Il Sinodo e il suo Instrumentum laboris

di:

chiesa italiana

Leggendo il testo dell’Instrumentum laboris per la seconda sessione del Sinodo, pubblicato il 9 luglio 2024, si rimane impressionati per lo stile, i contenuti, il linguaggio che questo testo ha utilizzato, nonostante o, forse per questo, elaborato da molti incontri preparatori (5 gruppi costituiti dalla Segreteria del Sinodo, più un gruppo di esperti che hanno letto i materiali provenienti da ogni parte del mondo e i frutti dell’incontro internazionale “I parroci nel mondo”).

Scopo e struttura dell’Instrumentum laboris

Lo scopo dell’Instrumentum laboris è annunciato tra le righe, en passant: «scandagliare il fondamento teologico di alcuni contenuti». Da qui la spiegazione del linguaggio vagamente teologico, nemmeno scritturistico, lontano da ogni afflato profetico, quasi a porgere una lezioncina corretta e pacifica dell’impegno di sinodalità e missione che coinvolge la Chiesa universale.

Da qui lo schema adottato. Dopo una parte iniziale sui fondamenti della comprensione della sinodalità seguono tre capitoli specifici; a) la prospettiva delle relazioni, b) la prospettiva dei percorsi; c) la prospettiva dei luoghi.

La parte introduttiva è suddivisa in capitoletti, segnati da numeri (da 1 fino a 21) che possono essere descritti come sommari di un manuale: a iniziare dal battesimo, costituendo un popolo, allargato a tutto il mondo, con Cristo, luce delle genti. (nn. 1-4)

Per il significato di sinodalità è riportata la definizione tratta dalla prima sessione del sinodo: «la sinodalità è il camminare insieme dei cristiani con Cristo e verso il Regno, in unione a tutta l’umanità; orientata alla missione, essa comporta il riunirsi in assemblea ai diversi livelli della vita ecclesiale, l’ascolto reciproco, il dialogo, il discernimento comunitario, la creazione del consenso come espressione del rendersi presente di Cristo vivo nello Spirito e l’assunzione di una decisione in un corresponsabilità differenziata». (n. 5)

Con il dovuto rispetto, molte delle considerazioni offerte per il Sinodo, sono necessarie per qualsiasi conduzione di gruppi, congregazioni, comunità, aziende e società per azioni: invocare lo Spirito, citato per 68 volte nel documento, fa sorgere il dubbio che si appella a oltre l’umano, per non affrontare i limiti umani della vita e della conduzione di gruppo nella Chiesa. Lo Spirito ha una dignità che non può essere strumentalizzata con la sola invocazione.

Si affrontano poi, sempre nell’introduzione, le differenze come armonia, invocando partecipazione. Si suggerisce di aggiornare la capacità di annuncio, il rinnovamento della vita liturgica e sacramentale e, infine, si rende esplicita la tristezza di quanti non partecipano. (nn. 10-12)

Anche qui i riferimenti rimangono dottrinali.

Nel capitolo sulla questione delle donne nella Chiesa (nn. 13-18), i riferimenti teologici suggeriti sono il battesimo, l’essere popolo, i doni dello Spirito, princìpi che indicano una maggiore partecipazione e corresponsabilità, con attenzione alle donne nella vita della Chiesa (n. 16), così per gli uomini. (n. 18)

Sul diaconato femminile è scritto chiaramente che il tema non sarà trattato dal Sinodo. (n. 17)

Al termine dell’introduzione, si fa appello alla conversione. Il riferimento alle problematiche sociali è richiamato al n. 20: «In un’epoca segnata da disuguaglianze sempre più marcate, da una crescente disillusione nei confronti dei modelli tradizionali di governo, dal disincanto per il funzionamento della democrazia e dal predominio del modello di mercato nelle relazioni interumane, dalla tentazione di risolvere i conflitti con la forza e non con il dialogo, la sinodalità potrebbe offrire un’ispirazione per il futuro delle nostre società. La sua attrattiva deriva dal fatto che non è una strategia gestionale, ma una pratica da vivere e da celebrare nella gratitudine. Il modo sinodale di vivere le relazioni è una testimonianza sociale che risponde al profondo bisogno umano di essere accolti e sentirsi riconosciuti all’interno di una comunità concreta. È una sfida al crescente isolamento delle persone e all’individualismo culturale, che anche la Chiesa ha spesso assorbito, e ci richiama alla cura reciproca, all’interdipendenza e alla corresponsabilità per il bene comune».

La descrizione delle tragedie umane è suggerita con distacco, in modo libresco, di chi non ha vissuto, né si occupa delle miserie umane. Un’invocazione alla conversione libera da analisi e impegni.

Le relazioni

Dopo l’introduzione, inizia la 1ª parte dell’Instrumentum, dedicata alle relazioni con il Signore, tra uomini e donne, nella famiglia, nella comunità, tra gruppi sociali.

L’inizio è il riferimento all’iniziazione cristiana (n. 22), per poi passare alla dimensione comunitaria. Si appella alla Trinità per illustrare le relazioni fondanti nella Chiesa. Si è scelta la scuola teologica delle relazioni della Trinità, che spiega nelle relazioni tra Padre e Figlio con lo Spirito il mistero trinitario.

Forse, nel contesto odierno, era più utile appellare all’economia della salvezza con le riflessioni di K. Rahner che pongono al centro del mistero trinitario la venuta e la morte del Signore. L’appello all’eucaristia è più dovuto che invocato, come naturale conseguenza dell’iniziazione battesimale. (n. 26)

Per i carismi e i ministeri si invoca ancora lo Spirito, dimenticando le vicende della Chiesa, molto tribolate per riconoscere i carismi. Si elencano i ministeri battesimali, sottolineando che sono diversi da quelli legati al sacramento dell’ordine. Si citano i ministeri dei lettori e degli accoliti. (n. 30)

Un cenno all’incoraggiamento positivo a far sì che la Chiesa sia recepita come “casa e famiglia” (n. 33). Si cita una “porta aperta” offerta dalla Chiesa: senza riforme personali e strutturali è difficile da immaginare.

Se la dottrina, la liturgia, la gerarchia, le organizzazioni partecipative rimangono le stesse del Concilio di Trento, invertire la tendenza percepita come chiusura tetragona, il miracolo non avverrà.

La liturgia del battesimo non può riservare ai genitori la sola volontà di battezzare il figlio; il matrimonio cristiano non può utilizzare la formula del consenso contrattuale di origine romana; l’omelia non è la sola occasione di interpretare le letture bibliche.

Il testo prosegue con i problemi legati ai ministeri ordinati (nn. 35-41). L’appello è alla riflessione sulle relazioni, le strutture, i processi presenti nella Chiesa. Si chiarifica subito l’articolazione tra episcopato, presbiterato e diaconato (n. 37), per poi passare alle funzioni del vescovo, capo della Chiesa locale (n. 38), dei presbiteri (nn. 38-39), dei diaconi (n. 40), richiamando funzioni e partecipazioni già stabilite nella prassi corrente, senza alcuna indicazione di cambiamento.

Indicazioni maggiori vengono suggerite nel rapporto tra le Chiese nel mondo (nn. 42-50). Attenzione alla reciprocità tra le Chiese locali a proposito di ricchezze spirituali, operai apostolici, aiuti materiali (n. 43), auspicando il superamento delle disparità di ricchezze materiali (n. 44), di doni spirituali, liturgici, teologici (n. 45), con attenzione alle popolazioni emigrate (n. 47). Sostegno va dato alle Chiese perseguitate (n. 48) e ai contesti culturali e sociali di paesi diversi tra loro. (n. 50)

I percorsi

Nella parte 2ª del documento si esaminano i percorsi. (nn. 51-79) Questa parte suggerisce l’impressione che si tratti di sociologia religiosa, con qualche accenno alla conversione e allo Spirito. Come premessa è scritto: «Mette a fuoco quattro ambiti distinti, ma profondamente intrecciati nella vita della Chiesa sinodale missionaria: la formazione, in particolar modo all’ascolto (della Parola di Dio, dei fratelli e delle sorelle, e della voce dello Spirito) e al discernimento, che conduce a sviluppare modalità partecipate di decisione nel rispetto dei diversi ruoli, con una circolarità che approda alla trasparenza, al rendiconto delle responsabilità ricevute e a una valutazione che rilancia il discernimento per la missione».

L’attenzione maggiore è data alla formazione integrale e condivisa, mettendo al primo posto l’ascolto (n. 54), valorizzando i testimoni capaci di esprimere nella vita concreta la sequela di Cristo. (n. 55)

Da qui una formazione alla vita non solo teorica, senza dimenticare gli sviluppi delle conoscenze, compresa la cultura digitale (n. 56); una formazione che nasce dalla partecipazione di tutti i componenti della Chiesa. (n. 57)

Il tema del discernimento è affidato alla grazia della parola di Dio. Si indicano la vita di preghiera, ascolto della parola di Dio, ascolto reciproco, la ricerca del consenso, la restituzione di esso. (nn. 63-66). Mai indicati i rischi, le contraddizioni, le difficoltà. Tutto diventa esortazione, appellando al soprannaturale. Si dimentica che ogni intervento divino si colloca nell’animo umano, nelle culture e, perché no, nelle emozioni.

Nei processi decisionali si indicano i passaggi: pregare, ascoltare, analizzare, dialogare, discernere, consigliare (nn. 67-72). Il tutto non affrontando lo schema gerarchico che riduce al vescovo e al collegio episcopale ogni decisione. L’unica attenzione è il richiamo all’accesso alle informazioni per essere in grado di offrire un proprio parere.

Ma già il Codice di diritto canonico (can 212 §3) proclama il diritto e il dovere di manifestare ai Pastori la propria opinione, salvaguardando l’integrità della fede, dei costumi, con attenzione al rispetto dei Pastori, per la utilità comune e la dignità delle persone: il problema è come rendere attuale nella vita della Chiesa questo diritto pure riconosciuto. Con quali metodi, tempi, competenze, verifiche non è scritto da nessuna parte.

Il problema diventa drammatico a proposito di trasparenza, rendiconto, valutazione (nn. 73-78). Se lo schema gerarchico affida al vescovo i pieni poteri legislativi, esecutivi, giudiziari, occorre approfondire teologicamente e canonicamente questa impostazione. Se la tutela della fede e dell’insegnamento si comprende può essere affidata al vescovo che garantisce la continuità dell’appartenenza alla Chiesa, il resto dei poteri è dottrina ecclesiastica. Gli strumenti esistenti (Consiglio presbiterale, Consiglio pastorale diocesano, nemmeno obbligatorio, Collegio dei consultori) sono più apparenza che sostanza.

Se l’ultima decisione spetta al vescovo, il resto è ascolto di decisioni già prese. Un esempio illuminante è la nomina degli incarichi ai presbiteri: non esiste indicazione di una qualche partecipazione condivisa nelle decisioni assunte. Non è materia giuridicamente regolamentata. Ci si affida al “carattere” più o meno dialogante del singolo vescovo. Figurarsi il rendiconto e la valutazione.

Senza il supporto di una diversa organizzazione ecclesiale, rimarrà intatto lo schema gerarchico unico al mondo: nella scelta dei singoli Pastori da parte del Pontefice, fino alle decisioni pastorali, sociali, economiche del singolo vescovo.

L’Instrumentum laboris così concepito, si riduce a una pia esortazione alla conversione, con l’aiuto dello Spirito Santo.

I luoghi

Nella parte 3ª dell’Instrumentum si parla dei luoghi. Nell’introduzione, con ampio margine di benevolenza, è scritto: «Questa Parte III ci invita a superare una visione statica dei luoghi, che li ordina per livelli o gradi successivi (parrocchia, zona, diocesi o eparchia, provincia ecclesiastica, conferenza episcopale o struttura gerarchica orientale, Chiesa universale), secondo un modello piramidale.

In realtà non è così: la rete dei rapporti e dello scambio di doni tra le Chiese ha sempre avuto una forma reticolare più che lineare, nel vincolo dell’unità di cui il Romano Pontefice è perpetuo e visibile principio e fondamento, e la cattolicità della Chiesa non è mai coincisa con un universalismo astratto.

Inoltre, nel quadro di una concezione dello spazio in rapido cambiamento, costringere l’azione della Chiesa entro confini puramente spaziali la imprigionerebbe in un fatale immobilismo e in una preoccupante ripetitività pastorale, incapace di intercettare la parte più dinamica della popolazione, in particolare i giovani.

I luoghi vanno invece collocati in una prospettiva di mutua interiorità, da concretizzare anche nei rapporti tra Chiese e in loro raggruppamenti dotati di un’unità di senso.

Il servizio dell’unità che compete al vescovo di Roma e al collegio dei vescovi in comunione con lui deve parimenti misurarsi con questo scenario, elaborando le opportune forme istituzionali del proprio esercizio».

Chi scrive falsa volutamente la realtà: ogni afflato ha bisogno di indicazioni vincolanti. Basterebbe pensare alla rigidità dell’istruttoria matrimoniale.

Il suggerimento è inutile se non è accompagnato da una coraggiosa revisione anche dei luoghi.

In Italia esistono problemi irrisolti sia per le diocesi, che per le parrocchie. Fino ad ora si è seguito lo schema “clericale”: aspettare la morte del predecessore per accorpare una piccola diocesi o di accorpare piccole parrocchie dell’entroterra ad un unico presbitero che, tra sabato e domenica, celebra fino a cinque messe.

L’incetta di preti stranieri ha prodotto poco più che le celebrazioni domenicali. L’abbondanza delle chiese vuote non è sostenuta nemmeno dall’offerta in donazione, rifiutata persino dai Comuni.

Si fa appello a una trama di relazioni e a una cultura con un ancoraggio territoriale più dinamico, indicando i motivi del cambiamento (nn. 81-87) per terminare con la certezza della teologia gerarchica vigente.

Un intero capitolo (nn. 89-94) è dedicato alla partecipazione di tutte le componenti aggregative che formano la Chiesa: parrocchie, realtà associative, consigli, invitando a maggiore attenzione nella composizione dei rispettivi membri.

Nel penultimo capitolo si illustrano le relazioni tra le conferenze episcopali, auspicando il loro riconoscimento come soggetti dotati di autorità dottrinale, invocando la valorizzazione delle province ecclesiastiche, così da riconoscere capacità peculiari per singoli ambiti. (nn. 97-99)

Si sollecita la decentralizzazione della Curia romana, citando documenti di papa Francesco (n. 102). A proposito dell’autorità, si precisa «Anche se da sola [l’autorità] gode di tutte le prerogative per legiferare, nel farlo potrebbe e dovrebbe agire con metodo sinodale». Quale e quanto obbligatorio sarebbe questo metodo? Non è detto. Un paragrafo è dedicato al mondo dell’ecumenismo che auspica un ulteriore approfondimento. (107-108)

La conclusione è dedicata ai rapporti tra fede e mondo (nn.109-112). Con grande ottimismo si certifica «una presenza che trascende l’anima, conducendo il mondo all’incontro con Dio» (n. 109). Il testo conclude con le parole di Isaia: «Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza». (n. 112)

Considerazioni

Non conosciamo il metodo e i tempi di discussione dell’Instrumentum laboris, né da chi e come è stato scritto. Le considerazioni provengono dalla lettura del documento indicando l’effetto che ha prodotto a chi, da lontano e impegnato nella Chiesa come chierico, legge quanto scritto.

Non è un approfondimento teologico.Non è stato offerto nessun approfondimento teologico, ma è stata esposta la dottrina corrente sui temi che riguardano la vita della Chiesa.Il Sinodo ha di fronte a sé tre grandi nodi da affrontare:

  • La definizione del battezzato con i suoi diritti e doveri: proclamati abbondantemente in dottrina e in diritto, non sono espletati nell’azione concreta della liturgia, della pastorale, dell’organizzazione ecclesiastica.
  • Il secondo nodo riguarda la strutturazione della Chiesa locale: popolo di Dio, ministeri, presbiterato, episcopato. Un immobilismo attuale affidato esclusivamente ai chierici.
  • Il terzo nodo si riferisce alla Chiesa universale che coinvolge l’episcopato singolo e di gruppo, non escluso il rapporto con l’autorità primaziale.

Se non si affrontano questi nodi, il ripetere ossessivamente il metodo sinodale, invocando conversione e opera dello Spirito, significa non avere il coraggio di leggere la realtà ecclesiale e quella mondana.

Che la teologia non si collochi con le istanze del cambiamento nel mondo, delle culture prevalenti, del pensiero unico moderno è un gravissimo peccato di omissione. La fede è collocata nel cuore delle persone e del loro sentire. Appellare genericamente alla sacra Parola, senza approfondirla per l’oggi, non serve.

Tra conversione e riforma. Il testo insiste molto sulla conversione, indicando prassi, movimenti, tempi. Non avendo strumenti di lettura del processo spirituale, si fa riferimento alla sociologia religiosa. Senza spiegazioni e chiarificazioni la duplice attinenza (sacro e profano) crea solo confusione.

Tra detto e auspicato.  Il testo, nelle varie parti, propone nuovi orizzonti: molto prudenti sulla figura del battezzato; più attento all’organizzazione della Chiesa locale; infine, esplicito per la Chiesa universale. Sorge il fondato dubbio che, avendo riferimento degli interventi del Romano Pontefice su quest’ultimo capitolo, gli estensori si siano sentiti autorizzati a essere più espliciti.

Dire e non dire. Infine, si nota una difficoltà strutturale nella scrittura: attendere i risultati del lavoro dei dieci gruppi di approfondimento, costituiti dalla Segreteria generale del Sinodo e il non essere autorizzati ad anticipare alcunché, ha creato un corto circuito di genericità e, purtroppo, di inefficacia.

La speranza è che il dibattito in Assemblea generale apporti chiarezza e anche coraggio.

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