Oggi c’è un deficit di democrazia, perché essa non si è espansa ancora in tutti gli ambiti, ma c’è un altro tipo di deficit democratico dovuto al tradimento di tale prospettiva sociale e politica. Questo, evidentemente, è il deficit più pericoloso cui si può rimediare, in radice, in un solo modo: passando per la via educativa…
Colmare con l’educazione il deficit democratico
La società mondiale la si prepara a scuola e nelle altre agenzie educative, e la si prepara educando alla convivenza democratica. Ma questa cos’è? Anzitutto: non è un’educazione senza regole e senza autorità; non è un’educazione permissiva e indifferente ai valori. È, in positivo, l’educazione della responsabilità, della consapevolezza, della partecipazione, del dialogo, dei diritti, dei doveri.
È, dunque, un’educazione equilibrata; è un’educazione forte, ossia anche della negazione, dell’ostacolo, del filtro, del rovescio: di certo non ossessionata a dire no, a creare opposizioni, a suscitare conflitti, ma disposta a non sottovalutarli superficialmente, a non accontentarsi ipocritamente, a non dimenticarli imprudentemente. Il termine “convivenza” accompagna la vita della nostra Repubblica e ne costituisce una delle idee-guida.
In un discorso del 13 marzo 1947 alla Costituente, così Aldo Moro si esprimeva: «Costituendo lo Stato, noi determiniamo una forma di convivenza; […] determiniamo una forma di convivenza premessa per la costituzione dello Stato». Lo Stato ha fatto della convivenza democratica l’idea ispiratrice della sua opera educativa: si è preoccupato di porla alla base dell’educazione della scuola di base.[1]
L’“ethos” democratico e l’educazione ai valori
Se apriamo lo scrigno di questa densissima espressione – “convivenza democratica” –, vi troviamo un ricco gruppo di valori, che potremmo declinare con altrettanti percorsi educativi: educazione al dialogo, alla tolleranza, alla diversità, all’intercultura, ai diritti umani, alla legalità, alla creatività, all’ambiente, alla salute, alla mondialità, ai valori, alla pace.[2]
In questa «costellazione dell’educazione morale, civile, civica ed ecologica», come giustamente G. Acone chiama la convivenza democratica, vogliamo sostare un poco sull’educazione ai valori al fine di legarla al tema della mondialità. Il convincimento è che alla mondialità si va per la strada dei valori, sulla quale dobbiamo tutti incamminarci per salvarci ad ogni livello.[3]
Educare alla solidarietà
Il principio della solidarietà ha dalla sua l’urgenza (senza di essa non ci si salva), l’etica (è regola morale religiosa e laica), il consenso (è orientamento universalmente condiviso).
Il valore della solidarietà realizza a livello etico il rapporto tra il proprio “particulare” e la società mondiale, che stiamo declinando da diversi versanti: «Ciascun singolo – scrive il moralista Chiavacci – è responsabile del buon andamento della vita associata, cioè della migliore attuazione del bene comune in generale, e dell’arricchimento globale degli altri singoli associati».[4]
La convinta affermazione del dovere della solidarietà si scontra con gli ostacoli tipici della cultura moderna, evidentemente ancora resistente, il cui difetto più vistoso è l’individualismo,[5] e quello più lacerante della cultura post-moderma, che è certamente la frammentarietà: «Nella società del frammento e della pluralità delle appartenenze la solidarietà prova difficoltà a trovare il proprio ubi consistam, si genera la sfiducia nei confronti del prossimo».[6]
Educare ad altre virtù civilizzanti
«La società è in declino e non si può avere fiducia nel prossimo», affermava il risultato di un’inchiesta di circa quarant’anni fa.[7]
Ma, di là di possibili difficoltà, il progetto pedagogico non può venir meno; anzi deve tendere al massimo: non deve, ad esempio, attestarsi alla soglia dell’immediata iniziativa etica; deve proporsi il massimo, che non si accontenta di gestire l’interdipendenza, ma si dedica a coltivare l’interestistenza: «La logica dell’intersistenza non è livellatrice, stabilisce un rapporto di identità/differenza tra le persone, tra i gruppi, tra le nazioni, di identità dello scopo comune e di differenza circa i modi per perseguirlo».[8]
Non si tratta di optare tra valori competitivi e valori collaborativi, tra efficientismo e assistenzialismo, ma di cercare la coesistenza fra giustizia e merito, altruismo ed efficienza, sviluppo ed equilibrio, sapendo coltivare anche le cosiddette virtù civilizzanti: autocontrollo, moderazione, sobrietà.[9]
La solidarietà – è l’ultima osservazione che facciamo – non sopporta restringimenti di ambiti: essa si presenta come un’esigenza della nostra società complessa e planetaria.[10]
Educare alla convivialità
In questa parola chiave – convivialità – si riassume il significato attuale ed esaltante, ma anche difficile e impegnativo di una delle forme più alte e raffinate di educazione alla mondialità.[11] Essa chiama ad andare ben oltre la semplice tolleranza che, sebbene sia parola di civilissima pedagogia, mostra di iscriversi in una prospettica progettualmente minimale. Occorre la convivialità.
L’educazione alla convivialità vuole sostanziarsi di una pedagogia della decostruzione: chiede di demistificare le ragioni che pretendono di giustificare i bastioni della separatezza per poterli rovesciare.
Essa chiede, inoltre, una pedagogia dei gesti: esige, cioè, l’attivazione più realistica del linguaggio non verbale del coerente coinvolgimento personale.
Essa, infine, mostra di fidarsi solo di una pedagogia narrativa, che è fortemente collegata con l’etica narrativa, la quale favorisce l’incontro solidale di identità narrative, giacché l’uomo è un nodo di relazioni, un nodo di storie.[12]
Il narrare non impegna l’uso imperativo del verbo: è il mite raccontare la vita. Ma è allora, per questo, inefficace? Dipende dalla qualità di ciò che si narra: storie vere, autentiche, intense, del tutto sincere, pienamente fedeli alle leggi della vita, al magistero della coscienza, alla radicalità del Credo religioso (per chi ha fede) trascinano, convincono, educano: anche alla mondialità.
[1] Cf. Premessa ai Programmi per la Scuola elementare del 1985; I nuovi orientamenti per la Scuola dell’infanzia del 1991; l’interessante Circolare del Ministero della Pubblica Istruzione «Dialogo interculturale e convivenza deocratica» del 2.3.1994.
[2] E. Balducci, Per una pedagogia della pace, San Domenico di Fiesole, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole (FI) 1993. M. Mascia (a cura), Una nuova mondialità per un futuro di pace, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole (FI) 1994.
[3] Cf. Aa.Vv., L’Occidente ha ancora valori da proporre?, Ed. Augustinus, Palermo/Città Nuova, Roma1986; Aa.Vv., Per una cultura del valore, a cura di A. Rigobello, Fondazione Internazionale Nova Spes, Roma 1989; Fondazione Internazionale Nova Spes, Per una carta dei fondamentali valori umani, Fondazione Internazionale Nova Spes, Roma 1993.
[4] E. Chiavacci, Teologia morale 2/Complementi di morale generale, Cittadella, Assisi (PG) 1980, p. 48.
[5] Cf. A. Laurent, L’individualismo, Lucarini, Roma 1986.
[6] F. Bellino, Giusti e solidali. Fondamenti di etica sociale, Dehoniane, Roma 1994, p. 137.
[7] J. Stoetzel, I valori del tempo presente. Un’inchiesta europea, SEI, Torino 1984, p. 35.
[8] F. Bellino, Giusti e solidali, p. 148.
[9] F. Bellino, Giusti e solidali, pp. 148-159; 154-155.
[10] Cf. M. Ignatieff, I bisogni degli altri. Saggio sull’arte di essere uomini tra individualismo e solidarietà, Il Mulino, Bologna 1986.
[11] A. Nanni, Educare alla convivialità, EMI, Bologna 199622.
[12] Cf. P. Bichsel, Il lettore, il narrare, Comma 22, Milano 1989.