Ultimamente mi ritrovo a pensare con insistenza che destra e sinistra, le tradizionali coordinate per prendere partito e posizionarsi politicamente, da molto tempo non funzionano piú. È soprattutto la sinistra che, sparita la classe operaia come soggetto politico e sparito l’alibi stalinista dell’URSS come alternativa occidentale al mondo capitalista, ad essere entrata in una crisi di identità irreversibile, quasi cancellando la dialettica anteriore o facendola sopravvivere in polarizzazioni insensate e aggressive, ma prive di vere alternative e veri progetti politici.
Dall’opposizione migra alla gestione dello stato e si mimetizza nelle zone grigie dei centrosinistra o dei centrodestra, come in Brasile. Conserva il discorso progressista, il blablablà dei diritti umani, ma si specializza in percorsi politici assolutamente contraddittori.
11 settembre 2001
Questo pragmatismo – in cui cinico realismo e opportunismi prendono il posto della dialettica – potrebbe funzionare se l’attentato dell’11 settembre del 2001 non fosse stato un colpo di grazia inferto all’identità di sinistra. È Lanfranco Caminiti[1] ad aiutarci a capire come il giorno dell’attentato alle torri gemelle sia apparso un altro mondo, assolutamente diverso e divergente dalla tradizione occidentale, con altre premesse, altre teologie, altre antropologie.
Dopo più di vent’anni da quell’avvenimento cruciale, la maggior parte dei partiti e dei movimenti di sinistra non mostra di aver capito che il mondo è cambiato, che i conflitti mondiali non sono piú leggibili con gli strumenti ideologici e metodologici del passato. Questa incomprensione si rivela in pienezza nell’attualità, quando si è obbligati ad interpretare il moltiplicarsi delle guerre, soprattutto quella della Russia contro l’Ucraina e quella di Israele contro Hamas e la Palestina.
Con l’attacco al World Trade Center si affaccia prepotentemente sullo scenario della storia il fondamentalismo islamico della sharia. I talebani, in nome di Dio, dichiarano guerra all’Occidente corrotto, pervertito, infedele. E alla sinistra non restano che due povere alternative, che, però, comportano la rinuncia ad ogni sforzo interpretativo: alcuni si candidano a difensori dell’Occidente contro i barbari e altri, invece, ammiccano ai barbari contro l’Occidente. Questi ultimi pensano questa guerra come se fosse il Vietnam che affronta l’imperialismo nordamericano o come se si trattasse delle guerre di liberazione anticoloniali degli anni quaranta e cinquanta del secolo scorso.
7 ottobre 2023
L’assenza di strumenti interpretativi adeguati alla novità della congiuntura politica mondiale, è di nuovo palesemente rivelata, il 7 ottobre 2023, quando i miliziani di Hamas, ancora una volta in un modo nuovo e inaspettato, attaccano Israele nel suo territorio.
Si tratta, senza alcun dubbio della continuità della guerra dichiarata nel 2001 dai fondamentalisti musulmani contro l’Occidente corrotto, pervertito e infedele. È questa la cifra interpretativa fondamentale, che aiuta a relativizzare le cifre emozionali e razionali che occupano piazze e media mondiali, quali antisemitismo, sionismo e antisionismo, terrorismo, colonialismo, conflitto religioso, conflitto tra regimi democratici e tirannici, tra umanità e barbarie e guerra di liberazione.
Che sia una guerra che non fa distinzioni tra un Occidente demonizzato e un Occidente che conserva alcuni valori umanissimi è rivelato dalle violenze perpetrate da Hamas contro il kibbutz di Be´eri, dove la maggior parte delle vittime, uccise o sequestrate, e dei residenti superstiti è costituita da anarchici, pacifisti, ambientalisti, oppositori delle politiche sioniste contro i territori palestinesi, o liberali fortemente critici di Netanyahu e delle destre tradizionaliste. A pochi chilometri de Be´eri, si stava svolgendo una rave a favore della pace: mille giovani, di cui circa 250 trucidati.
Sin dal 1910, i kibbutzim furono la profezia degli ebrei contra sionismo e socialismo di stato, sperimentando autogestione, uguaglianza, fraternità, solidarietà, abolizione della proprietà privata, relazioni umane – anche con i palestinesi – e pedagogie in cui la socializzazione era ben piú importante della famiglia tradizionale. Insomma, il meglio del pensiero rivoluzionario europeo: storia che, negli ultimi decenni, è stata quasi del tutto cancellata e dimenticata.
Occidente
L’Occidente è chiamato in causa anche nell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Anche in questo caso siamo di fronte ad una dichiarazione di guerra contro l’Occidente pervertito e infedele. Anche in questa aggressione è presente un’ispirazione teologica che propone la grande Russia ortodossa come risposta ai mali della storia umana: fondamentalismo ortodosso panrusso antioccidentale.
Le divergenti interpretazioni delle guerre della Russia e di Israele ci mostrano, con chiarezza, la crisi di prospettive e di decisioni politiche di cui soffrono le sinistre. Alcuni suoi settori affermano, più o meno esplicitamente: “Appoggiamo Putin contro l’imperialismo degli USA, contro la Nato, contro il nazifascismo ucraino”; altri settori di sinistra difendono la legittimità della resistenza partigiana degli ucraini contro gli aggressori russi; ci sono poi i pacifisti, in pace con il mondo e con sé stessi, perché sono buoni e sono contro la guerra.
Ma ci sono anche coloro che percepiscono le minacce dei fondamentalisti all’Europa e pensano che una guerra “difensiva” è inevitabile. E ancora: “Siamo a favore della Palestina e di Hamas contro Israele”. Ciò è detto anche se sanno che il teocratico Iran e il siriano Bashar al-Assad sono a favore di Hamas. Ciò è ripetuto anche se sanno che anche la Russia di Putin appoggia Hamas e consolida la sua alleanza con Siria e Iran.
E le destre? Pare proprio che stiano “allineate e coperte’ a sostegno di Israele. A sostegno di un Occidente che, secondo conservatori, liberali, neofascisti e populisti, ha il diritto di difendersi militarmente.
Che l’Occidente sia segnato indelebilmente da crimini contro l’umanità fin dal 1492 è una verità storica incontestabile. Che il cristianesimo, nelle sue versioni maggioritarie, cattolica, ortodossa, anglicana e protestante abbia perduto ogni capacità profetica lungo i secoli della modernità e si sia posto al servizio di persecuzioni interne contro ebrei e spiriti liberi, non è oggetto di contestazione; che si sia alleato a principi e stati nazionali, giungendo perfino a benedire le dittature, le armi e le guerre è un’altra verità inconfutabile; che la matrice cristiana di questa civilizzazione sia stata ontologicamente tradita, quando fummo complici degli imperi coloniali, è altra realtà innegabile.
A mio avviso, anche il persistere dell’ideologia sionista è annoverabile come colpa dell’Occidente e non del popolo ebraico. Vi si afferma che la terra è del popolo ebraico per decreto divino e per diritto biblico, ma, di fatto, si tratta di una imitazione del delirio teologico anglosassone, che continua ad affermare che le terre ribattezzate americane sono un dono divino offerto al popolo che rappresenterebbe la vittoria del bene nella storia umana.
Si tratta di teologie che nascono dalla diabolica vocazione colonialista dell’Occidente e che le finzioni giuridiche non riescono ad occultare: colonizzazione come missione divina del popolo eletto degli Stati Uniti, sorto dal genocidio delle nazioni autoctone; colonizzazione della Palestina a partire dall’esclusione dei palestinesi ordita dallo Stato di Israele.
Non a caso, all’ONU con gli Stati Uniti esercita da sempre il diritto di veto, assolvendo metodicamente lo Stato d’Israele dagli stessi crimini di cui potrebbero essere responsabilizzato dalla comunità internazionale.
Segni dei tempi
Ma se c’è oppressione e violenza, i popoli eletti tradiscono l’elezione e, insieme all’umanità, tradiscono il Dio misericordioso della Bibbia e dell’ebreo Gesù. Insomma, Israele, con la sua esistenza e le sue guerre, dichiara, senza possibilità di smentita che, anche nel suo caso, il tema politico fondamentale è la crisi dell’Occidente e della sua perversione colonialista.
Il sionismo è ancora una posizione di settori significativi del popolo ebraico così consolidata che l’antisionismo a volte è classificato tout court come antisemitismo, quando, al contrario, si tratta di una critica radicale dell’Occidente.
Quanto accade ci provoca a un discernimento o alla comprensione spirituale dell’attualità.
Siamo chiamati a leggere i segni dei tempi. E questo tempo è segnato da un’inflazione teologica, che ci riporta indietro nel tempo, mostrando le avvenute esequie della razionalità illuminista e della laicità dello stato, inaugurata nel 1789.
Non sto vedendo che pessime teologie nel mondo attuale: un dio creato a nostra immagine e somiglianza – marcato da ciò che di peggiore sono capaci gli esseri umani – considerato oggetto degno di riflessione teologica.
Non possiamo poi dimenticare che la violenza non procede soltanto dai confini con la grande Russia e con l’Islam della guerra santa, perché anche in casa viviamo quotidianamente il confronto con i populismi neofascisti variamente legati a fondamentalismi religiosi di matrice protestante e cattolica.
Insomma, buona parte dell’estrema destra mondiale presenta le sue credenziali religiose per opporsi alla degenerazione delle società occidentali accusate di essere atee, comuniste, permissive quanto alle relazioni di genere e traditrici dei valori tradizionali della Chiesa, della famiglia e della patria.
E questa estrema destra, religiosamente ispirata, accetta solo inizialmente i processi elettorali del già fragilizzato establishment democratico, non nascondendo l’intenzione di sovvertire il sistema con la violenza, l’eversione, i colpi di stato, la dittatura. Si tratta di ideologie assolutamente compatibili con la violenza predatoria del capitalismo, che sempre prospera e si rafforza a partire dalla distruzione e dalla guerra.
Mi interpella, in questi giorni, una citazione di Francesco nella Laudate Deum. Stupisce l’intenzione del papa, che con Soloviev, ci parla di un mistero, che le persone razionali e di buon senso normalmente evitano, perché tema preferito da fanatici e squilibrati. Si parla, inequivocabilmente, di fine del mondo – o della fine di un mondo – e dell’Anticristo: «Dobbiamo tutti ripensare alla questione del potere umano, al suo significato e ai suoi limiti. Il nostro potere, infatti, è aumentato freneticamente in pochi decenni. Abbiamo compiuto progressi tecnologici impressionanti e sorprendenti, e non ci rendiamo conto che allo stesso tempo siamo diventati altamente pericolosi, capaci di mettere a repentaglio la vita di molti esseri e la nostra stessa sopravvivenza. Si può ripetere oggi con l’ironia di Solov’ëv: “Un secolo così progredito che perfino gli era toccato in sorte di essere l’ultimo”. Ci vuole lucidità e onestà per riconoscere in tempo che il nostro potere e il progresso che generiamo si stanno rivoltando contro noi stessi» (alla nota 22 è citato V. Solov’ëv, I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, Bologna 2021, 256).
Così mi sto davvero leggendo I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo di Solov’ëv, cercando luci per comprendere e affrontare i tempi dolorosi che stiamo vivendo. L’amico Marcello Tarí mi faceva notare che, durante la veglia per l’apertura del Sinodo, il 30 settembre scorso, Francesco ha usato nella sua omelia due volte la frase «siamo qui come la grande folla dell’Apocalisse». Mi chiedo, insieme a Marcello, perché il papa ha voluto utilizzare proprio quella immagine, corroborata anche dalla citazione del «grande silenzio» che si impone dopo l’apertura del settimo sigillo (Ap 8,1).
Nessuno ne parla, perché evidentemente temiamo di essere considerati squilibrati e fanatici, ma, certamente viviamo nella consapevolezza, accompagnata da rimozioni, che stiamo vivendo tempi effettivamente minacciosi. Non è così medievale e millenarista, allora, l’ipotesi della fine del mondo o la fine di un mondo, davanti all’imminenza di una guerra globale, che accade in tempi in cui la stessa vita del pianeta Terra è minacciata di estinzione.
[1] Lanfranco Caminiti, 11 de setembro e o fim da esquerda, Universidade Nómade, 13 de outubro de 2023.
Mi viene in mente il libro di Mario Brelich “il navigatore del diluvio” (Adelphi). L’autore, riflettendo sul diluvio universale dichiara che il diluvio non è altro che la reazione di Dio ad un mondo in cui il male aveva preso il sopravvento, divenendo ingestibile. Di fronte al male incontrollabile, Dio compie azioni straordinarie per riprenderei l controllo della situazione.
Credo che siamo nuovamente in una fase di male incontrollabile. Quale sarà la mossa di Dio in questo caso? Non un diluvio (stando alle promesse bibliche) ma forse la chiusura dei conti.