Chiesa o setta?

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Mentre sembra inarrestabile la contrazione numerica delle Chiese e il calo vertiginoso della partecipazione alla vita comunitaria, si prospetta una speranza di sopravvivenza in un’impostazione più “settaria”, con un nucleo di persone impegnate il meno ridotto possibile.

Il teologo e sociologo Ernst Troeltsch (1865-1923) distingue sociologicamente tra “chiesa” e setta”. La prima vive in armonia con la società che la ospita e si propone, almeno tendenzialmente, di accoglierla al suo interno: a tal fine è abbastanza elastica quanto a esigenze e precetti, conosce al proprio interno un nucleo impegnato, intorno al quale si collocano vari cerchi concentrici, con un livello decrescente di coinvolgimento.

La “setta”, al contrario, si presenta in dialettica con l’ambiente sociale, esige dai propri membri una scelta consapevole e un tasso di impegno abbastanza (o molto) elevato. In questo senso, dunque, il termine “setta” non ha una valenza negativa, descrive semplicemente una forma di aggregazione religiosa.

Può accadere, ed è anzi un caso storicamente frequente nel protestantesimo, che una “setta”, nata come contestazione del conformismo della “chiesa”, adotti poi, per ragioni statistiche e dinamiche sociali, il modello che originariamente aveva criticato.

Il cattolicesimo e il protestantesimo (luterano e riformato) mitteleuropeo si sono evidentemente pensati come “chiese” nel senso di Troeltsch e, in quanto tali, hanno profondamente influenzato le rispettive società.

Negli ultimi decenni, queste ultime sperimentano tuttavia un’accelerazione drammatica di un processo erosivo che ha origini lontanissime, ma che ora è giunto a minacciare la stessa esistenza delle Chiese: la diminuzione dei membri appare, in alcune situazioni, vertiginosa.

Le ragioni fondamentali sono due: 1) le figlie e i figli di famiglie cristiane sempre più spesso si distanziano dalla fede dei loro genitori; 2) molti giovani adulti (specie tra i 25 e i 45 anni) abbandonano la Chiesa.

Gli abbandoni, secondo le inchieste, non sono di solito conseguenza di crisi violente o improvvise: si tratta di persone che appartengono alle fasce più esterne e meno militanti delle comunità e che a un certo punto decidono di troncare un legame divenuto ormai formale.

Il fenomeno è particolarmente chiaro e facilmente misurabile nei Paesi dove l’appartenenza religiosa viene formalizzata anche per motivi fiscali. Ovviamente, il tasso di abbandono è tanto più elevato quanto più è ampia la fascia “periferica” dei membri. Utilizzando le categorie di Troeltsch, ci si potrebbe esprimere così: nell’odierna società europea, il modello “chiesa” tiene sempre meno: se, in passato, un basso livello di partecipazione alla vita comunitaria poteva addirittura garantire alla comunità di fede un ampio consenso, oggi è il presupposto per la sua erosione.

La conseguenza pastorale è abbastanza semplice: nel futuro immediato, le Chiese europee possono sperare di sopravvivere solo diventando un po’ più “settarie”, cioè coltivando un nucleo di persone impegnate il meno ridotto possibile.

L’“evangelizzazione”, per usare un termine che nelle Chiese mobilita vivaci quanto di solito inconcludenti passioni, non riguarda in primo luogo gli odierni “pagani”, quanto coloro che al presente si collocano ancora nella Chiesa, ne comprendono almeno in parte i codici simbolici e non li rifiutano in linea di principio anche se, conformemente a larga parte della loro tradizione di provenienza, si mantengono a prudente distanza dal nucleo centrale della comunità e dalle sue pratiche.

Questo gruppo, percentualmente assai ampio sia nel cattolicesimo, sia nel protestantesimo classico, è esposto alla possibilità di allontanarsi lentamente, ma inesorabilmente (ad esempio riducendo la presenza al culto, il sostegno finanziario alla Chiesa, la competenza religiosa di base), fino ad uscire, di fatto o anche di diritto, dalla comunità; oppure può essere recuperato, attraverso una pastorale mirata.

La contrazione numerica delle chiese non si fermerà, ma il consolidamento favorisce la presenza sociale della comunità di fede nella società postcristiana.

C’è un piccolo presupposto: le Chiese cristiane tradizionali devono smettere di pensarsi come Chiese di popolo: in teoria basta guardare i numeri, ma le resistenze psicologiche sono fortissime. Esistono persino comunità numericamente pari a micro-sette, che però si comprendono come Chiese di massa. Il futuro del cristianesimo dipende anche dalla capacità di riconoscere l’evidenza.

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3 Commenti

  1. Lucio 25 giugno 2021
  2. Adelmo li Cauzi 24 giugno 2021
  3. Angela 24 giugno 2021

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