Un mese fa sono uscito da Facebook. Non è stata una tragica perdita per la community: il mio account era decisamente poco utilizzato. Lo tenevo per mantenere i contatti con i vari gruppi giovani o giovanissimi con cui collaboravo e poco di più, ma con i nuovi strumenti di messaging e affini, questo problema non sussiste più. Era quindi da tempo che volevo chiuderlo, ma poi si erano messe in mezzo, come al solito, la pigrizia e l’inerzia della vita.
Un mese fa l’ho fatto. Facebook mi avverte fin da subito che l’operazione sarà complessa. E in effetti lo è. Mentre procedo mi viene ricordato almeno tre volte la gravità del mio gesto e mi sono proposte altre strade, meno radicali: «Perché disattivare l’account? Questa è un’operazione irreversibile. È meglio disabilitarlo soltanto, così puoi riattivarlo quando vuoi». Oppure: «Salva i tuoi dati! Nel caso tu volessi tornare qui con noi, potrai fare l’upload e non perdere nulla». Ma ormai mi sono convinto e procedo sicuro. Alla fine FB si arrende, ma a modo suo: «Il tuo account resterà riattivabile per 14 giorni, nel caso che ci ripensi». Insomma, vuole avere l’ultima parola. Ma non cedo: click e via! – sono uscito.
Tre giorni dopo mi manda un messaggio sul cellulare un caro amico. Suona più o meno così: «Marco, tutto bene? Ho visto che non sei più su fb, sei in crisi?». Me la rido, rifletto, ci resto anche un po’ male. La settimana seguente incontro un ragazzo di un clan scout con cui collaboro, sembra sollevato nel vedermi: «Oh, meno male che ti vedo! Tutto bene? Su feisbuc non ci sei più…».
La preoccupazione per le mie condizioni psicofisiche mi ha fatto piacere, in fondo. Ma la reazione dei giovani che conosco mi ha un po’ colpito: esisto comunque, anche se non sono su Facebook. Non avevo pensato che rinunciando a circa 650 amicizie online avrei dovuto anche ricostruire le relazioni offline, tra vere persone fisiche.
Non si tratta qui di condannare la virtualità degli strumenti social di oggi. Anzi, è molto bello e arricchente vedere quanto tengono all’amicizia i giovani. Le relazioni sono il centro e l’epicentro della dinamica della loro vita e questo è davvero affascinante. C’è grande sete di collaborazione e di partecipazione: facendo incontri in vari gruppi giovani, mi accorgo che per tutti è pacifico il principio per il quale l’identità personale si costruisce in una fitta rete di relazioni. Senza relazioni non esistiamo.
Ma ogni cosa bella può presentare qualche parodia, qualche caricatura che ne esalta in maniera disarmonica alcuni aspetti. Amicizia, per i giovani, è divenuta parola chiave, ma con quale significato si riempie questa parola? Se non ci fermiamo a ragionare su questo aspetto, se le relazioni divengono solo lo stato di una bacheca, il rischio è quello di cadere in una «bulimia relazionale», in cui la quantità di amicizie diviene più importante del loro spessore e della loro profondità.
E magari scopriamo che, uscendo da Facebook, non esistiamo più.