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L’economia statunitense sta riuscendo a fare un atterraggio morbido, ovvero portare l’inflazione sotto il 2% senza generare alti tassi di disoccupazione. L’aumento della forza lavoro dovuto all’immigrazione ha consentito di ridurre il costo del lavoro, contribuendo a raggiungere l’obiettivo. Paradossalmente, gran parte dell’elettorato americano ritiene che gli immigrati siano la causa di quasi tutti i mali, compresa la scomparsa di alcuni animali domestici in Ohio.
La migrazione è senza dubbio una delle sfide che il mondo di oggi deve affrontare. Nella sua enciclica Fratelli tutti, papa Francesco sottolinea che nelle «società chiuse» la migrazione può anche esacerbare il nazionalismo, la xenofobia, la demagogia e il populismo. Negli Stati Uniti e in Europa i discorsi contro l’immigrazione, gli aumenti delle tariffe, gli embarghi e il protezionismo riempiono i giornali e le agende politiche. Il mondo sembra volersi orientare verso la chiusura delle frontiere, nella falsa speranza di raccogliere frutti abbondanti da un atteggiamento tanto meschino.
Occidente: una sfida esistenziale
Il mondo globalizzato, il mondo caratterizzato da una libera circolazione di beni, servizi e persone regolata da una governance sovranazionale, è un ideale che sembra collocarsi ormai nel passato remoto. Il mondo interconnesso dal commercio in una pacifica coesistenza tra i popoli, il mondo sognato da Mark Twain, Albert Einstein, Wilhelm Ropke e Lev Tolstoj, sembra oggi un ideale irraggiungibile.
Le società sviluppate sono di fronte a sfide immense: l’inverno demografico, l’invecchiamento della popolazione, la mancanza di figli e il calo della produttività. Tendenze che rendendo urgente un ricambio della popolazione e l’aumento dell’innovazione, e che la migrazione potrebbe aiutare a contrastare.
L’Europa è di fronte a una sfida esistenziale. In stagnazione da 25 anni, tutte le misure adottate finora si stanno rivelando inefficaci, come si evince dal recente rapporto The Future of European Competitiveness, redatto dall’ex presidente della Banca Centrale Europea ed ex primo ministro italiano Mario Draghi.
Siamo obiettivi: quello che chiamiamo Occidente è in relativo declino. Le loro economie stanno invecchiando, i loro prodotti non sono i meno costosi e hanno difficoltà a competere con la Cina. Di fronte a una supremazia minacciata e alla vulnerabilità che le nuove circostanze determinano, la risposta che registriamo è un discorso chiuso al mondo, che nega la visione liberale su cui si è basato il suo sviluppo. L’Occidente sviluppato si è riempito di demagoghi con una visione ristretta e miope che incendiano i loro Paesi attraverso discorsi fallaci.
Di fronte alla sfida che le democrazie liberali devono affrontare, c’è bisogno di un’idea all’altezza dei tempi: l’aumento della multipolarità e della competizione a livello regionale implica l’abbandono dello status quo e il rimettersi a pensare. La soluzione non è solo tecnica; richiede che sia messa in gioco un’idea di uomo e del mondo sul piano filosofico e, naturalmente, teologico. È di nuovo necessario chiedersi chi sia l’uomo e quale sia il senso della sua esistenza in questo mondo.
Fratelli tutti, una bussola
In questa prospettiva, è necessario ritornare alla Dottrina sociale della Chiesa in cerca di risposte. Il mondo, soprattutto in Occidente, ha bisogno di incontrare le radici che lo hanno reso prospero e libero. Bisogna fare ritorno al Vangelo per trovare nuove risposte alle sfide del mondo contemporaneo.
Ho trovato una guida per analizzare questi temi nella Fratelli tutti (FT) di papa Francesco. Radicata nel Vangelo, l’enciclica ci invita a mettere da parte molte concezioni moderne del potere e della competizione globale per tornare a pensare con il cuore della Chiesa.
Tutti i Paesi, soprattutto in Occidente, devono «aprirsi al mondo» (FT, 12). Non possiamo lasciare che le frontiere si chiudano e che i mercati si riempiano di barriere. Una mentalità neo-mercantilista pensa al commercio come a un gioco a somma zero: se uno vince e l’altro perde. E dimentica che ogni transazione volontaria deve essere vantaggiosa per tutte le parti, altrimenti non sarà effettuata. Nessuna politica ha contribuito a far uscire dalla povertà così tanti miliardi di persone negli ultimi anni come il commercio internazionale: negare questa realtà significherebbe chiudere la possibilità di un progresso nel Sud globale.
Chiudersi al mondo potrebbe essere una politica che aiuta un Paese per un determinato periodo di tempo, ma non sarà mai una soluzione per il mondo nel suo complesso. Non esiste un’attività così umana come il commercio e – come hanno sostenuto Aristotele, Montesquieu e Voltaire – niente è stato garanzia di pace quanto gli scambi commerciali che uniscono i popoli.
Questo mondo, definito globale, ha bisogno di un «progetto per tutti» e non solo per alcuni. Un progetto per tutta l’umanità. Trovare un progetto comune incontra serie difficoltà quando il discorso politico è fortemente polarizzato, quando ad alcuni viene negato «il diritto di esistere o di pensare e a questo scopo si ricorre alla strategia di ridicolizzarli, di insinuare sospetti su di loro, di accerchiarli» (FT, 15).
In questo mondo che si chiude e teme il diverso, dove riemerge il «razzismo», si dovrebbe comprendere che «nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme» (FT, 32). Ciò richiede uno sforzo da parte di tutti: Sud globale, Nord ricco, cristiani, musulmani, ebrei. La politica deve tornare a essere teatro di grandi discussioni, non di demagoghi che – sui social network – riempiono gli schermi del primo inconsapevole con fake news e semplificazioni.
In un mondo di post-verità, l’umanità appare più fragile che mai e il populismo trova un capro espiatorio nella relativa decadenza dell’Occidente: i migranti. Dietro ogni persona che decide di emigrare, c’è una storia unica. Spesso «non ci si rende conto che (…) ci sono tante vite lacerate. Molti fuggono dalla guerra, da persecuzioni, da catastrofi naturali» (FT, 37), come le persone che ho potuto incontrare negli ultimi anni in Venezuela.
Criteri per fronteggiare la crisi
Il populismo e la xenofobia sostengono la chiusura delle frontiere, che non è la stessa cosa delle frontiere controllate. Per frontiere chiuse intendo inaccessibili alla maggioranza, inaccessibili all’accesso regolare, con la conseguente comparsa di «trafficanti senza scrupolo, spesso legati ai cartelli della droga e delle armi, che sfruttano la debolezza dei migranti» (FT, 38).
La crisi migratoria richiede una riflessione attenta e cristiana. Il papa è categorico: «È inaccettabile che i cristiani condividano questa mentalità e questi atteggiamenti, facendo a volte prevalere certe preferenze politiche piuttosto che profonde convinzioni della propria fede» (FT, 39). È inaccettabile che il cristiano cada in una doppia vita, con una differenza abissale tra quello che pensa quando prega e quando vota.
Il mondo di oggi è fatto di estranei e di persone sole, incapaci di un progetto condiviso in cui le regole siano fissate e uguali per tutti, in cui la logica del potere ceda alla logica del diritto internazionale, e in cui non il mondo non venga diviso tra buoni e cattivi, ma tra fratelli e sorelle impegnati in un progetto comune.
È facile ricevere solo «scienziati o investitori» nei Paesi ricchi (cf. FT, 139). La sfida è pensare a come affrontare le crisi umanitarie di oggi. Nella sua enciclica, il papa elenca alcune raccomandazioni per affrontare la crisi migratoria (FT, 130):
«incrementare e semplificare la concessione di visti; adottare programmi di patrocinio privato e comunitario; aprire corridoi umanitari per i rifugiati più vulnerabili; offrire un alloggio adeguato e decoroso; garantire la sicurezza personale e l’accesso ai servizi essenziali; assicurare un’adeguata assistenza consolare, il diritto ad avere sempre con sé i documenti personali di identità, un accesso imparziale alla giustizia, la possibilità di aprire conti bancari e la garanzia del necessario per la sussistenza vitale; dare loro libertà di movimento e possibilità di lavorare; proteggere i minorenni e assicurare ad essi l’accesso regolare all’educazione; prevedere programmi di custodia temporanea o di accoglienza; garantire la libertà religiosa; promuovere il loro inserimento sociale; favorire il ricongiungimento familiare e preparare le comunità locali ai processi di integrazione».
La sfida appare enorme. Va quindi progettata come impegno condiviso che coinvolga tutti. Ricordando che è possibile «riconoscere Cristo in ogni essere umano, per vederlo crocifisso nelle angosce degli abbandonati e dei dimenticati di questo mondo e risorto in ogni fratello che si rialza in piedi» (FT, Preghiera cristiana ecumenica).
Angel Alvarado è ricercatore senior del Dipartimento di Economia presso l’Università della Pennsylvania (sito personale)
English version
The U.S. economy is achieving a soft landing, that is, bringing inflation to its 2% target without generating high unemployment rates. The increase in the labor force due to immigration has helped lower labor costs, helping to achieve this goal. Paradoxically, a large part of the American electorate thinks that migrants are responsible for almost all the ills they face, including the disappearance of some pets in Ohio.
Migration is undoubtedly one of the challenges facing the world today. In his Encyclical Fratelli Tutti, Pope Francis points out that in ‘closed societies’, migration can also exacerbate nationalism, xenophobia, demagoguery, and populism.
In the United States and Europe, anti-immigration, tariff hikes, embargoes, and protectionism discourses fill the newspapers and political agendas. The world seems to want to move towards closing borders in a pretended and false hope of reaping the abundant fruits of such a petty attitude.
The globalized world with the free movement of goods, services, and people regulated by supranational governance is an ideal that seems to be part of a remote past. The world interconnected by trade, in a peaceful existence between peoples, as dreamed of by Mark Twain, Albert Einstein, Wilhelm Ropke, or Leo Tolstoy, seems today an unattainable ideal.
Developed societies face immense challenges related to demographic winter, population aging, childlessness, and falling productivity, making population replacement and increased innovation urgent. Something that migration can help solve.
Europe faces an existential challenge. Stagnant for 25 years, all the measures it has taken so far are proving ineffective, as is reflected in the recent report, The Future of European Competitiveness, prepared by the former president of the European Central Bank and former Italian Prime Minister Mario Draghi.
Let’s be objective: what we call the West is in relative decline. Their economies are aging, their products are not the lowest cost, and they are finding it difficult to compete with China. Faced with the threat to its supremacy and the vulnerability that the new circumstances foresee, we see as a response discourse closed to the world, denying the liberal vision on which its strength has been based. The developed world has been filled with demagogues with short-sighted, short-sightedness who set fire to their countries with fallacious speeches.
Faced with the challenge facing liberal democracies, an idea appropriate to the new circumstances is required: the greater degree of multipolarity and competition at the regional level implies abandoning the status quo and rethinking again. The solution to these problems is not only technical; it requires an idea of man and the world that rises to the philosophical and, of course, theological plane. In short, it concerns the question of what man is and what the meaning of existence in this world is.
From this perspective, there is a need to revisit the Social Teaching of the Church in search of answers. The world, especially in the West, needs to encounter the roots that made it prosperous and free. This implies returning to the Gospel to find new answers to the new challenges of today’s world.
I have found a guide to delve into these issues in Fratelli Tutti (FT) by Pope Francis. Rooted in the Gospel, it invites us to set aside many modern conceptions of power and global competition to think with the heart of the Church.
The world, especially the West, needs to “open up to the world” (FT, 12). We cannot let borders close, and markets become full of barriers. A neo-mercantilist mentality thinks of trade as a zero-sum game; if one wins and the other loses, forgetting that every voluntary transaction is beneficial for the parties otherwise, it will not be carried out. No policy has helped lift so many billions out of poverty in recent years as international trade; to deny that reality would be to close off the possibility of progress in the Global South.
Closing oneself off from the world could be a policy that helps a country for a specific period of time, but it would never be a solution for the world as a whole; there is no activity as human as trade, and nothing has been so much a guarantee of peace as the trade that unites peoples, as Aristotle, Montesquieu, or Voltaire have maintained.
This world, called a global one, needs a ‘project for all’ and not just for some. A project for all humanity. Finding a common project encounters serious difficulties when political discourse is full of polarization, when men are denied the right to ‘have an opinion or exist (…) and the strategy of ridiculing them or suspecting them, is resorted to’ (FT, 15)
In this world that closes in and fears what is different, where ‘racism’ reappears, it should already be understood that ‘no one is saved alone, that it is only possible to save ourselves together’ (FT, 72). That requires an effort from everyone: Global South, rich North, Christians, Muslims, Jews. Politics must once again be the scene of great discussions, not of demagogues who, on social networks, fill the screens of the first unsuspecting person with fake news and simplifications.
In a world of post-truth, humanity appears more fragile than ever, and populism finds a scapegoat in the relative decadence of the West: migrants. Behind every person who decides to emigrate, there is a unique story of. ‘wars, persecutions, catastrophes, natural disasters’ (FT, 37) like the ones I have seen in Venezuela in recent years.
Populism and xenophobia advocate closed borders, which is not the same as controlled borders; by closed borders, I mean that they are inaccessible to the majority, inaccessible to access regularly, with the secular consequence of the appearance of ‘unscrupulous traffickers, often linked to drug and arms cartels, that exploit the situation of weakness of the migrant (FT, 38).
The migratory crisis calls for careful and Christian reflection; the Pope is emphatic: “It is unacceptable for Christians to share this mentality and attitudes, sometimes making certain political preferences prevail over the deep convictions of their own faith” (FT, 39). There is a double life between what he thinks when he prays and a very different and opposite one when he votes.
Today’s world is whole of strangers and lonely people incapable of a shared project where the rules are stable and equal for all, where the logic of power yields to the logic of international law, and where we do not separate the world into good and bad but between brothers and sisters of a common project.
It is easy to receive only ‘scientists or investors’ in rich countries (FT, 139). The challenge is to think about how to deal with today’s humanitarian crises. The pope lists some recommendations to face the migratory crisis (FT, 130):
- increase and simplify the granting of visas,
- adopt private and community sponsorship programs,
- opening humanitarian corridors for the most vulnerable refugees,
- offer adequate and decent accommodation,
- ensuring personal safety and access to basic services,
- ensuring adequate consular assistance,
- the right to have personal identity documents with you at all times,
- equal access to justice,
- the possibility of opening bank accounts and the guarantee of the basics for vital subsistence,
- give them freedom of movement and the possibility to work,
- protect minors and ensure regular access to education,
- provide for foster care or foster care programs,
- guaranteeing religious freedom, promoting social integration, favoring family reunification, and preparing local communities for integrative processes.
The challenge seems gigantic, so we must plan it as a shared commitment that involves everyone. Let us not fail to remember that “we can recognize Christ in every human being, to see him crucified in the anguish of the abandoned and forgotten of this world” (FT, Prayer to the Creator)