«Io vi chiedo perdono per tutti quegli uomini che vi hanno fatto soffrire. Chiedo perdono per tutti quei cattolici e credenti che vi hanno sfruttato, abusato e violentato».
Sono le parole che papa Francesco ha rivolto venerdì 12 agosto ad un gruppo di ragazze, ex vittime del reato di tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale, ospiti di una casa di accoglienza gestita a Roma dall’Associazione Comunità papa Giovanni XXIII e in regime di protezione per essersi sottratte alla violenza e ai condizionamenti di organizzazioni criminali dedite allo sfruttamento della prostituzione. Venti le ragazze incontrate – età media 30 anni –, provenienti sei dalla Romania, quattro dall’Albania, sette dalla Nigeria, una dalla Tunisia, una dall’Ucraina e una dall’Italia.
È stato papa Francesco, nell’ambito della significativa iniziativa dei “venerdì della misericordia” da lui avviata in occasione del “giubileo della misericordia”, a recarsi in privato e a sorpresa in un appartamento della zona nord di Roma che accoglie le ragazze.
Rivolgendosi a Stefania, una delle ragazze arrivata dalla Romania, messa sulla strada all’età di 18 anni e sfuggita alle sevizie dei suoi sfruttatori grazie all’aiuto degli operatori di strada dell’Associazione papa Giovanni, Francesco ha esclamato: «Se qualcuno ti dice che Cristo non è risorto, tu gli puoi dire che Cristo è risorto perché tu ne sei testimone».
«Chiedo perdono»
Colpiscono le parole usate per chiedere perdono alle ragazze vittime dell’odierna cultura “usa e getta”.
Il perdono viene chiesto «per tutti gli uomini» che le hanno fatte soffrire, ma anche per «tutti quei cattolici e credenti» che, con il loro comportamento, sono stati causa di sfruttamento, abuso e violenza nei loro confronti.
Il che sta a significare che, anche per Francesco, tratta e sfruttamento della prostituzione costituiscono per lo più un reato di genere perpetrato, con modalità diverse, da uomini a danno di donne.
Uomini che, mediante inganno, violenza, minaccia, abuso di autorità e approfittamento di una situazione di vulnerabilità, alimentano la tratta, organizzandola e gestendola dai paesi di provenienza delle vittime verso i paesi di destinazione.
Uomini che, esercitando su giovani donne poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà, ne alimentano la reificazione e contribuiscono a perpetuarne lo stato di oppressione e un’immagine degradante.
Complici, dunque, i trafficanti, ma complici anche coloro che considerano un loro diritto la mercificazione del sesso, cioè i clienti.
Richiamo alle coscienze
e, in particolare, alla comunità dei credenti
Il gesto di Francesco – come si legge in una nota della Santa Sede del 12 agosto – è un ulteriore richiamo alle coscienze per combattere la tratta di esseri umani, da lui più volte definita «un crimine di lesa umanità», «una piaga nel corpo dell’umanità contemporanea e nella carne di Cristo», «un crimine mafioso e aberrante» in presenza del quale «molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta».[1]
Con questo segno così emblematico Francesco ribadisce che la misericordia non è una parola astratta, ma un’azione concreta per restituire, anche attraverso lo strumento dell’attività socio-politica, oltre che dell’impegno di ogni persona di buona volontà, dignità a esseri umani sottoposti a nuove intollerabili forme di schiavitù e vilipesi nei loro diritti fondamentali.
Come, in particolare, non vedere in quel «chiedo perdono per tutti quei cattolici e credenti» un forte richiamo alla Chiesa perché il dramma della schiavitù sessuale e della tratta di esseri umani costituisca quanto meno un severo esame di coscienza di chi, anche all’interno delle nostre comunità, continua ad ignorarne portata e gravità? Come non scorgere in questa richiesta di perdono la denuncia di certa ipocrisia, anche “cattolica”, che tende a far ricadere sempre sugli “altri” il perdurare di situazioni di ingiustizia che creano disagio e sofferenza?
«La Chiesa – ha affermato in altra occasione Francesco[2] – non può tacere e le istituzioni ecclesiali non possono chiudere gli occhi di fronte al nefasto fenomeno dei bambini e delle donne della strada. È importante coinvolgere le diverse espressioni della comunità cristiana nei vari paesi al fine di rimuovere le cause» del fenomeno.
“Questo è il mio corpo”:
campagna di sensibilizzazione contro la tratta
All’incontro con le venti ragazze erano presenti anche il responsabile nazionale dell’associazione Comunità papa Giovanni XXIII Giovanni Ramonda, l’assistente spirituale Aldo Bonaiuto e alcuni operatori di strada, i quali hanno voluto illustrare al vescovo di Roma la recente campagna di sensibilizzazione sul tema della tratta ai fini di prostituzione promossa dall’associazione fondata da don Oreste Benzi. La campagna, dal titolo “Questo è il mio corpo”, ha l’obiettivo di fermare la domanda di sesso mercenario sul presupposto che, nella riduzione in schiavitù e nello sfruttamento della prostituzione perpetrati dal racket, i clienti sono complici.
La campagna è altresì finalizzata a sostenere in Parlamento la proposta di legge Bini (Atto Camera 3890 “Modifica all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75”)[3] che vuole, sull’esperienza di altre legislazioni europee, introdurre in Italia il reato di acquisto di servizi sessuali che mira ad eliminare la prostituzione in quanto essa incentiva la tratta di esseri umani e viola la dignità delle donne.
Il canto del «Magnificat» per liberare le donne
dalla violenza e dalla cupidigia degli uomini
Quasi a commento dell’incontro con le ragazze liberate dal racket della prostituzione, all’Angelus di lunedì 15 agosto, solennità dell’assunzione della Beata Vergine Maria, «umile e semplice ragazza di un villaggio sperduto nella periferia dell’impero romano, ammessa da Dio a stare per l’eternità accanto al trono del Figlio proprio perché ha accolto e vissuto il Vangelo», Francesco è tornato a denunciare le tante e attuali situazioni dolorose, che coinvolgono in particolare le «donne sopraffatte dal peso della vita e dal dramma della violenza», le «donne schiave della prepotenza dei potenti», «le bambine costrette a lavori disumani», «le donne obbligate ad arrendersi nel corpo e nello spirito alla cupidigia degli uomini».
La gioia espressa dall’umile fanciulla di Galilea nel cantico del Magnificat «diventa il canto dell’umanità intera, che si compiace di vedere il Signore chinarsi su tutti gli uomini e tutte le donne, umili creature, e assumerli con sé in cielo». «Il Signore – dice il vescovo di Roma – si china sugli umili per alzarli».
Nel ricordo del Magnificat, per tutte le donne vilipese nella loro dignità «possa giungere – è la speranza di Francesco – quanto prima per loro l’inizio di una vita di pace, di giustizia, di amore, in attesa del giorno in cui finalmente si sentiranno afferrate da mani che non le umiliano, ma con tenerezza le sollevano e le conducono sulla strada della vita, fino al cielo».
[1] Cf. Evangelii gaudium n. 211.
[2] Dal discorso del 13 settembre 2015 ai partecipanti al Simposio internazionale sulla pastorale della strada, promosso dal Pontificio consiglio della pastorale dei migranti e gli itineranti.
[3] Sulla proposta di legge Bini cf. Settimananews.it n. 30 del 25 luglio 2016.