Il benessere, ormai è noto, non significa solo assenza di malattia, bensì un più generale equilibrio biologico, psicologico e sociale di ciascuno di noi.
Tutti siamo immersi in un mare di relazioni (si guardi al giorno d’oggi anche agli universi paralleli telematici) e, nello stesso tempo, ci poniamo incessantemente in rapporto con noi stessi, avvertendo (o non avvertendo) sensazioni, emozioni, stati d’animo, o elaborando idee.
Riguardo al piano “orizzontale”, quello interumano, siamo dinanzi a due istanze (in apparenza) contrastanti: la reciprocità e il libero dono di sé (anche sulla base dei “doni” ricevuti dalla natura e, per chi crede, dal Signore).
Senza reciprocità, ad esempio, mancherebbero forse le condizioni stesse della relazione. Al tempo stesso incombe il rischio che proprio la reciprocità si riduca a semplice scambio “mercantile”, al do ut des. Il libero dono, d’altro canto, è sottoposto alla finitezza e ai limiti che caratterizzano la condizione umana.
Insomma: un equilibro quanto mai incerto e instabile, eppure necessario.
Ancora una volta può darci da pensare una considerazione di Jacques Derrida, tratta dalle ultime pagine del testo di Maurice Blanchot Michel Foucault tel que je l’imagine, scritto all’indomani della morte del grande pensatore.
Eccola, dunque: “La philía [l’amicizia] che, tra i Greci e anche tra i Romani, resta il modello di ciò che v’è di eccellente nelle relazioni umane (con il carattere enigmatico conferitogli da esigenze opposte, a un tempo reciprocità pura e generosità senza ritorno), può essere accolta come un’eredità sempre capace di essere arricchita”.
Non una formula magica, dunque, bensì la ricerca, individuale o condivisa, di un rapporto interumano comprendente, appunto, reciprocità pura e, insieme, generosità senza ritorno. Mai parentesi è stata più illuminante, nella sua problematicità!
E se ciò giovasse anche al benessere collettivo?