Conosciamo bene il fenomeno delle migrazioni. Quelle nostre in sud America o negli Stati Uniti, dopo la prima e la seconda guerra mondiale; quelle interne dal sud al nord d’Italia e recentemente le ondate di rifugiati dall’Est europeo, dal Medio Oriente e dal nord Africa.
Sono fenomeni diversi, frutto comunque di disagi, paure, ostilità, ma anche di accoglienza.
I giudizi sul fenomeno sono diversi – al di là degli slogan – a seconda del reciproco interesse. Quando dal sud d’Italia, a cavallo degli anni ’50 e ’60, interi paesi salirono al nord, fu l’esigenza occupazionale ad attutire i contrasti. Così è avvenuto per le badanti: un milione di persone sono venute in aiuto alle nostre richieste di assistenza. I cinesi stanno invadendo il mondo e non suscitano grosse ostilità. Altre volte sembra che un odio irrefrenabile colpisca anche persone per bene.
Le migrazioni hanno alla base povertà, guerre e persecuzioni. È avvenuto nella storia prima ancora dell’invito ad Abramo, fatto da Dio: «Il Signore disse ad Abram: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione”» (Gen 12,1-2).
Nessuno vorrebbe lasciare la propria patria per un futuro che spera migliore, ma del quale non è affatto sicuro. È la necessità a spingere i popoli fuori dalla propria terra.
Le parole della canzone, che spesso cantiamo nelle liturgie, racconta bene lo stato d’animo di un migrante: «Abramo non partire, non andare, non lasciare la tua terra, cosa speri di trovar? La strada è sempre quella, ma la gente è differente, ti è nemica, dove speri di arrivar? Quello che lasci tu lo conosci, il tuo Signore cosa ti dà?»
Il dramma recente
Nell’ultimo decennio si è aggiunta la migrazione massiccia dai paesi del Medio Oriente e dell’Africa, con il suo carico di violenza, tratta nei barconi, prima accoglienza spesso provvisoria e, in alcuni casi purtroppo, speculativa. Nel 2016 sono state accolte in Italia quasi 180 mila persone, senza considerare chi, entrato in Italia con permesso turistico, è poi rimasto.
Le paure per gli abitanti dei nostri piccoli paesi e di alcuni quartieri delle grandi città sono aumentate. Con attese di risposta da parte dello Stato molto lunghe, fino a due anni, per arrivare al respingimento e quasi mai al rimpatrio.
Il fenomeno si è fatto globale: in Europa, negli Stati Uniti, nel Medio Oriente. Alla base del caos e delle conseguenti paure si è aggiunta la piccola e grande criminalità: assistere alla violazione delle proprie case, delle proprie attività incute giustamente terrore.
La reazione istintiva è il rifiuto, salvo poi preoccuparsi per i 600 mila italiani nel Regno Unito, che con il Brexit rischiano di essere espulsi.
Una spiegazione dei timori è da ricercare nell’impreparazione di accoglienza di immigrati che, da decenni, in Italia non avveniva. La rete sociale della nostra Italia è fatta da famiglie stanziali: generazioni e generazioni che abitano nello stesso posto e si conoscono fin dai nonni e bisnonni. Travolgere questo equilibrio ha creato ansia e insicurezza.
La criminalità è un problema serio. Fasce marginali di italiani e stranieri hanno costituito bande pericolose che, sistematicamente, colpiscono zone, con violenza e arroganza. La stessa legge civile e penale non è aggiornata a questi nuovi tipi di trasgressioni: spesso risulta lenta, contraddittoria e inefficace.
Le risposte civili a un flusso così alto di immigrati non sono ancora all’altezza della situazione: decreti, coinvolgimenti delle autorità locali, ancora marginali, non poggiamo su un vero piano di integrazione.
Il futuro da programmare
La prima presa di coscienza da interiorizzare è che il fenomeno migratorio non è emergenziale, ma strutturale. Le popolazioni attorno all’Europa sono composte da persone giovani e povere. La spinta verso lidi più sicuri è forte. Se si aggiunge la tratta dei migranti il risultato è un insieme di speranze e di dolori che colpiscono i diretti interessati, mettendo anche in difficoltà chi accoglie.
L’Agenzia dell’ONU per i rifugiati (UNHCR) ha conteggiato, per il bacino del Mediterraneo, dal 2008 al 2016, il transito di un milione e settecentomila persone; 15 mila tra esse sono morte in mare. L’Italia ha fatto la sua parte; non altrettanto i 27 paesi dell’Unione Europea. Sta crescendo fortemente il rifiuto e la soluzione, per molti, sarebbe la costruzione di muri.
Una coscienza umana e illuminata presupporrebbe una politica di aiuto nei paesi di origine, la lotta ai trafficanti, un’accoglienza accompagnata da integrazione: molte le speranze e, purtroppo, un lentissimo cammino per soluzioni politicamente intelligenti, oltre che umane.
La coscienza cristiana
Una coscienza cristiana prima di tutto si attiva per l’accoglienza di fronte a emergenze estreme: non possono prevalere resistenze e atteggiamenti equivoci. Il Salmo ricorda che Dio «protegge gli stranieri» (Sal 146,9), perché – come dice il pio israelita –: «Io sono presso di te forestiero, ospite come tutti i miei padri» (Sal 39,13).
I motivi dell’accoglienza per il cristiano non sono solo morali, ma soprattutto teologici. Far parte della creazione, essere destinatari di salvezza, sono condizioni che non fanno eccezioni, comprendendo ogni aspetto della vita.
Lo ricorda bene papa Francesco nell’enciclica Laudato si’: «Tutto è in relazione, e tutti noi esseri umani siamo uniti come fratelli e sorelle in un meraviglioso pellegrinaggio, legati dall’amore che Dio ha per ciascuna delle sue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto, al fratello sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra (n. 92).
Dalle motivazioni profonde segue l’azione. Il Rapporto Caritas dell’aprile del 2016 dice che, nelle strutture facenti capo alla Chiesa, sono stati accolti 22 mila migranti, di cui 13.896 in strutture convenzionate con le Prefetture CAS (fondi ministero dell’Interno), 4.184 persone in strutture SPRAR (fondi ministero dell’Interno), 3.477 persone accolte nelle parrocchie (fondi diocesani), 491 accolte in famiglia o in altre tipologie di accoglienza (fondi privati o diocesani). Una risposta generosa e concreta.
Forse, occorre insistere di più sull’integrazione: il sogno della razza incontaminata è pericoloso perché invoca, oltre che protezione, pulizia etnica. Che non sia mai, perché si tradirebbero creazione e redenzione.