coloro che sono poveri, esclusi, vittime di ingiustizie e pregiudizi, la cui dignità è calpestata: Non basta proclamare la loro accoglienza, ma dobbiamo scoprire insieme il loro posto nella Chiesa».
Al tempo stesso si mette in evidenza il rischio che questo conduca ad annacquamento delle esigenze del Vangelo che la Chiesa è chiamata ad annunciare: «Si avverte la necessità che la Chiesa comunichi autenticamente e chiaramente la verità cristiana» e viene espresso il timore che «considerare le soluzioni pastorali relative a questi temi possa preludere a “cambiamenti dottrinali”» (n. 57).
Difficile capire la contrapposizione tra tutela dei deboli e dottrina cristiana!
Uguale problematica si riscontra per i cambiamenti rapidi e radicali tra teologia e cultura contemporanea: da una parte, l’esigenza di adattamenti, dall’altra, si evoca il rischio di compromettere l’integrità della dottrina (nn. 63-64).
Per la liturgia, dopo un piccolo trattatello teologico-liturgico (nn. 66-68), la conclusione: «La liturgia è uno spazio in cui Dio ci invita per fare un solo popolo e ci dona la forza del suo Spirito per unirci a Gesù nella sua missione. Dobbiamo approfondire la comprensione di come il modo in cui celebriamo le nostre liturgie possa formarci ulteriormente come Chiesa sinodale»: la risposta è uguale al problema posto.
Anche per la comprensione della missione, si dichiarano più interpretazioni: rafforzamento della catechesi e crescita della pratica religiosa, uscita nel mondo per far conoscere l’amore di Dio, una casa per tutte le persone: in sintesi, «tra l’essere chiusi nella propria comunità (elitismo) e la necessità di uscire in missione» (n. 70).
Sulla corresponsabilità nella Chiesa grande convergenza: «Promuovere l’effettiva corresponsabilità del popolo di Dio, superando il clericalismo. Non si tratta solo di una questione legata al posto delle donne nella Chiesa, ma di una comprensione della varietà dei ministeri come espressione sinodale della Chiesa» (n. 72).
Una dottrina teologica in ritardo sui tempi
A proposito di prospettive, «i nostri sforzi hanno bisogno di maturare e intensificarsi: l’accompagnamento delle persone ferite, il protagonismo dei giovani e delle donne, l’apertura ad apprendere dalle persone emarginate…».
Infine, «lo stile sinodale consente anche di affrontare le tensioni in una prospettiva missionaria, senza rimanere paralizzati dalla paura […] la disponibilità all’accoglienza come testimonianza dell’amore incondizionato dal Padre per i suoi figli…» (n. 91).
L’Assemblea di Praga ha fatto emergere il disagio della lettura del cristianesimo in Europa.
Le due direttrici indicate riguardano il futuro, nella speranza del cambiamento o, diversamente, del rafforzamento della “dottrina della Chiesa”.
Non sono state indicate ipotesi di percorsi. Non sono state affrontate (almeno dal resoconto) le radici di un’eventuale nuova sintesi.
Le incertezze sono dovute anche ai fondamenti teologici rimasti immobili da decenni, sui quali si fonda l’azione pastorale.
Qualcuno ha affermato che già le indicazioni del concilio Vaticano II non sono state recepite; per qualcun altro, addirittura, sorpassate.
Si accennano, negli studi recenti, spiragli di nuovi approcci teologici: la contraddizione stridente è che non è maturata una nuova coscienza di “dottrina”, a fronte del mutare della società. Guardando la storia, i passaggi epocali sono stati accompagnati da nuovi pensieri di lettura del tesoro della Chiesa.
Probabilmente, su questo terreno, va diretto il coraggio.
Mi interesserebbe sapere da chi è stato redatto il documento finale. Al n. 9 si parla di un “Comitato redazionale appositamente incaricato dalla Presidenza del CCEE”. Da chi era composto questo Comitato? Mi chiedo chi ha curato questo lavoro di sintesi e con quali criteri hanno lavorato. Mi chiedo anche chi curerà l’instrumentum laboris per l’Assemblea di ottobre 2023. Immagino la mole di materiale che hanno vagliato e la varietà dei contributi. Si tratta di un lavoro estremamente complesso e delicato. Si tratta di un ruolo cruciale. Qualcuno ha queste informazioni? Cordiali saluti.
Già un passo avanti sarebbe cambiare stile ed esprimersi con linguaggio chiaro, il linguaggio della gente normale, e senza uso di parole astratte, parole vaghe, che abbondano e che rendono il discorso tedioso e fumoso : basta leggere questo periodo :”Dobbiamo approfondire la comprensione di come il modo in cui celebriamo le nostre liturgie possa formarci ulteriormente come Chiesa sinodale”. E’ un linguaggio non solo vacuo e poco incisivo ,ma dopo un po’ chi lo legge o lo ascolta prova una noia indicibile. E’ così difficile parlare semplicemente, chiaramente, o hanno paura di dire pane al pane e vino al vino ?
Personalmente ringrazio don Vinicio per il suo coraggio. Da un parte era chiaro, data la composizione dell’assemblea sinodale, quale risultato sarebbe arrivato. Dall’altra è evidente una paura nell’affrontare la realtà, manca un’immaginazione ecclesiale, un sano chiedersi come possa essere la Chiesa in Europa del 2050. Come dice ben don Vinicio, si invoca lo Spirito per non ascoltarlo o peggio farsi prendere dalla paura.
A volte forse, senza accorgecene, abbeverati a tanta teologia modernista, invochiamo lo Spirito di Hegel confondendolo con lo Spirito Santo, il Quale spesso vorrebbe che ci accontentassimo un po’ di ciò che ci ha già detto con 2000 anni di canoniche fonti bibliche, dottrina ortodossa, di numerosi Concili, proposizioni papali, testimonianze vissute di santi e martiri.
Il Sinodo permanente, invece che di tensione alla conversione continua alla Verità nei comportamenti quotidiani e reali, ha quel retrogusto filosofico-teologico di tesi-antitesi-sintesi, di smania dialettica non per conoscere l’ Essere, che alla fine diventa inconoscibile,ma il solo “modo” di conoscere ( il fattore K )…la Chiesa, non una compagnia semper reformanda, ma in rivoluzione permanente.