Se c’è una costante che attraversa lo sguardo internazionale della Santa Sede e che emerge dal discorso al corpo diplomatico, ripetuto anno dopo anno, è l’attenzione e il sostegno alle attività dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) con tutte le decine di istituzioni afferenti.
Anche nell’ultimo discorso (10 gennaio 2022; per una presentazione complessiva cf. qui) papa Francesco è tornato sul tema. Con l’intento di rafforzare il multilateralismo che meglio esprime e serve alla comune identità dei popoli e che caratterizza i rapporti internazionali dalla fine della secondo guerra mondiale, ha posto l’accento sulla crisi di fiducia delle istituzioni internazionali.
Non si tratta solo di un problema interno alle singole nazioni, del prevalere degli interessi propri o della cecità dei loro rappresentanti, ma anche di limiti nel funzionamento delle istituzioni internazionali.
Gli apprezzamenti per gli ambasciatori dei 183 stati accreditati e per il 184°, cioè la Svizzera, che li raggiungerà a breve, si accompagnano con la sottolineatura del passaggio da stato “osservatore invitato” a stato non-membro “osservatore permanente” presso l’Organizzazione mondiale della sanità.
Una condizione che consentirà alla Santa Sede di partecipare sempre all’intero processo di confronto interno, pur senza diritto-obbligo di voto. La Santa Sede è presente in molti istituti sovra-nazionali come l’Unesco (educazione), la FAO (alimentazione), il Consiglio mondiale dell’alimentazione, il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, il Consiglio economico e sociale, le Commissioni economiche regionali. È stata membro fondatore per l’Alto commissariato per i rifugiati, l’Agenzia internazionale dell’energia atomica, l’Organizzazione mondiale del turismo. È presente nell’Unione Europea e nel Consiglio d’Europa. E nell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) a titolo di membro (non solo osservatore) perché fu la condizione posta dall’URSS per entrare nell’istituzione.
Due limiti nel funzionamento
Dov’è il limite del funzionamento delle organizzazioni internazionali? In primo luogo, così si esprime nel recente discorso papa Francesco: «Importanti risoluzioni, dichiarazioni e decisioni sono spesso prese senza un vero negoziato nel quale tutti i paesi abbiano voce in capitolo. Tale squilibrio, divenuto oggi drammaticamente evidente, genera disaffezione verso gli organismi internazionali da parte di molti stati e indebolisce nel suo complesso il sistema multilaterale rendendolo sempre meno efficace nell’affrontare le sfide globali».
L’invito diretto agli stati è a favore di una presenza non formale negli organismi, ma è anche l’invito alle strutture internazionali a coinvolgerli in un vero dibattito. È improprio che la selva delle ONG e il personale burocratico sostituiscano gli stati come il vero motore delle istituzioni internazionali.
In secondo luogo, si denuncia uno slittamento sui temi affrontati. «Non di rado il baricentro di interesse si è spostato su tematiche per loro natura divisive e non strettamente attinenti allo scopo dell’organizzazione con l’esito di agende sempre più dettate da un pensiero che rinnega i fondamenti naturali dell’umanità e le radici culturali che costituiscono l’identità di molti popoli. Come ho avuto modo di affermare in altre occasioni, ritengo che si tratti di una forma di colonizzazione ideologica, che non lascia spazio di espressione e che oggi assume sempre più la forma di quella cancel culture, che invade tanti ambiti e istituzioni pubbliche. In nome della protezione delle diversità, si finisce per cancellare il senso di ogni identità, con il rischio di far tacere le posizioni che difendono un’idea rispettosa ed equilibrata delle varie sensibilità».
È il tema dei “nuovi diritti” che sull’abbrivio dell’ampliamento dei diritti fondamentali del 1948 (del fanciullo, della donna, dell’anziano, dell’ambiente, della pace ecc.) giungono ai “diritti sessuali” ai “diritti riproduttivi”, alla “salute riproduttiva”, cioè all’affermazione di “diritti individuali” che, rispetto ai “diritti fondamentali” (libertà personale, di pensiero, di movimento ecc.) non tollerano alcun limite e trasformano la “non discriminazione” da condizione per affermare il diritto a diritto in sé.
Il pensiero unico
È un tratto caratteristico della cultura civile degli ultimi decenni e che, a partire dall’Occidente, si configura come un pensiero unico e pericoloso, «costretto a rinnegare la storia, o peggio ancora, a riscriverla in base a categorie contemporanee, mentre ogni situazione storica va interpretata secondo l’ermeneutica dell’epoca, non con l’ermeneutica di oggi».
Il diritto alla vita (dal concepimento alla fine naturale) e il diritto alla libertà religiosa, per esempio, vanno affermati di nuovo e non possono essere subordinati ai “nuovi diritti individuali”.
È una posizione conservatrice, un modo per far rientrare la pretesa della Chiesa di possedere le chiavi dell’etica personale e collettiva? Un vincolo insuperabile per i legislatori? Non pare. Essa non smentisce un riferimento alla legge naturale o all’ordine morale oggettivo, ma la subordina alla forza kerigmatica e inclusiva del Vangelo.
Le differenze delle concezioni antropologiche non sono misurate sulla linea Chiesa-mondo (morale naturale e coerente legislazione), ma su quella di Vangelo-umano comune (il vangelo alimenta l’umanesimo non il potere ecclesiastico). La Chiesa entra nel dibattito pubblico internazionale senza pretese egemoniche e, tanto meno, con soluzioni legislative precostituite.
I valori permanenti nascono nel confronto pubblico, ma «quando li abbiamo riconosciuti e assunti, grazie al dialogo e al consenso, vediamo che tali valori di base vanno al di là del consenso».
Nella sua chiosa l’articolista scrive: “I valori permanenti nascono nel confronto pubblico”
Piuttosto pare che il pontefice abbia detto che vengono “riconosciuti e assunti grazie al dialogo” e che essi “vanno al di là del consenso”. Il che è ben altra cosa.