Tutta l’Europa è attraversata dalla protesta degli agricoltori che con i loro trattori sono giunti fin sotto le stanze del potere politico.
Molto si è scritto sulle ragioni di questo movimento, che sta mescolando problematiche di sostenibilità ambientale e di salute con problemi economici e finanziari, con il rispetto di accordi internazionali, esistenti e futuri; il tutto condito nello scontro politico della lunghissima campagna elettorale già da tempo iniziata verso il nuovo parlamento europeo.
Cerco di chiarire i punti della contesa.
Problemi di sostenibilità ambientale e di salute
Il grande piano europeo di decarbonizzazione non poteva non considerare con grande attenzione l’impatto che la produzione di cibo esercita sulla produzione di gas serra o GNG (greenhouse gas).
Il 26% della produzione di GNG nel mondo è, infatti, da riferire alla produzione degli alimenti, un valore paragonabile all’emissione di gas serra prodotto da tutte le automobili circolanti. Di questa quota, tralasciando quanto emesso dai processi di trasformazione, confezionamento, trasporto e vendita al dettaglio (18%), la parte maggiore è da imputare agli allevamenti dei capi animali – molte volte più numerosi degli umani – e alla produzione di cereali e di foraggio per la loro nutrizione (53%), mentre solo il 29% è generato dall’agricoltura per nutrire gli 8 miliardi di abitanti del pianeta Terra.
A ciò si somma il fatto che l’agricoltura – senz’altro importante per la cura del territorio, tanto che i suoi operatori sono stati definiti «custodi della natura» – è divenuta progressivamente motivo di inquinamento ambientale per l’impiego di fitofarmaci, più noti come pesticidi e diserbanti, rilevati in tracce in molti alimenti e, quindi, anche nell’uomo.
Per alcuni cibi, gli studi documentano un possibile rischio di cancerogenicità – ad esempio, tra tutti, a causa del glifosato – ed è stato intrapreso, non senza resistenze, un lungo percorso per giungere alla sua eliminazione. Vale al riguardo, come sempre, il principio di precauzione. Oltre ai rischi per la salute umana, queste sostanze costituiscono un rischio per la stessa agricoltura: la progressiva scomparsa, infatti, degli insetti impollinatori – le api su tutti – sempre per effetto dell’uso di fitofarmaci, rischia di far crollare la produzione agricola.
Il piano strategico della UE
Per mitigare il cambiamento climatico − che tanti danni ha provocato e sta provocando all’agricoltura italiana ed europea − l’Unione Europea ha sviluppato un piano strategico, il Green Deal ovvero una decarbonizzazione a tappe, con impegni presi e sottoscritti dalla COP 21 di Parigi in poi, dagli Stati membri. Il programma include diverse proposizioni, tra le quali, la From farm to fork e la Biodiversity 2030 per una agricoltura innovativa e volte a limitare l’impatto della produzione alimentare sull’accumulo di gas serra.
Si possono riassumere nei seguenti punti:
- + 25% di superficie coltivata con metodo biologico,
- – 50% di utilizzo di antibiotici negli allevamenti,
- + 10% di aree mantenute ad alta biodiversità,
- – 50% d’uso di fitofarmaci.
Si tratta di obiettivi, evidentemente, tesi a tutelare la salute umana e la conservazione del pianeta, con un’agricoltura di precisione che ha già dimostrato di poter funzionare apportando un alto valore aggiunto.
L’Italia, peraltro, con oltre 2 milioni di ettari di agricoltura biologica e un valore di mercato estero pari a 3,4 miliardi di euro, è il Paese europeo col più ampio territorio dedicato al biologico – 17,5% del totale contro una media del 9% negli altri Paesi UE – in costante crescita da oltre 10 anni, con l’obiettivo, posto dalla Farm to fork, di raggiungere presto il 25%.
Antibiotici e fitofarmaci
Due punti ben delineati dal Green Deal rivestono particolare interesse sanitario, ovvero l’uso degli antibiotici negli allevamenti e l’uso dei fitofarmaci nell’agricoltura.
In Italia circa il 70% degli antibiotici commercializzati viene usato negli allevamenti: si tratta di un impiego triplo rispetto alla Francia e quintuplo rispetto al Regno Unito. L’estensione di queste pratiche mirate alla prevenzione dell’insorgenza e della diffusione delle malattie infettive negli allevamenti, inevitabilmente, sviluppa nei batteri la capacità di resistere sempre più ai trattamenti (antibiotico- resistenza). Ciò, progressivamente, sta privando la sanità di farmaci fondamentali per combattere le infezioni anche negli umani.
Ricordo che l’Organizzazione Mondiale di Sanità e tutte le associazioni scientifiche che si occupano di nutrizione consigliano, in ogni caso, di ridurre il consumo di carne, perché attestato, nel mondo occidentale, su livelli dannosi per la salute.
Per quanto riguarda l’uso dei fitofarmaci, la sola evidenza che tracce di queste sostanze si trovino nei tessuti e nel sangue della popolazione dovrebbe costituire un buon motivo per sostenere l’applicazione delle norme approvate dalla Commissione.
Invece, proprio su questo punto, è stata combattuta una lotta che ha finito per penalizzare quegli stessi piccoli agricoltori italiani che possono, insieme, vantare la più alta percentuale di terreno libero da pesticidi.
La proposta di regolamento sull’uso dei fitofarmaci (SUR), sostenuta da oltre 1 milione di firme dei cittadini di tutta Europa, è stata bocciata a novembre 2023 dal Parlamento Europeo ed è finita su un binario morto, tra il plauso delle associazioni dei coltivatori italiani. Si sta così facendo l’ennesimo regalo alle multinazionali della chimica e dell’industria fossile – madre di tutti i fitofarmaci – contro la salute dei cittadini europei e di una importante quota di agricoltori innovativi
Problemi economici
In larga parte dell’Europa e in Italia la percentuale del reddito delle famiglie dedicata all’alimentazione si è ridotta sensibilmente negli ultimi 50 anni, lasciando spazio ad altre spese, soprattutto in tecnologia. Negli ultimi 15 anni, fonti ISTAT e studi di Confcommercio concordano nel dire che la spesa media di una famiglia nel comparto alimentare si è ridotta di un altro 2% rispetto ai consumi totali, pur riducendosi molto il numero di pasti in casa.
Questa progressiva diminuzione della quota di spesa dedicata agli alimenti è in gran parte frutto di strategie che hanno progressivamente spostato la spesa dal dettaglio alla grande distribuzione, non senza effetti sulla remunerazione degli agricoltori per i loro prodotti.
Così, per fare solo un esempio, se nel 1975 circa il 70% del prezzo finale del latte veniva riconosciuto agli allevatori, oggi agli stessi va meno del 30%, e ciò non coprirebbe gli oneri di produzione se non intervenissero i sussidi della Unione Europea.
Nel nostro Paese, le migliaia di piccoli agricoltori nulla possono nei confronti della grande distribuzione, e anche i sussidi della PAC (Politica Agricola Comunitaria), allineata alle lobby finanziarie, hanno finito per privilegiare i grandi produttori molto più dei piccoli agricoltori.
Problemi finanziari
La legge di bilancio ha costretto il Governo a rivedere molte delle promesse fatte prima delle elezioni politiche del settembre 2022. Sono stati limitati gli sconti sul gasolio ad uso agricolo, ed è stata introdotta un’ulteriore tassa sui fitofarmaci quale contributo annuo sulla sicurezza alimentare. Sono misure opportune ed in linea con le richieste UE, ma che certamente pesano negativamente sui costi di produzione.
Anche l’esenzione IRPEF per i redditi dominicali ed agrari per le imprese primarie è stata dapprima cancellata, e sarà ora probabilmente reintrodotta sotto la pressione del movimento dei trattori.
Accordi internazionali
A giugno 2022, la Commissione europea ha eliminato tutte le tariffe doganali sulle importazioni dall’Ucraina, così il grano ucraino ne ha fatto crollare il prezzo nei Paesi limitrofi, scatenando le prime proteste e mettendo a rischio la stabilità del mercato unico. Il problema ha raggiunto anche l’Italia, ove peraltro si teme, di questi tempi, l’arrivo sul mercato di grandi quantità di grano duro dalla Turchia.
Criticità esistono anche per lo scambio di prodotti commerciali con i Paesi del Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay), col rischio che i prodotti di quei Paesi, ottenuti in coltivazioni non sottoposte alle stesse regole europee e quindi non privi di fitofarmaci, possano affossare i prezzi dei cereali sul mercato europeo.
In questo quadro assai complesso per la sostenibilità ambientale, economica e sociale, gli agricoltori hanno visto perdere progressivamente parte del loro reddito a favore delle grandi compagnie. I gravi eventi climatici – che hanno caratterizzato il 2023 – hanno messo definitivamente in ginocchio molte imprese.
Tuttavia, trasformare la legittima protesta nel rifiuto di alcuni processi improcrastinabili è un errore. La collettività dovrà pagarne a lungo le conseguenze. Arrendersi poi dinanzi a quanti ritengono che non sia ancora il tempo di avviarsi sulla strada della decarbonizzazione e perciò frenare un processo che sembrava finalmente avviato, dopo anni di insuccessi, è cosa assai grave.
Oggi, le nuove tecnologie consentono di aumentare la resa economica dei terreni attraverso l’agrivoltaico, ove al reddito derivato dalle colture si somma il canone annuo per l’affitto del terreno agli impianti per la produzione di energia pulita. Abbiamo, poi, anche in Italia esempi di agricoltura verticale di verdure e ortaggi – idroponica e aeroponica – con grande risparmio di suolo, di acqua, di fitofarmaci. Tutto questo ci porterebbero verso un’agricoltura moderna. Ma, ancora una volta, ciò avviene a favore solo delle grandi concentrazioni di capitale.
Debolezza politica
Così la politica china il capo davanti alle proteste, anziché spiegare le ragioni del cambiamento necessario e indicare la via del futuro per un cambiamento ecologicamente sostenibile. Sotto la pressione della piazza la Commissione Europea sta ritornando sui suoi passi in fatto di decarbonizzazione, mettendo a rischio i piani fin troppo a lungo meditati, mentre gli esperti di clima ci avvisano che «non c’è più tempo da perdere e dobbiamo correre se vogliamo evitare il disastro!».
Il ripensamento rischia di screditare le istituzioni e sta innescando un meccanismo a cascata che ridà voce ai negazionisti climatici, che ora chiedono pure di rivedere il superamento – già programmato – dei motori termici delle auto verso il trasporto elettrico.
Francamente mi sorprende e mi disturba ora osservare il modo in cui la marcia degli agricoltori sui loro trattori – con grave intralcio alla circolazione – viene ben tollerata, se non plaudita, dalla politica, mentre ai giovani attivisti del clima vengono applicate misure severissime anche per atti che non comportano lesioni, né colpiscono gli altrui interessi.
LA EL ALAMEIN DEI CONTADINI.
Seppure le costanti rimostranze sulle disparità di genere, una qualsiasi femminista italiana che sia anche impegnata politicamente, ad almeno il 95% è proveniente dalle passate famiglie agricole di contadini patriarcali, e, se va; quando specialmente una meridionale che riporta ripetuti i nomi delle nonne e poi delle trisnonne prozie etc; a guardare i ruoli catastali dei luoghi di origine, troverà iscritte diverse omonime con lontane date di nascita che risultano proprietarie di innumerevoli particelle di terreno agricolo di ormai scarso od irrisorio valore, suddivise tra pascolo arativo seminativo frutteto boschivo etc.
Certamente, i diritti delle donne ad ereditare una parte di beni familiari non sono eventi che risalgono a lontani passati feudali , ma di più, la concreta riforma legislativa è avvenuta nella Italia dal 25 giugno 1865 con la promulgazione del primo codice civile del Regno d’Italia , che ci viene tramandato come codice con il nome di Giuseppe Pisanelli, al tempo ministro di Grazia e Giustizia, ma ben prima, per le sue più ampie idee, riparò a Torino in seguito ai moti rivoluzionari del 1848, insieme ad un folto gruppo di stessi intellettuali napoletani tra i quali, Bertrando Spaventa.
Un primo flebile sintomo di nuovo movimento, si scorge proprio nella abolizione del Fedecommesso e del Maggiorascato e di altre introduzioni riprese dal codice napoleonico, che sancirono la fine delle secolari norme ad esclusivo favore del maschio primogenito, riconoscendo nel contempo la ammissione delle figlie femmine addirittura, ed almeno per la quota legittima. Ora si deve considerare che al tempo, nel 1865 molte regioni ancora non italiane non vennero intressate da queste novità giuridiche. Una fra tutte l’Alto Adige di lingua germanica, che al tempo faceva parte della Contea del Tirolo, poi, con la divisione del 1919 tra Italia ed Austria, quando nel 1938 nella Austria annessa da Hitler venne ugualmente abolito il Familienfidekommiss ancora una volta l’Alto Adige non rientrò in tali disposizioni perchè faceva parte del Regno d’Italia.
Ora , sembra che nello stesso 1919 vennero con blanda formalità introdotte le regole giuridiche italiane ma con scarsa convinzione, come se, non fossero in grado di osservarle correttamente per vari impedimenti anche di comprensione linguistica, o forse storicamente memori del precedente giuridico dei Regni longobardi in Italia ove; e l’ Editto di Rotari ancora lo testimonia nientemeno per iscritto, in uno stesso nuovo Stato costituito da due prevalenti componenti etniche dovevano coesistere due distinti codici con differenti leggi, uno con norme più semplici grette e sbrigative per i longobardi, ed altro con norme più complesse ed elaborate destinate alle più colte popolazioni romane.
Perciò il tentativo di italianizzazione non si risolse in non altro che una parvenza de iure senza scalfire minimamente i loro ritmi, capacità e conoscenze tradizionali.
Tanto risulta vero che esattamente ora che sto scrivendo, in una stessa Italia e non in Germania, sono esattamente vigenti norme immutate che risalgono ad ancor prima del Sacro Romano Impero, specificatamente concretizzate nell’istituto del Maso Chiuso dove, escludendo oppressivamente le povere sorelle, i beni vengono legalmente ereditati dal primogenito maschio, italiano, di cittadinanza italiana, ed in questo fa nel 2017 proferire al senatore Hans Berger della SFP : Onorevoli Senatori – il maso chiuso ( Geschlossener Hof) è un istituto tipico dell’area alpina germanofona, particolarmente diffuso in Tirolo, che ha garantito in Alto Adige, a differenza delle altre regioni italiane, la salvaguardia dei territori agricoli montani, impedendo la parcellizzazione delle superfici, causa frequente dell’abbandono etc
Chiaramente la estrema parcellizzazione delle superfici agricole che ci rimproverano i tirolesi è accaduta proprio per l’acquisizione dei diritti di eredità delle femmine, ancora però, come in Trentino-Alto Adige non completamente riconosciuti a tutte, benché siano diritti costituzionali. Difatti per le continue ripartizioni sentimentali di generazione in generazione ai propri figli, ed ormai paritariamente anche femmine, abbiamo ridotto gli appezzamenti a non più ampiezza di un fazzoletto o di tessera di mosaico, con funzione di ricavarne minimi prodotti di stretta sopravvivenza nel passato mondo contadino di immutabilità medievale. Oggi, e dalla grande meccanizzazione, non hanno più senso economico se l’agricoltura è completamente tecnologica anzi tanto più è valida quando più opera con più potenti mezzi impiegabili in quanto più ampie pianure. Ulteriore guasto le riforme agrarie del dopoguerra ove hanno spezzettato i latifondi in lotti di qualche ettaro sufficienti lo stesso ad una sobria economia di una famiglia di coltivatori diretti.
Tanto questo per il volere dei Padri Costituenti che non avevano capito che non avevano perso la guerra perché la ideologia era sbagliata ma perché l’esercito disponeva di macchinario più leggero e meno potente degli avversari, ponendo quindi all’ art. 44 della Costituzione la fissazione di limiti alla estensione della proprietà terriera e promuovendo la trasformazione dei latifondi per alimentare la ripetizione di ormai anacronistiche minime aziende restate di misera mentalità rurale, quando già da allora ed oggi ancor di più se rimasti integri, in quei latifondi potevano essere proficuamente impiegate le nuove macchine agricole di forte equivalente potenza alle macchine militari che ci avevano sconfitti.
Il risultato è nelle proteste attuali di una moltitudine di piccole aziende con mezzi di potenza minore .(come i carri armati italiani dad El Alamenin.) che lavorano appezzamenti di scarse dimensioni e che in specie nella coltivazione dei cereali e dei prodotti base producono ad un costo molto meno conveniente da quello che il libero commercio globale ci può offrire nei nostri porti, quindi mezziadeguati a perdere ancora una volta la stessa guerra.
Una politica di riorganizzazione fondiaria, in Italia, potrebbe essere oltremodo necessaria, con un intervento forte, che arrivi; ribaltando il limite costituzionale; alla creazione di aziende cerealicole che abbiano a disposizione terreni riadattati alla ampiezza minima di un qualche migliaio di ettari in modo da impiegare più economicamente un grande macchinario che ne dismetta trenta degli attuali, con costi poi proponibili sul mercato, quindi, identici alla concorrenza internazionale.
Ben riconosciuto che oggigiorno la agricoltura italiana di esportazione non può neanche più essere definita tale, nel senso di attività destinata alla produzione per la primaria alimentazione umana, ove, parallelamente alle auto o abbigliamento di qualità, in massima percentuale attinente all’industria dell’intrattenimento se i generi che vende sono di più di culinaria, indirizzati al diverso settore dei gourmet, dei ristoranti in tutto il mondo, pubs, locali di ritrovo etc., e non certo alle mense degli operai delle fabbriche, ma, è facile dire, se negli scaffali dei supermarket mancano il prosecco il culatello e la salsa al tartufo, l’episodio non provoca lo stesso turbamento sociale della mancanza della farina del pane e della pasta, legumi ed altri prodotti base.
Pertanto un opportuno studio per il rimodulamento della politica agricola non può non cosiderare come, in esempio, un operario della Val di Sangro, che per un bicchiere di vino in famiglia , oltre le otto ore in fabbrica deve altre tre ore lavorare la piccola vigna delle discusse particelle ereditarie, ed acquistando la benzina per il trattorino senza agevolazione al distributore lungo la strada, deve all’opposto pagare le tasse per finanziare il gasolio agevolato anche a quelle rinomate aziende vitivinicole che immettono sui mercati vini esclusivi verso una clientela selezionata, cosicché i loro capi, Tavares come Elkan, invece di 200 euri a bottiglia li possano acquistare a prezzo calmierato di 190 grazie alle facilitazioni fiscali offerte dalla classe minore. Perciò sarebbe giusta ora differenziare con distinto disegno la legislazione per la agricoltura indirizzata ai prodotti di base per lo stato popolare, dalla altra di diverso settore che vende a peso d’oro come le gioiellerie.
Salvo, per tornare al Tirolo, ad un miracolo di San Florino che in Val Venosta trasformava l’ acqua in vino e solo in quel caso si potrebbe ,come adesso, fare di tutta un erba un fascio se si puó (senza finire in galera) trasformare il San Crispino in Brunello di Montalcino .