Dal novembre scorso, dunque ormai da tre mesi, la Francia è turbata ogni settimana dalle manifestazioni dei cosiddetti gilets gialli. Tale movimento è nato come protesta fiscale contro l’aumento delle tasse. Però dall’inizio, il movimento ha subito infiltrazioni da militanti estremisti, di sinistra e soprattutto di destra. Con improbabili alleanze rosso-bruno, come all’inizio del nazismo.
Mentre i gilets gialli perdono d’influenza (ormai i manifestanti sono ridotti a 40/50.000 persone per tutta la Francia), gli estremisti rimangono presenti e attivi: contro la Repubblica, contro le istituzioni democratiche, ma anche contro gli immigrati, contro le «élite», contro gli intellettuali, contro gli omosessuali, contro le donne, contro l’Europa. La violenza, a volte assoluta e devastante, è il loro metodo.
I centri delle città sono trasformati in campi di battaglia. Nel cuore di questa violenza, c’è l’antisemitismo, l’odio verso gli ebrei: grida, insulti, provocazioni, profanazione di cimiteri… Tutto ciò fa della Francia una nazione antisemita? La questione è seria. Il numero delle aggressioni verbali e fisiche cresce. Il peso dell’antisemitismo in Francia è stato confermato dall’inchiesta dell’European Agency for Fundamental Rights che denuncia – in tal senso – in particolare due Paesi dell’Unione europea, la Francia e l’Ungheria.
Ma perché la Francia? Gli osservatori evocano le incertezze create dalla globalizzazione, uno stato sociale sclerotizzato, una crisi sociale che nutre gli estremisti, ma anche il peso del conflitto mediorientale senza fine, e la presenza in Francia di un’importante comunità musulmana, che tende a identificarsi alla causa palestinese e a identificare la comunità ebrea con Israele. L’antisemitismo, allora, si nasconde dietro l’antisionismo.
Bisogna anche evocare il ruolo dei social network e l’uso di internet, dove i siti violentemente antisemiti sono attivissimi, sotto la protezione dell’anonimato.
Ma fenomeni simili sono presenti in tanti altri Paesi europei. Quasi dappertutto, si levano voci contro ogni alterità. I movimenti e partiti estremisti raccolgono sempre più voti. L’Europa come spazio di scambi, di libera circolazione delle persone, di accoglienza, di tolleranza, anche di uguaglianza, sembra ripiegarsi sul passato. In ogni Paese dell’Unione Europea ci sono partiti che chiamano i cittadini a rifiutare le diversità, a tornare al passato nazionalistico, a rifiutare più di settant’anni di pax europea. Ci sono governi che vogliono riscrivere la storia a fini di propaganda nazionale, al punto di mettere in causa la libertà della ricerca storica. La Francia è colpita fortemente in questo momento dal virus antisemita.
Ma si tratta di un virus non isolato che si diffonde molto velocemente, senza incontrare confini: tutta l’Europa è a rischio. La storia non si ripete mai esattamente, il nostro tempo non è quello degli anni Trenta del Novecento, ma non si può fare come se Auschwitz non fosse esistito, e come se la Shoah non fosse stata preparata da decenni di odio e di ingiurie antisemite che disarmano le coscienze. Non si può fare come se la pace costruita dagli anni Cinquanta fosse definitiva, quando tutta la storia insegna la fragilità della pace nel momento in cui i demagoghi giungono al potere.
Il tempo presente conferma l’attualità e l’esattezza del timore espresso da Primo Levi quando affermava: «L’idea di una nuova Auschwitz non è certamente morta, niente muore mai».
Oggi la Francia e l’Europa sono attraversate da un nuovo odio, come una malattia. Cent’anni dopo la fine della prima guerra mondiale, degli Stati europei insorgono gli uni contro gli altri, minati da un ritorno in forza del nazionalismo, che porta a dimenticare da dove veniamo, cioè dalle grandi stragi del Novecento, dimenticando che il periodo di pace, civile e internazionale, che l’Europa conosce dal 1945 è tanto eccezionale quanto fragile.
Iniziativa «EuropeForUs» dell’Agenzia SIR, 1 marzo 2019.