La Chiesa si sta impegnando a fondo sul tema familiare: due sinodi (2014–2015), un’esortazione post-sinodale (Amoris laetitia) e un dibattito che non accenna a diminuire. Divorziati, divorziati risposati, coppie di fatto, omosessuali ecc.: ciascuno ha trovato un riferimento nel magistero recente. Sui celibi che sono tali non per scelta, come i religiosi, le religiose o i preti, non c’è parola.
Anche solo per questo merita attenzione una pubblicazione del segretariato generale dell’episcopato francese: Celibati, celibatari. Quali prospettive nella Chiesa? La sorpresa ulteriore è che si tratta di una riedizione. Pubblicato una prima volta in Documents Episcopat (n. 3, 2010; traduzione italiana in Regno-doc. 17,2010,579) viene ora riedito, con una diversa introduzione, in Documents Episcopat n. 8, 2017. A testimonianza sia della qualità del testo (a firma di Claire Lesegretain, giornalista presso La Croix e autrice di diverse opere nel merito), sia dell’urgenza del problema pastorale.
Appetiti dal mercato, ignorati dalla Chiesa
I celibi non per scelta «hanno il dolore di vedere i loro amici sposarsi o consacrarsi, mentre essi resta sulla banchina aspettando un treno che non arriva e vivendo uno stato di vita che non hanno voluto». «È necessario riconoscere che le parole ecclesiali che li concernono sono povere, al limite inesistenti, perché costantemente riferite alla preparazione di una vocazione più “positiva”».
Non tutto è rimasto fermo. Dal 2010 in Francia ci sono mediamente cinque o sei sessioni all’anno che diocesi, religiosi, nuove comunità o santuari dedicano loro, raccogliendo circa duemila celibi.
Nel frattempo, è profondamente cambiato il contesto sociale. All’anagrafe in Francia sono 16,8 milioni; 8,9 uomini, 7,9 donne. Erano 36,5% nel 2006. Dieci anni dopo sono 41,2%. Ma dal numero complessivo vanno tolti i preti, le religiose, le unioni di fatto, le unioni libere riconosciute, i divorziati con figli ecc. Allora il numero si riduce a 6 milioni.
Sono soggetti appetibili da parte del mercato (viaggi, incontri, prodotti), ma non vivono un senso di appartenenza. Le attitudine che sembrano più direttamente connotarli sono: risentimenti dolorosi, bisogno di speranza, ricerca di fecondità.
In un contesto sociale fortemente erotizzato l’assenza di un partner o di figli favorisce l’avvilimento e la domanda circa la propria normalità.
Vi sono nei loro confronti molte discriminazioni: dai pranzi a cui non sono invitati per mancanza di partner alla minor considerazione da parte dei genitori, dalla “normalità” del servizio di cura agli anziani alla domanda di ferie non per i periodi “canonici”.
Si sentono sottovalutati anche nella Chiesa e non capiscono come il loro stato si combini con l’insistenza sulla vocazione.
Una prima risposta è quella di parlare positivamente del corpo, non come di un nemico da piegare, ma come di un dono da sviluppare. Non è necessario avere relazioni sessuali per vivere appieno la propria mascolinità o femminilità. La vocazione vale per tutti gli stati di vita, compreso il celibato non scelto: essa richiede la risposta all’appello verso la santità.
I single cristiani aspettano dalla Chiesa un aiuto a vivere la loro condizione e la riconoscenza e l’amore non solo per i loro servizi, ma per quello che rappresentano.
Speranza o inutile attesa?
La seconda attitudine è il sentimento di vivere nell’attesa, con una certa incapacità di prendere in mano la propria vita. Diventa più difficile per loro acquistare un appartamento, cambiare lavoro, trasferirsi altrove. Il futuro non è scandibile dall’attesa dei figli e da una vecchiaia accudita. La prospettiva di un incontro decisivo li espone ad errori e a diventare vittime di un mercato effimero. Soprattutto le donne sono non disponibili a una rapporto di amicizia che resti tale e che ha in sé la sua ragione.
In positivo, va sottolineata la loro ricerca di senso di vita e la loro domanda, spesso implicita, di speranza. Essi possono anche mostrare che il presente è comunque prezioso e può essere vissuto con e per Dio. «Sarà bene incoraggiarli a vivere delle sane relazioni di amicizia, senza seduzioni né gelosia, senza possesso né ricerca di esclusività».
Un terzo atteggiamento è la ricerca di fecondità. Il contesto sociale apprezza molto i valori infantili e giovanili come la creatività, la spontaneità, l’assenza di progetti e meno quelli adulti come l’autorità, la trasmissione del potere, il rispetto della parola data. L’avere figli sembra necessario per il passaggio dei valori. Per il celibe diventa grande la tentazione di sostituire il preteso fallimento affettivo con il successo professionale, che non sarà comunque mai sufficiente per dare completezza a una persona. Sono inoltre pochi gli esempio di dominio pubblico e di ampia conoscenza ecclesiale che valorizzano i single (si può pensare a Frassati, a La Pira, a Schuman).
In positivo, va rimarcato che il dono di sé vale per il matrimonio, per la consacrazione e per il celibe allo stesso titolo e che la fecondità non si misura soltanto con il numero di figli, facendo piuttosto parte di una disponibilità interiore e dell’obbedienza a Dio. Non è necessaria per i celibi una specifica pastorale, ma semmai qualche momento di approccio più calibrato (condivisione, preghiera, accompagnamento spirituale ecc.). Vi sono anche tentativi di vita in comune, una sorta di beghinaggio maschile moderno.
L’“incompiutezza” del single apre a una preghiera di intercessione di grande apertura, in particolare per tutti quelli che soffrono per l’isolamento e la solitudine.
Interessante questo articolo e gli spunti di riflessione e interrogazione che porta. Penso che ci voglia molta lucidità e sensibilità per affrontare temi difficili come questo, che sono causa di sofferenza per tante ragazze e donne, che per i più svariati motivi non riescono a trovare un fidanzato e marito cattolico. Purtroppo si tratta di un problema molto diffuso al giorno d’oggi.
Vorrei condividere la mia esperienza su questo argomento, perché anche io in passato ho sofferto molto perché non riuscivo a trovare un ragazzo cattolico con la fede da sposare per creare una famiglia cristiana. Nonostante la sofferenza ho continuato a pregare, e il Signore non mi ha abbandonata. Alla fine, anche se un po’ in là con gli anni, sono riuscita a incontrare un ragazzo cattolico, e dopo un anno di conoscenza ci siamo sposati! Devo ringraziare per questo un’associazione cattolica seria e discreta grazie a cui ho potuto trovare il mio futuro marito: si chiama Movimento Anello d’Oro, gestito dall’Istituto La Casa, un consultorio famigliare cattolico. Quindi vorrei dire a tutte di mantenere viva la fede e la speranza, davvero i piani del Signore sono imprevedibili per noi.