Femminicidi e sicurezza

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Nell’arco di poche settimane (28 luglio-13 agosto) in Trentino sono state uccise tre donne da parte di stranieri. I delitti hanno provocato una fiammata di richiesta di sicurezza, talora scomposta e contraddittoria. Il 24 agosto 92 operatori (psichiatri, tecnici, infermieri ecc.) del dipartimento di salute mentale hanno pubblicato una lettera aperta per rendere consapevole la comunità civile che la comprensibile paura non si rivolve nella pretesa di una sicurezza assoluta, ma nel coraggio civile di una “psichiatria di comunità che mette la persona al centro del suo percorso”. Delegare tutto ai servizi di salute mentale e alle istituzioni civili è velleitario. La risposta non può essere che  corale; fare rete tra servizi e persone. È giunta a SettimanaNews una riflessione del direttore del dipartimento di salute mentale, Claudio Agostini (scritta il 13 agosto). La proponiamo ai nostri lettori.

Perfino Cesare Augusto riteneva doveroso concedersi un riposo nel mezzo della canicola estiva. Quando anche la natura si arresta e solo il metronomo delle cicale scandisce il tempo, il riposo dovrebbe concedere un tempo per prendere distanza dalle cose, dagli affanni quotidiani, dalla necessità di fare, di produrre.

Dunque un tempo per le riflessioni, per una distanza che, sola, ci permetta di vedere le cose con sufficiente nitidezza.

 Tre femminicidi in un arco temporale molto ristretto (un mese, l’ultimo a Silandro poche ore fa) impongono una riflessione che provi ad andare al di là degli stereotipi, di quegli ictus della coscienza che azzerano la possibilità di analizzare, di comprendere.

In questi giorni i media, i tavolini dei bar, le halles affollate degli aeroporti, i conciliaboli da ombrellone, hanno intonato un corale mantra estivo inneggiante alla sicurezza, alla necessità di emendare il Bene dal Male, restituendo al primo la potenza benefica che sola può salvarci.

La paura chiede coraggio

Baudrillard, nelle sue mirabili riflessioni rispetto al senso e alla funzione del Male in rapporto al Bene, definisce il Male “l’alibi perfetto per l’egemonia del bene”, affermando che l’utopia del bene Assoluto ha slegato il male da ogni dipendenza, negando quella dialettica (l’interdipendenza) che necessariamente – e da sempre – lega il male e il bene.

La negazione di questa dialettica è paradigmaticamente rappresentata dal tema ossessivo della sicurezza, spacciata come unico antidoto al male.

In realtà l’antinomia fra paura (paura della violenza, della diversità, della fragilità che ci caratterizza) e sicurezza, rappresenta un imbroglio. La paura trova infatti il suo antidoto antinomico nel coraggio, non nella sicurezza, che ne rappresenta semmai la negazione, l’utopica sterilizzazione, la rinuncia ad affrontarlo.

In queste tragiche settimane abbiamo assistito ad un accavallarsi di letture e di j’accuse la cui radice comune è stata la fantasia che il male può (e deve) essere sterilizzato, in particolare dalle agenzie a ciò deputate (la magistratura, le forze dell’ordine, i servizi sociali, quelli dedicati alla tutela della salute mentale), attraverso una proscrizione che ne annulli la possibilità di agire.

Sempre Baudrillard afferma che un bene assoluto che sleghi il male da ogni dipendenza attribuisce a quest’ultimo una potenza autonoma – che non è quella del negativo (che sarebbe ancora un’interdipendenza dialettica con il bene) – consentendogli piuttosto di cambiare le regole del gioco e diventare la coscienza ventriloqua del bene (la semplificazione è mia).

Ciò che vorrei proporre alla riflessione è la necessità che il bene debba mantenere una posizione dialettica con il male poiché ogni tentativo di esorcizzarlo attraverso formule semplificate (l’ossessione securitaria ne costituisce la più evidente esemplificazione) produce mostri.

L’olocausto ha rappresentato l’epilessia di un potere nazista che negando la propria natura realizzava l’intelligenza del male. Il sillogismo era semplice: gli ebrei erano la causa della crisi che attraversava l’Europa e la sterilizzazione della loro azione (Action T4) avrebbe permesso al bene di trionfare. In realtà fu proprio il trionfo di quella stupidità del bene a realizzare l’intelligenza del male.

E allora?

I tragici omicidi di questo mese, con i non trascurabili  elementi comuni (tutti commessi da persone con natali stranieri, tutti agiti nei confronti di donne inermi ) devono interrogare le nostre coscienze (e le nostre intelligenze) nel tentativo di rispondere alla pur legittima domanda: si poteva evitare?

La maggior parte dei commentatori ha risposto a questa domanda dando stura ad una caccia alle streghe che mirava a trovare il colpevole, meglio ancora se in connivenza con la parte politica avversaria. Questo esercizio, antico come l’uomo, non solo appare poco intelligente (poco male, alla stupidità ci si abitua, basta non farci caso..) ma soprattutto poco utile. Un po’ come cercare il colpevole del crollo del ponte Morandi, di cui oggi ricorre il triste anniversario, nel violento acquazzone che in quelle ore si abbatteva su Genova (o magari nel cambiamento climatico, suo inequivocabile antecedente).

La violenza che caratterizza certi uomini – che con linguaggio politically correct chiamiamo homless perché l’inglese esorcizza le nostre responsabilità – è un dato di fatto, tutt’altro che naturale. Questa rappresenta purtroppo il punto di approdo o meglio, l’epilogo, di percorsi biografici che hanno slatentizzato e esaltato l’attitudine violenta che è in agguato in ogni uomo che abbia perso ogni potere, ogni diritto, ogni parvenza umana. Perché “accade facilmente, a chi ha perso tutto di perdere sé stessi”, come ci ricordava il grande Primo Levi.

Responsabilità

La violenza che ci sfiora e ci atterrisce, la fragilità che ci accomuna, la civiltà di cui andiamo orgogliosi, impone uno sforzo comune, consapevoli che le radici sono profonde, sprofondano nelle viscere di una storia nella quale ci sentiamo solo comparse ma che nonostante tutto è la nostra storia, la storia del nostro tempo, consapevoli che la responsabilità di fenomeni così complessi non può che essere collettiva, che l’invisibilità degli ultimi rappresenta il rovescio interrato dell’insopportabile ostentazione mondana dei primi. Tutto chiaro? Dunque si tratta solo di rimboccarci le maniche e fare un po’ più spazio?

Al contrario, tutto complesso, terribilmente complesso, ed è proprio  il riconoscimento di questa complessità che dovrebbe quantomeno fermare la nostra caccia alle streghe, evitando di scorgere nell’occhio altrui quella pagliuzza che nel nostro occhio rischia di assumere le proporzioni di una trave.

Allora tutti assolti perché sono problemi più grandi di noi, perché sono troppo difficili da affrontare? No, credo solo che dovremmo promuovere una responsabilità collettiva, così da evitare quell’inconfessabile complicità fra “loro che l’hanno fatto” e “noi che l’abbiamo voluto” (è sempre Baudrillard che parla, ed era in relazione all’11 settembre..).

Iniziamo raccontando le storie che sono andate bene, le azioni che hanno promosso cambiamenti. le esperienze che hanno rappresentato autentici incroci di culture, di civiltà. Continuiamo ad essere orgogliosi della nostra civiltà, della nostra Costituzione, una delle più garantiste al mondo, utilizzando i principi in essa contenuti per riconoscere in ogni essere umano un reciproco, una declinazione del vivere con pari dignità della nostra.

Uniamo le forze, con coraggio, unico vero antidoto alla paura, smettiamo di sentirci al sicuro mettendo la testa sotto terra mentre qualcuno perlustra il territorio ripulendolo dai predatori. Evitiamo anche di pensare che il male è un’eccezione perché l’Uomo in fondo è buono e se esprime questi livelli di malignità dev’essere per forza malato.

Il coraggio dell’uomo moderno non è affrontare il leone a mani nude, il coraggio è la capacità di uscire dagli schemi, percorrere strade nuove, leggere la realtà con strumenti all’altezza dei cambiamenti epocali. La paura è la cifra più fragile e dolorosa della condizione umana e il coraggio rappresenta l’unica possibilità di riscatto. Rifuggiamo dunque dalle semplificazioni, smarchiamoci dalle caccie alle streghe, uniamo gli sforzi: Servizi, cittadini, operatori del bene pubblico, costruiamo assieme una dialettica del rapporto col male, uscendo dall’utopia di un’esenzione per Ordine.

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