Sono considerati giovani gli appartenenti al gruppo di persone, maschi e femmine, che hanno un’età compresa tra i 20 e i 34 anni. Le classi d’età, nel tempo, sono state stravolte, perché il motivo centrale delle classificazioni sono date dalla ricerca di lavoro. È il principale problema che un giovane deve affrontare.
I dati recenti dicono che in Italia la disoccupazione giovanile si attesta al 33% (età compresa tra i 15 e i 24 anni). Se si aggiungono i neet (chi non cerca lavoro), si arriva al 40% delle forze lavoro, il triplo della media europea.
Si parte da questo dato perché coinvolge la scelta dell’istruzione, i territori dove si abita, le risorse della famiglia d’origine, le competenze aggiuntive che il/la giovane ha acquisito nella sua preparazione al lavoro, per capire una serie di problemi che la persona in età adulta dovrà affrontare.
Sono relativamente scarse le opportunità di lavoro. Per le donne i grandi obiettivi rimangono l’insegnamento e il mondo dei servizi (professionali, commerciali, sanitari, turistici); per gli uomini le competenze nel mondo della finanza, della gestione dei dati, dei controlli dell’organizzazione del lavoro, del commercio.
Per il resto, molte piccole occasionalità di partite IVA, di contratti mensili o trimestrali, con precarietà che mette a repentaglio l’equilibrio piscologico delle persone. In alcune zone del paese piccole somme di lavoro nero sono abbondantemente utilizzate e subite.
Il problema del lavoro (soprattutto per le donne) è, purtroppo, citato spesso ma non risolto. Né esistono, almeno per il nostro paese, linee di politica economica, capaci di dare la svolta significativa a questa condizione di precarietà.
L’insistenza sulla mancanza di lavoro non sia considerata fuorviante, perché, per un giovane che deve organizzarsi, il lavoro costituisce uno dei pilastri per costruire un futuro stabile e convinto.
La precarietà diventa il terreno instabile delle scelte di vita. Le residenze fuori dalla famiglia di origine non sono scelte, ma imposte; gli stessi affetti sono messi a dura prova, modulati dalle distanze che il lavoro impone. Formarsi una famiglia presuppone ordinariamente un impiego per ambedue i futuri coniugi. Cosa niente affatto facile.
Ciò alimenta il ritardo delle celebrazioni del matrimonio e, purtroppo, lo scarso numero delle nascite di figli: sono in contrazione rispetto al passato, arrivano in età avanzata, presuppongono delle condizioni di aiuto da parte dei nonni non sempre presenti.
La precarietà, condizione costitutiva
Il motivo dominante della formazione e del programma di vita giovanile è, dunque, la precarietà. Nel momento del distacco della famiglia d’origine, il progetto è dominato da un’incertezza che non è solo lavorativa, ma di approccio globale alla vita.
I ragazzi, già nella scuola superiore, vivono questa condizione di non autosufficienza. Nella scelta degli indirizzi dell’istruzione spesso si orientano a specialità facili (giurisprudenza, psicologia, materie sanitarie), anche se le previsioni dicono che non sarà affatto facile trovare occupazione.
La famiglia di origine tutela, finché ne è capace, la sopravvivenza del proprio figlio/figlia. Se, nell’immediato, questa condizione tranquillizza, per il futuro rimane sospeso ogni progetto, nell’attesa di un miracolo invocato, ma troppo spesso disatteso.
Qualche tentativo di autosufficienza si realizza con le semplici convivenze. Anche queste precarie: un’abitazione transitoria, accompagnata dalla precarietà delle relazioni. Pensare a un matrimonio per tutta la vita, quando non si è sicuri né dell’autonomia economica, né della durata delle relazioni, rischia di essere un’ipotesi da non prendere neppure in considerazione. Solo personalità coraggiose e forti riescono a superare le difficoltà presenti, in vista del futuro. Sono le poche famiglie che riescono a impostare lo schema classico delle famiglie stabili.
A volte – e questo fa meraviglia – anche giovani ben formati, con relazioni affettive stabili, con risorse economiche sufficienti, stentano, ritardano o addirittura non celebrano il matrimonio.
Alla domanda del perché di tali incertezze, gli stessi interessati non sono in grado di dare una risposta. Ascoltando le loro storie, si nota un sottofondo, diventato strutturale, della precarietà delle scelte.
Hanno vissuto una precarietà culturale, economica e sociale che ha invaso la loro vita. In alcuni casi addirittura ritornerà anche in età avanzata: non si spiegano altrimenti, per la vita privata, separazioni, divorzi, avventure anche in età matura.
Volubilità di pensiero
Questa analisi trova il suo riscontro anche nel mondo della partecipazione alla vita sociale di tutti. I fenomeni dell’affermazione della propria identità, spesso ricadenti in nazionalismi, xenofobia, autoritarismi hanno origine dalla ricerca di sicurezza. Il desiderio di sentirsi tutelati accentua le spinte autonomistiche. Chiedere una politica forte, chiusa, attenta ai propri interessi, con il disprezzo di chi è altro, non è sintomo di forza, ma di incertezza e di paura.
La stessa volubilità delle scelte politiche è evidente nella ricerca della persona forte risolutrice di problemi, eletta a voce di popolo, per riportare ordine e sicurezza. L’ostilità contro chi è straniero è troppo violenta e partecipata. I cosiddetti corpi intermedi della società civile che si occupano di arte, associazionismo, sindacati sono travolti da istanze personali e stentano a farsi riconoscere.
Nei riferimenti morali le scelte sono diventate frammentate, autonome, non condivise. Ognuno, per ogni materia, su ogni singolo episodio, traccia ed esprime la propria sintesi, senza confronti e tanto meno riferimenti.
L’evidenza di questo modo di pensare la si riscontra nell’esplosione degli strumenti delle chat, con l’aggravante dell’anonimato, perché chi esprime idee, anche controverse, non ha né la voglia, né il coraggio del confronto.
La religiosità
La religiosità delle persone ha subìto lo stesso peso della precarietà, trasformandosi in una miscela di sincretismo. Vecchi ricordi si mescolano con nuove intuizioni: positive e negative, riassumendosi nella frammentazione delle convinzioni e soprattutto delle azioni.
Una nuova religione sorta dalle radici cristiane, ma che subisce presenze comprensive di scetticismo, di nuove intuizioni, di pratiche esterne alle radici cristiane. Gli esempi sono molti e vanno dallo yoga alla preghiera, dal digiuno alla dieta, dalle feste di Natale a san Valentino.
Frammenti di ricordi arricchiti da tendenze estranee: spiritualità sempre più fragili a fronte di innesti materialisti e consumisti.
Il grave nella situazione giovanile è che tale frammentazione si ripercuoterà non solo nella vita dei singoli, ma anche in quella dei propri figli e nipoti.
Il cambiamento è epocale: distrutta l’antica sintesi, rimane il precariato di visioni del mondo e del senso della vita debole e incerto.
Né esistono richiami sufficienti a riportare a unità pensieri, convinzioni e comportamenti.
L’unica strada possibile è non spegnere lo stoppino fumigante. Con senso di speranza e di fiducia, coscienti però che si tratta di una piccola fiammella.
I piccoli gruppi coesi
In corrispondenza e all’interno della precarietà esistono piccoli gruppi che hanno un loro ideale, una propria organizzazione, capaci di convivere all’interno del precariato incombente dei propri colleghi.
Appartengono a varie fasce di interessi: culturali, artistici, politici, religiosi, assistenziali, ambientali, sportivi. È l’àncora di salvezza per chi, fin da piccolo, ha trovato compagni di viaggio che condividono l’organizzazione di interessi e di occupazione di energie.
Vanno seguiti, accompagnati e valorizzati: la loro esiguità numerica non deve trarre in inganno. Sono forze vive che seguono un ideale, sottraendosi, se non altro, all’individualismo e al non pensiero prevalente. Sono utili a scuola, nello sport, nelle risorse artistiche, nella politica, nella sanità e nella religione.
Si rimprovera ingiustamente a loro di non essere capaci di un’influenza così forte da invertire le tendenze prevalenti tra i propri coetanei. Purtroppo, i modi di pensare e di agire procurano tendenze supportate da flussi di immagini, di parole scritte e parlate in mano a pochi gruppi potenti e spesso speculativi.
È vero anche che, nella storia, sono esistiti periodi di riflessione e di riforme. Occorre tempo, lasciando memoria di quanti, in tempi non sospetti, hanno seguito linee di ragionevolezza e di ideali.
Attualmente si vive un periodo di trapasso: occorre prenderne atto, senza lasciarsi andare a giudizi e a tristezza.
Il filo della vita