Paolo Cognetti ha recentemente pubblicato per Einaudi Giù nella valle (qui), un romanzo in cui c’è tanta montagna: animali, alberi e umani. Giordano Cavallari gli ha posto alcune domande.
- Sugli animali. Quale è il tuo rapporto con i cani, di cui molto scrivi nel romanzo?
Amo molto i racconti di Jack London e ho sempre voluto scriverne uno come Il richiamo della foresta, un capolavoro. Lì i cani sono appunto cani, Buck non parla e non pensa come un essere umano. Ma certo ha dei sentimenti, dei pensieri e dei modi per esprimerli, come sa chiunque viva con un cane. Io vivo con Laki da 11 anni ormai. Normalmente passiamo insieme 24 ore al giorno, siamo inseparabili.
Non l’avevo desiderato all’inizio, l’ho adottato solo per salvarlo, e il suo arrivo nella mia vita ha cambiato un po’ di cose. Primo, non sono più riuscito a mangiare animali. Sono diventato vegetariano perché davanti a un pezzo di carne mi sembrava di mangiare Laki! Secondo, sono diventato animalista. Proteggere il benessere degli animali è uno degli scopi della mia Fondazione. Terzo, ho trovato un motivo in più per avvicinarmi al buddhismo, secondo cui la vita animale ha la stessa dignità di quella umana. Quarto, ho cominciato a pensare di scrivere storie non antropocentriche, in cui gli altri viventi siano protagonisti tanto quanto gli umani. Questo è il risultato.
- Sugli alberi. Come vedi gli alberi e come possiamo anche noi – lettori – vederli?
Il primo libro sugli alberi che ho letto fu quello di Mario Rigoni Stern, Arboreto salvatico. Ogni capitolo un albero, ogni albero un carattere, quasi un personaggio. Lui amava in particolare il larice (il re del nostro versante delle Alpi, quello al sole) e la betulla (la Russia a cui era così affezionato).
Sono andato a visitare casa sua, aveva quadri di betulle in salotto! Poi qualche anno fa è arrivato Stefano Mancuso a raccontarci gli alberi, le piante, la vita vegetale nei suoi bellissimi libri, che ho letto con meraviglia. Mancuso dice: le piante sono il 99% della vita sul pianeta, noi una piccolissima parte del restante 1%, eppure ci comportiamo da padroni. Anche da qui l’idea di scrivere storie con gli alberi come protagonisti.
Le piante sono una presenza gentile, generosa, femminile, che dà speranza ovunque riesca a crescere, anche in una periferia urbana o un mondo nero come quello descritto. Infine, sono incappato nella Dea bianca di Robert Graves, che nel romanzo cito direttamente (non semino citazioni a caso). Lì ho scoperto un antico poema celtico, La battaglia degli alberi, e anche il calendario arboreo coi suoi tanti significati. Ho riscritto quella battaglia pensando agli alberi che resistono all’uomo, immaginando di battermi insieme a loro.
- Sugli umani. La lettura del libro solleva tante domande, anche di natura politica. Mentre il finale resta molto aperto. Chiedi a noi lettori di “tirare le conseguenze”?
La vera arte è sempre impegnata. La vera letteratura è un racconto del luogo e del tempo che stiamo vivendo e, per forza di cose, è politica. Tuttavia, non è una busta con dentro un messaggio o una morale. Su questo punto insisto sempre nelle scuole, quando i ragazzi mi chiedono «ma cosa volevi dire?», «qual è il messaggio?».
In quanto racconto del mondo, l’arte fa delle domande più che fornire delle risposte. Per questo anche tu, leggendo, hai sentito che «tutto resta aperto»: una volta chiuso il libro, sei tu che devi rispondere con le tue scelte e le tue azioni.
Io scrivo per vocazione, non ho mai voluto far altro che lo scrittore, perché ci credo davvero che sia possibile cambiare il mondo, anche con l’arte. Una vita senza battersi per cambiarlo mi sembrerebbe di una noia mortale.
- Infine. Avevo letto Le otto montagne. Questo è più “scuro”. C’è persino del sangue. È cambiato il tuo umore? Una via d’uscita c’è, ed è femminile?
Ho scritto dodici libri. Capisco che quello sia il più conosciuto, ma non per questo Le otto montagne possono fare sempre da termine di confronto. Quel romanzo l’ho scritto quasi dieci anni fa, nel mio periodo di innamoramento per la montagna. Adesso, alla montagna, voglio sempre bene − credo si avverta chiaramente leggendomi − ma sono anche molto arrabbiato con l’essere umano che la distrugge. Sì, nel mio libro la violenza è maschile, la gentilezza è femminile. Mi pare tuttavia che l’attuale governo dimostri che quella del potere alle donne sia una pia illusione. In realtà è il potere in quanto tale a essere violento, la resistenza è gentile. Resistiamo con gentilezza.