Il patriarca della Chiesa ortodossa serba scrive a Djokovic via Instagram e trascina con sé nella vicenda “l’anima” del popolo serbo. Una questione sanitaria e politica, ma soprattutto mediatica. Un po’ come i vermi.
«Caro Nole, delle difficoltà e delle tentazioni che stai attraversando a Natale, giorno di ogni gioia, domani resterà solo una pallida ombra. Dio è grande e tu sai chi sei, perché sei cresciuto con il suono delle campane delle investiture dei Nemanjic [dinastia serba, ndr]. Milioni di serbi ortodossi stanno pregando per te, così come per noi. Possano il calore imperituro e l’amore della grotta di Betlemme riscaldare e rafforzare il tuo cuore e la tua anima. Pace di Dio – Cristo è nato!».
Scrive così a Novak “Nole” Djokovic, in un messaggio sul proprio account Instagram ufficiale, il 46° patriarca della Chiesa ortodossa serba, Porfirije. Il post è stato diffuso in concomitanza con la celebrazione ortodossa del Natale, il 7 gennaio, e accompagnato da due fotografie che ritraggono Djokovic durante la cerimonia di conferimento dell’Ordine di San Sava, onorificenza di istituzione regia, fatta propria dalla Chiesa ortodossa serba nel secondo dopoguerra.
Park Hotel
In effetti, attorno a Novak Djokovic – vero e proprio simbolo nazionale – negli ultimi giorni si è stretta una nutrita tifoseria serba. Al centro della vicenda il ben noto ingresso negato in Australia, dove il numero uno del tennis mondiale maschile si è presentato ben preparato in vista degli Australian Open, ma non altrettanto in termini di vaccinazione anti-Covid.
Da qui, il trasferimento di Djokovic nel Park Hotel di Melbourne, un limbo utilizzato da anni dalle autorità australiane per “alloggiarvi” immigrati e richiedenti asilo senza pedigree, in alcuni casi per mesi o anni, sul quale solo ora si sono accesi i riflettori. Con seguito di insetti e fotografie dalla prigionia dietro alle finestre.
Fra contestazioni incrociate, sentenze e appelli, la vicenda giudiziaria – e soprattutto politica e mediatica – non sembra per ora trovare pace. Dal canto suo, durante la pandemia, Djokovic si è più volte dimostrato insofferente nei confronti delle misure sanitarie e non brilla in termini di chiarezza sul proprio stato di vaccinazione. L’attestato di stima incassato ora da parte del Patriarcato ortodosso serbo potrebbe trascinare anche “l’anima” del popolo serbo nella vicenda, tanto più in concomitanza con i giorni di festa.
La Chiesa ortodossa serba
Nonostante la situazione sanitaria, la maggior parte degli esponenti della Chiesa ortodossa serba, tra i quali il patriarca Porfirije, è apparsa in pubblico senza mascherina durante le numerose celebrazioni. Un elevato numero di membri del clero serbo-ortodosso ha contratto il Covid-19 nel corso degli ultimi due anni: fra essi, il metropolita del Montenegro, Amfilohije Radović, scomparso a causa del nuovo coronavirus nell’ottobre 2020, e il patriarca serbo Irinej, predecessore di Porfirije, contagiatosi proprio durante i funerali di Amfilohije e deceduto meno di un mese dopo.
L’atteggiamento delle gerarchie ecclesiastiche è, al tempo stesso, specchio e causa del sentire comune dei fedeli. Se la copertura vaccinale in Serbia è fra le più alte dell’area, è merito soltanto del poco rassicurante metro di paragone dei Balcani e dell’Est Europa: meno della metà della popolazione serba (48%) ha ricevuto almeno una dose di vaccino e solo poco più di un quarto (25,4%) ha ricevuto il richiamo dopo il completamento del primo ciclo vaccinale. Al momento, il totale dei morti nel Paese a causa del Covid-19 sfiora i 13 mila.
Appartenere senza credere
Secondo le proiezioni riferite al 2020 diffuse dal Pew Research Center, i cristiani rappresenterebbero il 91,6% della popolazione in Serbia, in maggioranza ortodossi (quasi 6 dei circa 7 milioni di abitanti, contro i 430 mila cattolici), mentre soltanto il 3% della popolazione si professa musulmano.
Ad andare oltre le apparenze, però, i numeri raccontano una storia differente. Stando ai risultati di un sondaggio diffusi pochi mesi fa da INVENT, progetto di ricerca dell’Unione Europea, infatti, se è vero che oltre il 95% dei serbi dichiara la propria appartenenza ad una delle comunità religiose del Paese, meno del 75% degli abitanti si ritiene una persona effettivamente “religiosa”.
E le percentuali crollano quando si guarda alla pratica religiosa: solo il 15,7% degli intervistati prega (quasi) quotidianamente e il 6,9% si reca in un luogo di culto almeno una volta a settimana, pratiche comuni alle principali religioni e indicative dell’effettivo coinvolgimento personale. Parafrasando quanto affermato alla fine del secolo scorso dalla sociologa inglese Grace Davie, siamo di fronte ad un “appartenere senza credere”.
Sanità, salute e salvezza
I lunghi mesi della pandemia stanno dimostrando che l’effettivo successo degli interventi in materia di sanità pubblica dipende fortemente dall’accoglienza loro riservata da parte della popolazione. E, nonostante i dati poco incoraggianti, la fede – o qualcosa di simile – continua ad occupare una parte importante nella vita delle persone, almeno formalmente.
Se, dal fronte cattolico, si leva con forza la voce di papa Francesco a favore della vaccinazione («Proseguire lo sforzo per immunizzare quanto più possibile la popolazione», anche contro i «forti contrasti ideologici» che ostacolano la campagna vaccinale, ha ripetuto ieri), in altri contesti mancano simili prese di posizione. Ma luci e ombre non appartengono soltanto alla comunità ortodossa.
Durante la pandemia, si è molto parlato di cerimonie religiose e di specifici momenti di ritualità (funerali, matrimoni), al fine di ridurre al minimo il rischio di trasmissione di malattie. Ben più rare sono state invece le occasioni che hanno visto un coinvolgimento di istituzioni e organizzazioni religiose nel miglioramento della salute pubblica.
Con il risultato che, per ragioni e in contesti anche molto differenti fra loro, l’assenza di dialogo ha condotto talvolta a risposte contrastanti da parte delle comunità religiose e dei loro leader, inducendo gruppi di fedeli a mettere in discussione, se non a contrastare apertamente, l’attuazione delle politiche statali di contenimento della pandemia.
Che ci siano lo spazio – e le ragioni – per una più intensa collaborazione reciproca? Per la maggior gloria di Dio. O almeno per la salute di noi poveri diavoli.
- Dal blog dell’autore Caffèstoria.
Djokovic nostro eroe
Bene sottolineata la differenza di trattamento nel Park “Hotel” fra “vip” e “senza pedigree”! È ciò che trovo più squallido in questa vicenda insieme a certi pessimi modelli
Finalmente una lettura pensante e coraggiosa, invece di molto conformismo e ipocrisia.
6,9% si reca in un luogo di culto almeno una volta a settimana
avendo frequentato a lungo dei serbi provenienti da Majdanpek dico che questa dato è da prendere con le pinze, o meglio, da valutare differentemente: per loro non esiste il ‘precetto festivo’ ed è normale andare alla liturgia solo delle feste che ritengono importanti, magari dopo un periodo di preparazione e/o digiuno per partecipare meglio all’Eucarestia
Non devono avere neppure il precetto della preghiera sembra