Del nuovo mezzo di informazione Domani, fortemente voluto da De Benedetti come alternativa alta al duopolio Corriere–Repubblica, ci si può iniziare a fare qualche idea dai pezzi che il direttore, Stefano Feltri, invia con le plurime newsletter giornaliere. L’inizio dice di una precisa strategia del quotidiano: che combina online e cartaceo a partire dal primo. Una novità sulla scena dei giornali italiani, resa possibile dalla sua recente gestazione.
I pezzi inviati agli abbonati alla newsletter mirano a creare due effetti, di competenza e non subalternità politica, che potrebbero virtuosamente scompigliare il panorama giornalistico italiano. Nella loro raffinatezza, fatta di bell’italiano e analisi pertinente, gli articoli apparsi fino a ora dicono di una destinazione di Domani a un gruppo di lettori ancora disponibili a perdere tempo per informazioni che devono essere lette e non semplicemente scorse.
A tutt’oggi questa sembrerebbe essere la filosofia editoriale del nuovo quotidiano, in attesa di poter discernere con maggiore chiarezza quale ne sarà invece la linea.
Moderno, pungente, flessibile, non omologato – sono solo alcuni degli aspetti che stanno accompagnando questa prima fase di sperimentazione. Con «divertimenti» che fanno irruzione in ambiti quasi sempre obliati dalla stampa nazionale.
Ovviamente, tutti sono in attesa di vedere scoperte le carte della collocazione politica di Domani nel contesto italiano attuale. Con chi andrà a braccetto? Magari, di quale nuovo soggetto politico potrebbe diventare il padrino? Domande, queste, che rideclinano in ambito giornalistico una «logica Cencelli» dalla quale il quotidiano di De Benedetti sembra essere lontano – almeno per il momento. O quantomeno, così vuole far credere. Il tempo giudicherà anche su questo, oltre che sull’effettiva viabilità dell’operazione.
Da quanto potuto leggere finora, vi è tuttavia una domanda che sembra rimanere inevasa – che potremmo declinare nei seguenti termini: quale paese si immagina il giornale nascente? Non volendo cedere alla politicizzazione della stampa, caratteristica del panorama italiano, il baricentro si sposta inevitabilmente sul piano della società. Nella critica alle condizioni odierne della società italiana, sembrerebbe vibrare l’idea di una sua generazione ex novo – partendo da quelle élites che ancora sono in cerca di contenuti che impegnano la riflessione, e non si sono già consegnate del tutto alla grammatica istantanea e un po’ traballante del twitt.
Un recente articolo sullo smartworking può aiutarci a gettare uno sguardo sul paese immaginato da Domani. Giovane, digitale, sostanzialmente single, possibilmente senza figli, flessibile in tutto. L’apologia dello smartworking di cui si fa carico il pezzo ha, indubbiamente, le sue buone ragioni; come pertinenti sono le indicazioni che smascherano le resistenze a questo modo di lavorare da parte della gerontocrazia dirigenziale delle imprese italiane.
Ma appunto, questa apologia ha implicazioni importanti sul paese che si immagina – perché richiede tutta una serie di condizioni (ottimali) che rendono preferibile lo smartworking all’ufficio. La più evidente, al di là delle questioni tecniche, mi sembra essere quella del lavoratore efficiente che produce prestazioni, ma non genera figli (o quantomeno può permettersi di non averli tra i piedi mentre lavora da casa – cosa che non tutti possono concedersi).
In questa stessa direzione sembra muoversi una sorta di ipostatizzazione della categoria «giovani» (esemplarmente emersa in un articolo che comparava l’investimento fatto sui giovani nel post lockdown tra Germania e Italia, ovviamente con ampi elogi per il sistema tedesco – che, però, così innocente e virtuoso poi non è). I «giovani» che troviamo fino a oggi nelle pagine di Domani sono senza famiglia: dietro e davanti a loro.
Potrebbe essere che una elitocrazia giovanile ben sterilizzata finisca col rivelarsi poi non così migliore di tutte le pecche del paese di cui Domani vorrebbe essere la testa di ponte in vista di un loro superamento e archiviazione. Questi giovani un domani saranno vecchi e, molto probabilmente, senza alcun ricambio generazionale – sancendo la fine del paese, certamente moderno e smart ma senza avvenire.
Nuove, liberanti, prospettive per fede e scienza
Si sta delineando sempre più chiaramente una via di uscita dal razionalismo. Tale orientamento si basa sul ragionare umano. Ma l’uomo è più di una sua in fondo inesistente ragione astratta. Per esempio maturando può comprendere molte cose in modo nuovo. Se ci si basa tendenzialmente su di un conoscere intellettualista restano poi dell’uomo un’anima allora disincarnata ed un resto emozionale, pragmatico, del vivere quotidiano.
La spiritualità può divenire astratta, tante forme conoscitive si riducono a tecnica, a pratica. Si dice per esempio che per rimediare a ciò lo psicologo deve essere cristiano. Ma se restiamo nei riferimenti di cui sopra quando parla da cristiano ripeterà risposte variamente prefabbricate, poco incarnate nella situazione specifica e quando si esprime da psicologo fornirà indicazioni tecniche. Ma l’uomo è più di un mero meccanismo. Solo l’amore a misura lo aiuta a comprendersi. L’autentico amore di Dio conduce verso la liberazione anche psicologica.
Maturando in questo amore sereno, a misura del proprio personalissimo percorso, non una sua anima disincarnata ma tutto l’uomo viene condotto nel mistero e vede ogni cosa in modo sempre nuovo. Dunque la logica non è ne platonica, a tavolino, né aristotelica, in contatto intellettualistico con la realtà, sfociando nel pragmatismo. La via è quella della serena crescita di tutto l’uomo in Gesù, Dio e uomo, nel suo Spirito che scende come una colomba. La logica è dunque trinitaria in Cristo. Gesù è il vero riferimento anche culturale, da vissutamente scoprire sempre più. Cogliamo in Lui gli aspetti positivi per esempio di Platone e Aristotele ma anche veniamo portati oltre.
La conoscenza è comunque, anche in un ateo, una fede. Ciò in cui davvero crede e matura orienta tutto il suo discernere. Quando nella mia serena coscienza avverto il sì della fede allora ho ricevuto questo dono di luce. Non è prima di tutto un ragionamento. La crescita nella luce fa vedere ogni cosa in modo nuovo e dunque alimenta una riflessione ancorata alla vita concreta. L’intellettualismo ha orientato anche qualche cristiano a ritenere di credere in parte per fede in parte per razionalità. Ma certo non è questa la fede e neanche l’umanità, come visto sopra. La fede è una grazia divina e umana in Gesù. È dunque non fanatica ma piena di autentico senso.
Kurt Goedel ha dimostrato che non può esistere una logica autoesplicantesi. Si deve partire da qualche punto accettato come dato. Una fede. Ormai lo sanno anche gli scienziati atei. Si aprono le vie per una umanità rinnovata, anche per una scienza rinnovata. Non più lo stantio, riduttivo, paradigma di fede e ragione che finisce col prevalere a tutto campo di una tecnica omologante, svuotante, di una falsa solidarietà che non nasce dall’autentico sviluppo delle identità, delle fedi (fosse pure l’ateismo) e dunque dal loro autentico incontro ma da un appiattimento generale che spegne fin dalla scuola gli slanci, la viva ricerca, anche dei giovani. E sta conducendo tutto al crollo. L’ubris, la, magari inconsapevole, superbia della ragione a tavolino sta giungendo alle conseguenze estreme.
Commento imbevuto di superstizione e chiacchiere inutili.