Mentre divampa la battaglia verbale sul Ddl Zan, mi sembra manchi qualcosa da questo gran parlare. Qualcosa che la nota vaticana ha finito con lo spingere ancora di più su uno sfondo che non guarda nessuno degli “impegnati” nel gran litigio pubblico. Mancano le vite delle persone. Manca la domanda sociale su cosa queste vite possono dare alla nostra convivenza, qualcosa che la vita di persone eterosessuali non può dare.
Di questo avremmo bisogno, tutti quanti. Racconti di vita che valgono per tutti perché sono vissuti umani – anche se la pensiamo in maniera diversa, o reputiamo di essere diversi.
Ne avremmo bisogno anche nella Chiesa, ma abbiamo già perso il treno decenni fa con i divorziati risposati. Tutta codice e sacramento, la Chiesa si è pian piano alienata il loro racconto – e la testimonianza evangelica che è inscritta in esso. In nome del codice e del sacramento abbiamo sviluppato tutta una retorica dell’accoglienza che sa ben poco di ospitalità reale.
Stiamo rifacendo il medesimo errore con le persone LGBT: ossessionati dalla battaglia contro la teoria, lasciamo ben poco spazio al loro vissuto – che ha non solo qualcosa da dirci, ma anche molto da insegnarci.
In questi giorni, ci è mancata una parola credibile della Chiesa che andasse in questa direzione. Quel che è peggio, è che non è mancata solo a noi, che oramai abbiamo fatto il callo a certe stonature ecclesiastiche, ma è mancata alla società italiana – è mancata, soprattutto, alle generazioni più giovani. Che faticano a capire la posizione della Chiesa, e non solo per colpa loro o per quella della cultura dominante.
Non sappiamo dare parola ai vissuti – e ogni annuncio che ne indica un doveroso ascolto ci sembra insopportabilmente retorico. Anche perché non basta ascoltare, bisogna anche apprendere dai vissuti umani – sono portatori di una normatività anche per la Chiesa.
Il vangelo di oggi è cristallino in merito. Non solo ci si lascia interpellare dai vissuti, ma addirittura si viene catturati da essi e condotti là dove sono. Almeno, così fa Gesù. E quando i vissuti entrano in conflitto tra di loro, quando le urgenze del vivere sembrano non lasciare spazio che a un’alternativa secca (o tu o io), Gesù ci mostra che non è così quando ci si muove nell’ottica del Regno. Il tempo che lui dà a un altro non è tempo rubato a me – non è mai tempo perso per tutto il resto dell’umano.
Fino alla frase splendida di una donna che dice a Gesù tutta la verità. Che solo una vita può dire. Ecco perché abbiamo un disperato bisogno delle parole dei vissuti umani, qualcosa che nessun codice, e nessun sacramento, potrà mai dire e mettere a disposizione della comunità umana.
La Chiesa Cattolica di treni nella sua lunga storia ne ha persi parecchi: pensiamo solo come ha reagito all’incontro con altre civiltà (cinese, giapponese, atzeca…). Dove ha potuto si é alleata con il potere militare, dove non ha potuto non é riuscita a inculturarsi. Però un treno lo ha preso, quando per espandersi si é conformata al mondo e ha relegato le donne al silenzio, ha accettato lo schiavismo, si é fatta stato tra gli stati. É su questo treno del potere che crede di stare ancora viaggiando, e non si accorge di essere ferma su un binario morto: come ben sa chi é solito viaggiare in treno, da un treno fermo, se gli altri viaggiano veloci, ci si puó illudere di viaggiare pure noi.
Che il sacramento abbia perso la profondità della sua dimensione simbolica aperta al mistero, per appiattirsi nella sterilità del codice e dei protocolli che dimenticano la vita – credo sia una fra le questioni più gravi con cui la Chiesa deve urgentemente confrontarsi.
Nel frattempo, in attesa delle parole, un altro giovane 18enne si è suicidato.