Vaticano-Germania: tanto rumore per nulla

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Nell’ultima Assemblea generale dello scorso settembre, il Cammino sinodale della Chiesa cattolica tedesca ha approvato un testo volto alla costituzione di un “Consiglio sinodale” permanente come organo consultivo e deliberativo per la Chiesa locale a livello sovra-diocesano.

Sinodalità come forma della Chiesa

L’intento è quello di stabilizzare l’esperienza sinodale di questi anni e preparare un’istanza che corrispondesse all’invito esplicito di papa Francesco a dare forma a una Chiesa cattolica caratterizzata da una processualità sinodale.

Consapevole di muoversi in un terreno inedito per la configurazione istituzionale della Chiesa cattolica, il Cammino sinodale tedesco ha stabilito, per quanto concerne il “Consiglio sinodale”, che la sua strutturazione e lo spazio di azione che gli compete debba ricadere all’interno del quadro del diritto canonico attualmente vigente. In questo senso, ci si richiama agli articoli 127 e 129 del Codice di diritto canonico come cornice all’interno della quale andare a incastonare il “Consiglio sinodale” della Chiesa cattolica tedesca.

Il Cammino sinodale è giunto a questa decisione in ragione del fatto che “la sinodalità è un tratto portante della Chiesa. La sinodalità è anche un processo storico che consente di ascoltare oggi la parola di Dio e, mediante il discernimento degli spiriti, la preghiera, e il confronto delle argomentazioni, sostiene l’evangelizzazione. La sinodalità è una forma che permette ai membri del popolo di Dio di scoprire quelli che sono i loro specifici doni dello Spirito, così da metterli in comune e collegarli gli uni con gli altri. Negli ultimi anni, il fatto di consultarsi e decidere insieme lungo il Cammino sinodale ha rafforzato la comunione della fede”.

Il progettato “Consiglio sinodale” è pensato in funzione di questo orizzonte, appunto come organo in grado di dare forma stabile alla sinodalità della Chiesa locale. Un organo del genere, che deve essere costituito all’interno del diritto canonico vigente, non nasce dall’oggi al domani, né senza un dovuto lavoro di preparazione.

Il ricorso a Roma di cinque vescovi

Per questa ragione, il Cammino sinodale tedesco si è dato tre anni di tempo in vista della costituzione del “Consiglio sinodale” e ha istituito un “Gruppo di lavoro sinodale” a cui è affidato il compito di pensarne la strutturazione, le competenze, gli ambiti di esercizio – appunto, nel rispetto di quanto consentito dal Codice di diritto canonico. Questa scansione temporale, con i tre anni di tempo che il Cammino sinodale si è preso per compiere questo studio di approfondimento, fattibilità e destinazione di un “Consiglio sinodale” della Chiesa cattolica tedesca, appare evidente anche la volontà di attendere, per poterli integrare a livello di Chiesa locale, quelli che saranno gli esiti del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità della Chiesa a livello universale.

È questo lo sfondo in cui deve essere collocata la lettera vaticana, firmata dai card. Parolin, Ladaria, Ouellet, che è stata inviata al presidente della Conferenza episcopale tedesca mons. Bätzing (ricevuta il 20 gennaio).

La lettera dei dicasteri vaticani è stata originata da un testo firmato dai vescovi di Colonia (Woelki), Eichstätt (Hanke), Passau (Oster), Augsburg (Meier) e Regensburg (Voderholzer), che conteneva due interrogazioni rivolte alla Curia romana: 1) “Devo (nel senso: sono obbligato; n.d.a.) prendere parte al Gruppo di lavoro sinodale, perché così è stato deciso dall’Assemblea generale del Cammino sinodale?”; 2) “Posso (nel senso: mi è concesso) prendervi parte?”.

Richiamandosi alla Dichiarazione della Santa Sede del 21 luglio 2022, la risposta vaticana alle domande dei cinque vescovi tedeschi è che «essi non sono obbligati a prendere parte alle attività del “Gruppo di lavoro sinodale” in preparazione del “Consiglio sinodale” previsto per il 2026».

Come riconoscono gli stessi tre cardinali di curia, non vi era però alcuna necessità, da parte dei cinque vescovi tedeschi, di ricorrere a Roma per rispondere alle loro domande in quanto già gli Statuti del Cammino sinodale affermano che le “decisioni prese non possono limitare l’autorità dei singoli vescovi e non hanno per essi carattere vincolante”.

Stante questa constatazione, che la stessa Curia romana non può non fare, sorge spontanea la domanda del perché i cinque vescovi si siano rivolti al Vaticano per rispondere a delle domande di cui sapevano già la risposta (tra l’altro a loro favore). Non certo per questioni di contenuto, in quanto appunto gli Statuti stessi del Cammino sinodale contemplano il carattere non obbligante per i singoli vescovi e le loro Chiese locali. Non rimane che la possibilità di una loro esplicita volontà di squalificare il Cammino sinodale nel suo complesso, creando ad arte un incidente a livello comunicativo.

Perché è esattamente a livello della comunicazione che la risposta vaticana alle domande dei cinque vescovi tedeschi va a intaccare il processo sinodale della Chiesa cattolica tedesca – dando adito alle risonanze mediatiche che ne sono seguite. A livello di contenuto e di sostanza, la lettera vaticana non cambia nulla dello stato delle cose. Questo anche per ciò che concerne la proibizione esplicita dell’istituzione di un “Consiglio sinodale a livello nazionale, diocesano o parrocchiale” da parte “del Cammino sinodale o di una conferenza episcopale”.

Non cambia nulla perché lo stesso Cammino sinodale si è dato come limite e ambito all’interno del quale elaborare la struttura, il mandato e il compito del “Consiglio sinodale” quello delineato dal vigente Codice di diritto canonico. Infatti, viene da chiedersi in virtù di quale autorità si può impedire a priori a una Chiesa locale di sviluppare organi consultivi e decisionali che rispettino l’attuale Codice di diritto canonico e l’ecclesiologia giuridica da esso disegnato (che, poi, dentro questa cornice sia possibile un’effettiva sinodalità a livello di Chiesa universale e locale è un’altra questione)?

L’unica cosa che la lettera dei dicasteri romani vieta realmente è quella di chiamare questo eventuale organo “Consiglio sinodale” – nulla di più. Infatti, non è a priori escluso che l’attuale Codice di diritto canonico e le parti della costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium che riguardano l’esercizio del ministero episcopale possano permettere a un vescovo, o a una Conferenza episcopale, di decidere liberamente di vincolare le proprie decisioni non solo a dinamiche di consulenza con organi preposti (e composti anche da laici), ma anche al voto espresso da questi organi.

La potestas e l’auctoritas del vescovo, o del corpo episcopale, non sarebbero né lese né limitate – in quanto si tratterebbe di una decisione che proprio da esse deriva e in forza di esse viene presa.

Insomma, sia il quadro canonico sia quello dogmatico devono essere debitamente indagati per individuare forme di sinodalità che siano espressione effettiva e stabile della struttura fondamentale della Chiesa – a meno di questo, la sinodalità non sarebbe che una farsa e un perfido inganno per riaffermare in maniera politicamente corretta il clericalismo come legge suprema della Chiesa cattolica.

Ed è proprio in ragione di questa indagine che il Cammino sinodale tedesco ha istituito il “Gruppo di lavoro sinodale” – al quale i cinque vescovi dubbiosi non sono obbligati a partecipare (dove il Vaticano conferma gli Statuti del Cammino sinodale), ma è loro consentito di partecipare (anche per il Vaticano).

Un elitarismo tedesco?

Ad aggrovigliare ulteriormente la matassa comunicativa, con le conseguenti strumentalizzazioni, da un lato, e irritazioni, dall’altro, hanno contribuito alcune affermazioni di papa Francesco sul Cammino sinodale della Chiesa tedesca espresse nel corso della recente intervista rilasciata ad Associated Press. Secondo Francesco, l’esperienza tedesca “non è un sinodo, non è un vero cammino sinodale ma solo un cosiddetto cammino sinodale, perché non include il popolo di Dio nella sua interezza, ma viene portato avanti da delle élites”.

Se la preoccupazione dei dicasteri romani sembra vertere sull’oggetto/esito del Cammino sinodale tedesco, quella del papa pare orientarsi in primo luogo sulla composizione del soggetto sinodale stesso: che, nella sua visione, sarebbe elitario e non di popolo.

Ogni visione ha le sue precomprensioni – e, forse, sono proprio queste ultime a risultare più problematiche in questo caso. In primo luogo, perché il Cammino sinodale tedesco è nato esattamente in ragione del popolo di Dio. Di un popolo di Dio abusato, violentato, ferito indelebilmente nel corpo e nell’animo.

Posti davanti alla prima indagine complessiva sugli abusi sessuali da parte di preti e religiosi maschi nella Chiesa locale, alla dimensione strutturale e sistemica che li ha permessi e occultati per decenni, i vescovi tedeschi si sono trovati costretti a riconoscere i limiti devastanti di un esercizio solitario del potere e a cercare forme della sua strutturazione che corrispondessero effettivamente al grido e alla giusta rivendicazione da parte delle vittime.

La scelta della sinodalità, quindi, si origina nel tentativo di sciogliere il vincolo perverso tra potere e violenza, tra autorità e occultamento, tra leadership e indifferenza. Il Cammino sinodale tedesco è dovuto ed è un dovere proprio rispetto a quella parte del popolo di Dio che ha vissuto, e continua a vivere, l’incontro con l’istituzione ecclesiale e il Vangelo che essa custodisce come un trauma indelebile. Trauma che è stato ascoltato e ospitato dall’Assemblea generale, con la testimonianza di alcune vittime, e che fa parte del Cammino sinodale stesso, nella persona di alcuni dei delegati che lo compongono.

Viste dalla parte delle vittime, queste parole di papa Francesco sono semplicemente irricevibili perché significano un misconoscimento della loro rappresentanza all’interno del Cammino sinodale tedesco e del senso della sua origine nel loro trauma. Se quelle parole generano nei teologi e nelle teologhe irritazione e risentimento (tanto per dare un nome alle élites), nelle vittime producono una ferita ulteriore confermandole nell’irreparabilità del trauma patito.

Una seconda questione riguarda i modi mediante i quali il popolo di Dio si rappresenta. Immaginare un unico modello di questa rappresentazione del popolo di Dio significa negarlo nella sua realtà e concretezza diversificata a livello di Chiese locali. La composizione del Cammino sinodale tedesco è frutto della storia, del vissuto, delle pratiche e delle caratteristiche proprie di questa parte di Chiesa cattolica.

Che sono certamente differenti da quelle di altre Chiese locali, ma non per questo devono essere squalificate in partenza come non rappresentative del popolo di Dio nella sua interezza. Lo zelo popolare di papa Francesco corre il rischio di mancare il popolo di Dio stesso così come esso si rappresenta in un determinato contesto del cattolicesimo contemporaneo.

Infine, uno sguardo non pregiudicato deve essere gettato anche sul cattolicesimo tedesco nella sua specificità. Oggigiorno è praticamente scomparso quel cattolicesimo rurale che tanto aveva segnato l’esperienza di Ratzinger e della generazione dei cattolici della sua generazione.

È scomparso perché, per ragioni demografiche e abitative, gran parte dei territori extra-urbani della Germania sono caratterizzati da quello che potremmo chiamare un cattolicesimo cittadino – dove l’appartenenza di fede e l’incontro con il Vangelo sono sempre meno mediati dall’istituzione parrocchiale (intesa in senso classico, ossia con un parroco per ogni comunità cristiana) e dal ministero ordinato, e hanno quindi (anche) altri punti di riferimento per quanto riguarda il vissuto cristiano e le sue pratiche liturgiche e di preghiera.

Nel complesso, si tratta di un cattolicesimo formato, molte volte cresciuto ed edificato grazie agli insegnanti di religione nelle scuole (dove, bisogna ricordarlo, l’insegnamento della religione è pienamente equiparato a quello delle altre materie, fino a poter essere approfondito per l’esame di maturità) e a laici di riferimento nelle comunità cristiane.

Per gran parte delle giovani generazioni, si tratta di un cattolicesimo quasi completamente post-ministeriale: plasmato su un laicato cattolico quale soggetto portante del vissuto delle comunità cristiane. Vissuto le cui pratiche pastorali sono caratterizzate dall’inclusione delle competenze professionali portate dai membri della comunità nella loro progettazione e attuazione.

Da non dimenticare, inoltre, quando si accusa il Cammino sinodale di essere elitario, che esso è in realtà radicato anche nelle singole diocesi della Chiesa tedesca, coinvolgendo in tal modo le comunità cristiane sparse sul territorio del paese. Il popolo di Dio che ha voluto partecipare a questo processo sinodale ha, dunque, avuto il modo e la possibilità di farlo – esattamente come avviene in ogni altra Chiesa locale nel quadro del Sinodo sulla sinodalità della Chiesa voluto da papa Francesco.

Che i modi e le rappresentazioni di questa partecipazione differiscano da paese a paese fa parte del concetto stesso di sinodalità, se essa vuole essere luogo del convenire insieme dei credenti cattolici che vivono in un determinato contesto culturale e sociale. Se così non fosse, la sinodalità sarebbe un modello precostituito, secondo il gradimento delle istanze centrali della Chiesa cattolica, a cui ogni Chiesa locale non potrebbe fare altro che omologarsi – perdendo così la ricchezza e le potenzialità di una convergenza dei cattolicesimi reali che compongono la Chiesa stessa.

Nella crisi delle istituzioni

Negli ultimi tempi, in Germania, non solo i personaggi politici più avveduti, ma anche rappresentanti significativi del mondo dell’imprenditoria, hanno espresso preoccupazione per la condizione in cui versano le due Chiese maggiori tedesche – unita a una disaffezione e mancanza di fiducia della popolazione nei confronti delle religioni.

In un momento in cui il corpo sociale del paese è attraversato da profonde tensioni sociali e da una perdita di coesione comune, il mondo politico e civile tedesco comprende che la crisi delle Chiese e quella del riconoscimento pubblico delle religioni gioca un ruolo importante rispetto alla tenuta sociale della cittadinanza.

Quando il Vaticano decide di intervenire rispetto a una Chiesa locale, creando quello che potremmo chiamare un incidente disastroso a livello di comunicazione, dovrebbe tenere conto anche di questi fattori. Indebolire ecclesialmente una Chiesa locale produce un impatto non solo rispetto al suo rilievo sociale, ma anche sulla credibilità pubblica della testimonianza della fede. Credibilità già giunta ai suoi minimi storici, anche e soprattutto in virtù degli abusi sessuali su minori e adulti vulnerabili che sono stati la forza drammatica che ha acceso il Cammino sinodale della Chiesa cattolica tedesca.

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16 Commenti

  1. Andrea 27 giugno 2023
  2. Pier Giuseppe Levoni 3 febbraio 2023
  3. Tommaso 3 febbraio 2023
    • Giorgio 4 febbraio 2023
      • Pietro 5 febbraio 2023
        • Tommaso 6 febbraio 2023
          • Pietro 6 febbraio 2023
    • Tobia 6 febbraio 2023
  4. Giorgio 3 febbraio 2023
    • Marcello Neri 4 febbraio 2023
      • Giorgio 4 febbraio 2023
  5. Fabio Cittadini 3 febbraio 2023
  6. Enzo Bianchi 2 febbraio 2023
  7. Gian Piero 2 febbraio 2023
    • Marco Ansalone 3 febbraio 2023
    • Anima errante 5 febbraio 2023

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