L’attesa assemblea sinodale indetta da papa Francesco sullo scottante tema della relazione tra i giovani e la fede è iniziata da qualche giorno. Vincendo la tentazione di restare imprigionati nella smania sloganistica di certi linguaggi ecclesiali, e andando oltre la semplice analisi sociologica dei problemi, pur importante, occorre sviluppare l’attitudine dell’ascolto, così fondamentale nella dinamica del credere quanto trascurata sia dal cuore dei singoli, immersi nel vortice dei rumori del nostro mondo, che dalle strutture e istituzioni, talvolta incatenate nella fissità e nella ripetitività che le fanno diventare mortifere.
Bisogna anzitutto ascoltare lo Spirito Santo, che rimane l’unico artefice di una verità sempre al di là da venire, di cui nessun singolo cristiano e nessuna Chiesa potrà mai sentirsi padrone e che, nell’umiltà di un faticoso cammino, va sempre di nuovo cercata, attraversando il chiaroscuro del dubbio, dell’incredulità e del mistero. Solo lo Spirito – così papa Francesco ha iniziato l’omelia della Messa di apertura del Sinodo – custodisce e mantiene sempre viva e attuale la memoria del Maestro nel cuore dei discepoli: memoria che deve risvegliare in noi la capacità di sognare e sperare.
Non c’è bisogno di sottolineare quanto la tematica scelta rappresenti una grande sfida per la fede, ma anche per la società e per la Chiesa del futuro. In un mondo in cui tutti rincorrono il mito del «rimanere giovani per sempre», i giovani non hanno spazio, non hanno respiro e non sono più generati né alla vita e né alla fede.[1]
La discussione è solo all’inizio, ma papa Francesco ha già consegnato all’Assemblea Sinodale e alla Chiesa riunita in comunione di preghiera da ogni parte del mondo, parole di profezia capaci di creare quel clima di disposizione interiore e spirituale, utile al dibattito e ai futuri propositi pastorali.
Tre parole che sfidano la Chiesa di domani
Sognare. Non bisogna aver paura dei sogni, secondo il pontefice. Lo ripete spesso ai giovani, ricordando loro che il rischio di mettersi in cammino, anche se ci fa incorrere nell’errore, è meglio della comodità del divano, che ci rende «pensionati del quieto vivere» e fa diventare la nostra vita un’acqua stagnante. I sogni – ha detto ai giovani nell’agosto scorso – tengono lo sguardo largo, proiettano in un orizzonte aperto, rendono sveglio il cuore e aiutano a coltivare la speranza. Anche la Chiesa, perciò, deve sognare se vuole davvero recuperare il dialogo con i giovani; prima delle strategie pastorali e dei nuovi linguaggi, infatti, il cuore e la creatività del giovane ha bisogno di vedere una Chiesa che non ha paura di sporcarsi le mani, che pensa in grande la vita, che esce da se stessa senza timore, e che cerca strade nuove per l’annuncio del Vangelo.
Sperare. I sogni aprono alla speranza cristiana, che è radicata nella promessa della fedeltà di Dio e in quella di Gesù che non ci lascia orfani, ma accompagna il cammino della nostra vita e della sua Chiesa. Alla Chiesa, papa Francesco chiede di essere «unta nella speranza», così da guardare avanti, trasformando quelle strutture e quegli stili che spesso separano e allontanano dai giovani. Questa speranza ci fa uscire dal torpore e ci stana dalla comodità dell’abitudine, per spingerci a un’azione trasformante, sia nell’ambito ecclesiale che nella società: «La speranza ci interpella – dice Francesco – ci smuove e rompe il conformismo del “si è sempre fatto così”, e ci chiede di alzarci per guardare direttamente il volto dei giovani e le situazioni in cui si trovano. La stessa speranza ci chiede di lavorare per rovesciare le situazioni di precarietà, di esclusione e di violenza, alle quali sono esposti i nostri ragazzi».
Ascoltare. Il verbo più importante della relazione tra Dio e l’uomo, narrato dalla Scrittura, non può che costituire l’atteggiamento principale della Chiesa. Dio ascolta il grido del Suo popolo e scende per liberarlo, fino a farsi volto che incrocia le lacrime dell’umanità e carne che si commuove e si lascia toccare dalle ferite del mondo, in Gesù Cristo. Aprire il cuore allo Spirito Santo e lasciarci sospingere dal sogno e dalla speranza è la disposizione migliore che aiuta a sviluppare un ascolto senza pregiudizi. Un ascolto sincero, orante e libero permette di entrare in connessione con i giovani: «Ascoltare Dio, per ascoltare con Lui il grido della gente; ascoltare la gente, per respirare con essa la volontà a cui Dio ci chiama». Al coraggio di parlare deve corrispondere – secondo il papa – l’umiltà di ascoltare, che innesca un esercizio di dialogo autentico, profetico e fecondo. Se nella Chiesa impariamo ad ascoltarci nello Spirito – vescovi e preti, preti e laici – saremo capaci anche di diventare una comunità che ascolta i sussulti e i travagli della storia, cioè una «Chiesa che si mette davvero in ascolto, che si lascia interpellare dalle istanze di coloro che incontra, che non ha sempre una risposta preconfezionata già pronta. Una Chiesa che non ascolta si mostra chiusa alla novità, chiusa alle sorprese di Dio, e non potrà risultare credibile, in particolare per i giovani, che inevitabilmente si allontaneranno anziché avvicinarsi».
Per una Chiesa giovane
Una Chiesa in cammino, capace di sognare vie nuove a servizio del Vangelo, di muoversi sorretta da una speranza che la spinge a cambiare e a essere lievito di cambiamento nel mondo, di ascoltare senza pregiudizi e stereotipi soprattutto i giovani, è una Chiesa che non ha paura di cambiare.
Il Sinodo invita la Chiesa a uscire dal conformismo del «si è sempre fatto così», valutando l’opportunità di rilanciare una nuova pastorale giovanile integrata a quella vocazionale e familiare; di investire sulla formazione dei preti e degli operatori laici, con specifico riferimento all’accompagnamento dei giovani; di preparare credenti adulti, capaci di intrecciare con sapienza e gioia il Vangelo e la vita e, così, di attrarre le giovani generazioni verso una fede che non mostrerà più i segni di una realtà antiquata; di incoraggiare le singole comunità a lavorare nella direzione di una più fervente comunione, perché la progettazione e l’azione pastorale, soprattutto a favore dei giovani, diventino sempre più una realtà d’insieme, magari sostenuta da una nuova configurazione della parrocchia, più flessibile e più capace di intercettare la mobilità del nostro mondo.
Le sfide sono molte, ma non manca il desiderio di scoprire gli inattesi sentieri che Dio vuole indicare alla Chiesa. Facciamo nostre, perciò, le parole davvero illuminate di papa Francesco: «Impegniamoci dunque nel cercare di “frequentare il futuro”, e di far uscire da questo Sinodo non solo un documento – che generalmente viene letto da pochi e criticato da molti –, ma soprattutto propositi pastorali concreti, in grado di realizzare il compito del Sinodo stesso, ossia quello di far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani, e ispiri ai giovani – a tutti i giovani, nessuno escluso – la visione di un futuro ricolmo della gioia del Vangelo».
[1] A. Matteo, Tutti giovani, nessun giovane. Le attese disattese della prima generazione incredula, Piemme, Milano 2018.