«L’odierno rapido progresso tecnologico e le possibilità e le facilitazioni, che esso offre all’uomo contemporaneo, non deve depistarci a non considerare seriamente, prima di ciascuna impresa tecnologica, gli aggravi che essa provoca nell’ambiente naturale e nella società e di seguito anche le conseguenze sfavorevoli connesse, che possono essere, – e si stanno rivelando tali – assai pericolose e catastrofiche per il creato e la vita degli esseri viventi sulla terra». Così scrive Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli nel suo tradizionale messaggio per il 1° settembre, giornata che la Chiesa ortodossa dedica da anni al creato in concomitanza con l’inizio dell’anno liturgico e la memoria del beato Simeone lo Stilita «grande colonna della nostra Chiesa, il cui monumento, come altri meravigliosi siti archeologici in Siria e in tutto il mondo, come quello famoso dell’antica Palmira, hanno subito la barbarie e gli orrori della guerra».
Una scelta compiuta dal 2006 anche dalla Conferenza episcopale italiana che quest’anno ha indetto l’11ma Giornata per la custodia del creato (cf. Messaggio), mentre dallo scorso anno papa Francesco ha istituito, nella stessa data e in comunione d’intenti con il patriarca Bartolomeo, la Giornata mondiale di preghiera (ecumenica) per il creato.
Se i vescovi italiani si soffermano sulla misericordia di Dio, a partire dall’enciclica sociale, Laudato si’, per inserire la riflessione sul creato nell’Anno giubilare, il messaggio di Bartolomeo (indirizzato alla Chiesa ortodossa, ma offerto a tutti gli uomini di buona volontà) è orientato piuttosto al tema della «vigilanza». Di fronte agli innegabili vantaggi legati al progresso scientifico, non si debbono nascondere alcune «conseguenze negative, tra le quali anche la minaccia o anche la distruzione dell’ambiente naturale». Esse richiedono una vigilanza continua, un’opera di formazione e insegnamento in modo che «sia chiara la relazione dell’attuale crisi ecologica con le passioni umane della cupidigia, dell’ingordigia, dell’egoismo, della voracità rapace, delle cui passioni risultato e frutto è la crisi ambientale che viviamo».
Parla di «ritorno alla bellezza antica dell’ordine e dell’economia, della moderazione e della ascesi» il patriarca “verde” indicando l’unica strada in grado di condurre alla saggia gestione dell’ambiente ricordando quanto ribadito dal Santo e grande sinodo svoltosi a giugno nell’isola di Creta: «Le radici della crisi ecologica sono spirituali ed etiche, insite nel cuore di ogni uomo», in quanto «il desiderio della continua crescita del benessere e il consumismo sfrenato conducono inevitabilmente all’utilizzo sproporzionato e all’esaurimento delle risorse naturali» (cf. decisione sul testo «La missione della Chiesa»).
Ambiente e cultura valori interscambiabili
E aggiunge, quasi con rammarico, un cenno alla crisi della cultura in quanto «ambiente e cultura sono uniti e di uguale valore e interscambiabili», richiamando «l’attenzione di tutti i responsabili e di ogni uomo, sulla necessità della protezione, parallelamente, verso l’ambiente naturale e dell’eredità culturale mondiale, che si trova in pericolo, a causa dei cambiamenti climatici, dei conflitti bellici attraverso il mondo e a causa di altri motivi». «I tesori culturali, che come monumenti religiosi e spirituali, ma anche come espressione bimillenaria della mente umana, appartengono a tutta l’umanità e non esclusivamente ai paesi dentro i cui confini si trovano – continua Bartolomeo – e la rovina e la distruzione di un monumento culturale di un paese ferisce l’eredità universale dell’umanità».
L’appello finale, in sintonia con papa Bergoglio che l’aveva citato ampiamente nell’enciclica, è quello di «custodire la nostra comune casa naturale e culturale da ogni minaccia che sopraggiunga».
La “vergogna” per quanti restano senz’acqua
E una delle minacce più drammatiche presenti oggi sul pianeta è la scarsità d’acqua che rischia di mettere definitivamente in ginocchio l’economia agricola di intere popolazioni del mondo impoverito. Un tema su cui stanno discutendo a Stoccolma dal 28 agosto al 2 settembre i partecipanti al «World Water Week», la settimana mondiale dell’acqua dedicata quest’anno alla crescita sostenibile (il premio giovani viene assegnato quest’anno a tre ragazzi thailandesi per un progetto di risparmio e riciclo).
Intervenuto a nome della Santa Sede alla tavola rotonda interreligiosa di lunedì scorso, il card. Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio consiglio Giustizia e pace – destinatario lo scorso anno insieme al card. Koch della missiva pontificia che annunciava l’istituzione della 1° Giornata mondiale di preghiera per il creato – esprimeva tutto il suo disappunto per una cronica situazione di ingiustizia nella pressoché totale indifferenza della parte ricca del pianeta. «È una vergogna che tanti nostri fratelli e sorelle siano sistematicamente assetati o costretti a bere acqua non potabile, che le loro esigenze siano secondarie rispetto a quelle delle industrie che prendono troppo e inquinano ciò che rimane; che i governi perseguano altre priorità e ignorino il loro grido assetato».
Se solo avessimo l’onestà di riconoscere che tutto quanto ci circonda l’abbiamo ricevuto in dono, continuava Turkson, potremo trovare la forza per risolvere questo e gli altri problemi planetari perché «la natura ci è stata donata per essere condivisa da tutti gli uomini, generazione dopo generazione, e tutta la famiglia umana è chiamata a prendersi cura della nostra casa comune».
Riguardo al ruolo delle fedi in materia di sviluppo, non si possono dimenticare le «fruttuose collaborazioni tra le religioni, già in corso in diversi settori come la sanità, la sicurezza alimentare, gli investimenti, l’istruzione, la gestione delle risorse naturali e l’assistenza ai migranti»: la scienza può essere di grande aiuto, ma da sola «non è in grado di fornire la motivazione per un’azione virtuosa».
La motivazione si evince da quanto scritto da papa Francesco: «quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra» (LS 160). «Siamo molto più che informazioni o dati da misurare o rappresentare col PIL. Non siamo semplicemente fattori di produzioni e consumo».
Nella conclusione alcune piste da esplorare per un’azione efficace: dal tema dell’educazione («educare i giovani ad abbracciare la solidarietà, l’altruismo e la responsabilità») a quello della valorizzazione delle tradizioni spirituali (per esempio l’uso liturgico dell’acqua) fino all’opportunità di avviare anche «campagne interreligiose per recuperare fonti inquinate o la pulizia dei fiumi e dei laghi, al fine di favorire il rispetto reciproco, la pace e l’amicizia».
«Nel vangelo di Matteo – concludeva Turkson con un appello alla responsabilità – Gesù ci insegna ciò che siamo chiamati a fare: “Avevo sete e mi avete dato da bere”».
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