Polveri sottili alle stelle (picco a 309 microgrammi/metrocubo) in tutta la California dove il dramma degli incendi, causati da mesi e mesi di siccità, non accenna a diminuire: San Francisco è in ginocchio, Los Angeles piange le vittime, scuole e università chiuse, attività del terziario che rimandano a casa i dipendenti per fumo, seri problemi di salute per bambini, anziani e malati di asma, i senzatetto a rischio sopravvivenza, migliaia e migliaia di sfollati, la cittadina di Paradise (26 mila abitanti) praticamente rasa al suolo, venerdì 16 novembre si contavano già 89 vittime e 1.100 dispersi (dagli elenchi perlopiù anziani che non avranno avuto il tempo, o il modo, di allontanarsi da casa).
Le nostre vallate alpine spazzate nei giorni scorsi da un vento che ha superato anche i 200 km/h – si ha paura a chiamarlo uragano, perché da noi è un’esperienza sconosciuta, o meglio, lo era – migliaia e migliaia di metri cubi di legname da rimuovere (si parla di almeno 3 anni), strade da rimettere in sicurezza, argini di torrenti da sistemare, vittime da accompagnare al cimitero.
Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione mondiale della sanità e Unicef, circa il 30% della popolazione mondiale, pari a 2,1 miliardi di abitanti, non possiede nella propria abitazione un accesso continuato e sicuro all’acqua potabile mentre ben il 60% della popolazione (4,4 miliardi di persone) non ha accesso a servizi igienici adeguati. Di fatto: sui 2,1 miliardi di persone che non hanno tuttora accesso domestico a un’acqua corrente e di qualità controllata, 884 milioni non possiedono neppure un accesso considerato basilare all’acqua potabile, ossia nel raggio di un tragitto di 30 minuti a piedi da casa, e si contano sui 263 milioni le persone che devono camminare per oltre mezz’ora per attingere acqua e 159 milioni bevono acqua non trattata esclusivamente da fonti di superficie come corsi d’acqua o laghi.
E, in più, «ogni anno 361 mila bambini al di sotto dei 5 anni muoiono a causa della diarrea. La carenza di servizi igienici e l’acqua impura sono collegate alla trasmissione di malattie quali colera, dissenteria, epatite A e tifo.
Nei giorni scorsi, alla conferenza su “La gestione di un bene comune: accesso all’acqua potabile per tutti”, organizzata presso la Pontificia università Urbaniana di Roma dal Dicastero per lo Sviluppo umano integrale, in collaborazione con le ambasciate di Francia, Italia, Monaco, Perù e Stati Uniti presso la Santa Sede, Silvano Maria Tomasi, ex nunzio all’ONU di Ginevra e delegato dello stesso Dicastero vaticano, ipotizzava, non senza supporto (perché se ne parla da anni e già diversi conflitti africani sono stati troppo frettolosamente giudicati a scopo religioso, ma non è così), che le prossime guerre saranno combattute per ottenere l’accesso all’acqua, elemento di vita e uno dei diritti fondamentali della persona. «È certamente un diritto importante, perché senza l’acqua c’è il rischio di disidratazione, un rischio cioè che riguarda la vita stessa e, dato che l’acqua è indispensabile per la vita, è un diritto potervi accedere – diceva Tomasi –. Il punto di vista della Santa Sede su tutti i diritti umani è quello di sostenere la dignità delle persone e garantire questa dignità cominciando a garantire la vita. Specialmente nell’enciclica Laudato si’ questo tema è stato esplicitamente sviluppato».
Antiche questioni, nuovi problemi e ancora poche risposte
Non è un tema nuovo quello della situazione dei Paesi poveri in via di sviluppo, una volta etichettati come Terzo Mondo, ma è sotto gli occhi di tutti che il dramma si sta aggravando a velocità impressionante. E il cambiamento del clima peggiora le cose.
Nell’Ottobre missionario qualcuno ha pensato anche a questo, ma neanche gli eventi di casa nostra o in altre parti del mondo occidentale smuovono le coscienze. Perché ancora non bastano a cambiare i nostri stili di vita,mentre l’atmosfera sta arrivando al collasso: eventi estremi come quelli che ha vissuto anche il nostro Paese sono solo destinati a moltiplicarsi nei prossimi anni con effetti imprevedibili alle medie latitudini, ma altrove si stanno intensificando quelli già esistenti con esiti devastanti.
Per troppi cristiani il tema del cambiamento climatico che colpisce in particolare i più vulnerabili del pianeta, i poveri dei Paesi in via di sviluppo, non è una questione di sopravvivenza, e si continua, con uno strabismo incredibile, a difendere la “vita” solo a suon di belle parole, quasi una questione di principio e nulla più. Al contrario, oggi sappiamo bene che preoccuparsi della difesa del pianeta e delle persone che vi abitano fa parte integrante del difendere la vita e i più deboli, i poveri appunto.
Eppure, qualcosa si comincia a fare: nelle città del Nord si limita il traffico per i diesel (ma da quanti anni, soprattutto quando il gasolio era più conveniente, hanno inquinato l’aria?), si progettano alternative al trasporto mezzi su gomma (ma quanti TIR stanno ancora circolando sulle strade?), l’Alta Velocità ha ridotto gli spostamenti aerei lungo la penisola, aumenta in Italia l’acquisto di auto elettriche o perlomeno ibride, le famiglie cominciano a non accompagnare più i figli a scuola in auto (piuttosto a piedi, in bici o coi mezzi pubblici), per le vacanze si preferiscono viaggi brevi limitando gli spostamenti aerei o in macchina e per i pellegrinaggi si ritorna al treno …
D’altra parte, l’ultimo Rapporto IPCC 2018 parla chiaro (e gli scettici ormai sono solo ideologici): non c’è tempo da perdere e l’atmosfera ci sta chiedendo il conto dopo decenni di stili di vita sciagurati… che oggi però stentano a cambiare.
E i cristiani non sono certo migliori degli altri: si tengono conferenze, si predica, quando va bene, sulla Laudato si’, per poi agire tutto al contrario! Ma l’urgenza di attivare misure per mitigare gli effetti del cambiamento climatico ormai non è più rinviabile e per troppi anni tra le file dei negazionisti sono stati presenti cristiani che hanno contribuito non poco a diffondere fake news in rete e non solo, vedi la bufala del mancato consenso nel mondo scientifico.
Certo che andare controcorrente non è mai stato facile, ma proprio come cristiani dovremmo essere abituati.
Un appello dei vescovi di tutti i continenti
Significativo l’Appello sottoscritto a Roma a fine ottobre dai presidenti delle Conferenze episcopali cattoliche dei 5 continenti, in collaborazione con Caritas internationalis, CISDE e Movimento cattolico globale per il clima, per chiedere ai governanti (anche se non porta consenso politico) che si lavori per attuare senza ulteriori indugi gli Accordi di Parigi COP21 e perché la prossima conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (COP24 a Katowice in Polonia, a dicembre) possa rappresentare una pietra miliare nel percorso indicato a Parigi nel 2015.
«I firmatari – si legge nell’appello – sono motivati dal lavoro svolto sul campo dai tanti coraggiosi attori che, dentro e fuori le comunità cattoliche, diffondono il messaggio del papa nella Laudato si’».
Uno scritto breve, ben articolato in precisi punti e assai incisivo quello sottoscritto dai presidenti delle Conferenze episcopali regionali d’Europa, Africa, Asia, America Latina e Oceania (i vescovi nordamericani sono gli unici assenti) e precisamente il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente del CCEE (Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa), il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai in India e presidente della FABC (Federazione delle Conferenze dei vescovi asiatici), Peter Loy Chong, arcivescovo di Suva nelle Fiji e presidente della FCBCO (Federazione delle Conferenze episcopali dell’Oceania), Jean-Claude Hollerich, arcivescovo del Lussemburgo e presidente della COMECE (Commissione delle Conferenze episcopali accreditate presso la Comunità Europea), Gabriel Mbilingi, arcivescovo di Lubango in Angola e presidente del SECAM (Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar) e il card. Ruben Salazar Gomez, arcivescovo di Bogotà in Bolivia e presidente del CELAM (Consiglio dell’episcopato latinoamericano).
«Di fronte alla crescente urgenza dell’attuale crisi ecologica e sociale, fondata e ispirata dal lavoro svolto sul campo negli ultimi tre anni da tanti coraggiosi attori in tutto il mondo – all’interno della Chiesa cattolica e oltre – per promuovere e vivere i messaggi portati dalla lettera enciclica Laudato si’, chiediamo azioni ambiziose e immediate da intraprendere per affrontare e superare gli effetti devastanti della crisi climatica. Queste azioni devono essere intraprese dalla comunità internazionale a tutti i livelli: da persone, comunità, città, regioni, nazioni» si legge nel testo, e dovrebbe far riflettere che non si parla solo di “nazioni” e “regioni” (leggi decisori politici), ma si citano esplicitamente “persone” e “comunità” perché in linea con quanto ha scritto Bergoglio: «Essere custodi dell’opera di Dio non è qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (LS 217) e «Niente in questo mondo ci risulta indifferente» (LS 3).
«Abbiamo ascoltato “il grido della terra e il grido dei poveri”. Abbiamo ascoltato la chiamata del santo padre, papa Francesco, e siamo solidali con i nostri fratelli vescovi che hanno già preso posizione contro l’uso e lo sfruttamento illimitato e pericoloso delle risorse della nostra Madre Terra e contro i nostri attuali modelli di sviluppo, sostenuti da istituzioni e sistemi finanziari che subordinano la vita, la comunità, la solidarietà e il benessere sulla Terra al profitto, alla ricchezza e alla crescita sfrenata. Dobbiamo essere pronti a fare cambiamenti rapidi e radicali (LS 171)».
I vescovi invitano altresì a «resistere alla tentazione di cercare soluzioni all’attuale situazione limitate a soluzioni a breve termine, dimenticando ancora una volta di affrontare le cause profonde e le conseguenze che si possono già prevedere a lungo termine». Come dire: basta agire solo per mantenere il consenso e puntare alle prossime scadenze elettorali, un leader politico dovrebbe guardare oltre e pensare ai decenni che verranno.
“È una questione urgente di giustizia e dignità umana”
La chiamata dei presuli si basa su alcuni principi elencati in maniera sistematica per punti precisi corredati da citazioni autorevoli:
– l’urgenza. «Il tempo è un lusso che non abbiamo» (dalla Conferenza su Laudato si’: “Salvare la nostra casa comune e il futuro della vita sulla terra”, Roma, 5-6 luglio 2018). «Esiste una crescente consapevolezza nell’opinione pubblica, anche grazie alla ricerca scientifica e ai dati, che non ci sia tempo da perdere e noi vogliamo portare quell’urgenza su piani concreti che mirano a passare ad una giusta ripartizione delle risorse e delle responsabilità, dove i grandi emettitori di gas serra assumano responsabilità politiche e rispettano i loro impegni in materia di clima. “Possiamo vedere i segni che le cose ora stanno raggiungendo un punto di rottura, a causa del rapido ritmo di cambiamento e degrado” (LS 61)»;
– la giustizia intergenerazionale. «I giovani chiedono il cambiamento» (LS 13). «Il loro futuro è in grave pericolo e la nostra generazione non sta facendo abbastanza per lasciare loro un pianeta sano. Essere così miopi è un’ingiustizia inaccettabile». «Di conseguenza, la solidarietà intergenerazionale non è opzionale, ma piuttosto una questione fondamentale di giustizia, poiché il mondo che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno dopo di noi» (LS 159);
– la dignità e i diritti umani, in particolare dei più vulnerabili, devono essere sempre al centro dell’agenda climatica. «Nell’attuare gli Accordi di Parigi, i diritti umani devono essere efficacemente protetti, rispettati e sostenuti sia nelle decisioni politiche a livello nazionale che locale».
“Conoscenze, mezzi e tecnologia non mancano, basta decidersi”
A questo riguardo i vescovi chiedono che le politiche includano e riconoscano:
a) mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C imprescindibili per rimanere in vita. «Abbiamo il dovere morale di mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto di 2℃ sopra i livelli pre-industriali e perseguire gli sforzi per limitare l’aumento di temperatura a 1,5℃ sopra i livelli pre-industriali, come concordato dai governi a Parigi. Papa Francesco ha detto: “Come sappiamo, tutti sono colpiti dalla crisi climatica, tuttavia, gli effetti dei cambiamenti climatici non sono equamente distribuiti. Sono i poveri che soffrono di più delle devastazioni del riscaldamento globale […] Molti di coloro che possono permetterselo meno sono già costretti a lasciare le loro case e migrare verso altri luoghi dove possono o meno trovare accoglienza” (dall’indirizzo di sua santità papa Francesco ai partecipanti all’incontro per dirigenti delle principali società nel settore del petrolio e del gas naturale e altre attività legate all’energia, giugno 2018). Molti milioni di migranti seguiranno a breve. Una transizione equa e giusta, come richiesto dagli Accordi di Parigi, è una questione di vita o di morte per i paesi vulnerabili e le persone che vivono in zone costiere»;
b) passare a stili di vita sostenibili e a scelte politiche coraggiose volte a sostenere tutti gli sforzi per affrontare il consumo divenuto ormai eccessivo e ridurre drasticamente l’impronta ecologica a livello individuale e comunitario. «In questo quadro, insieme all’importanza dei piccoli gesti quotidiani, l’amore sociale ci spinge a mettere in atto strategie più ampie per arrestare il degrado ambientale e incoraggiare una “cultura della cura” che permea tutta la società» (LS 231). «Tutte queste azioni presuppongono una trasformazione a un livello più profondo, vale a dire un cambiamento dei cuori e delle menti» (dall’indirizzo di sua santità papa Francesco ai partecipanti alla Conferenza internazionale che segna il 3° anniversario dell’enciclica Laudato si’);
c) rispettare la conoscenza delle culture delle comunità indigene che devono essere protette e preservate efficacemente in quanto offrono soluzioni preziose per la cura e la gestione sostenibile delle risorse naturali. «Ci addolora vedere espropriate le terre delle popolazioni indigene e le loro culture calpestate da schemi predatori e da nuove forme di colonialismo, alimentate dalla cultura dello spreco e del consumismo» (dal convegno in vista del Sinodo dei vescovi, Amazzonia, 8 giugno 2018). «Non possono essere difese false soluzioni che utilizzano le risorse naturali come beni di produzione (come grandi impianti idroelettrici, agro-carburanti o raccolti) a scapito dei diritti delle comunità indigene»;
d) implementare un drastico cambio di paradigma della finanza mondiale in linea con gli Accordi globali sul clima. «Le istituzioni finanziarie hanno un ruolo importante da svolgere, sia come parte del problema che come soluzione» (dal discorso di sua santità papa Francesco ai partecipanti alla Conferenza internazionale che segna il 3° anniversario dell’enciclica Laudato si’). «Al giorno d’oggi è necessario e urgente istituire un sistema di trasparenza, efficienza e valutazione conforme, tra gli altri, all’Agenda per lo sviluppo sostenibile del 2030 e agli Accordi di Parigi, e mercati finanziari che siano regolati secondo questi quadri globali. Chiediamo una finanza a servizio della società, in grado di costruire comunità e promuovere l’integrità, l’uguaglianza e la giustizia»;
e) un autentico incremento dell’approvvigionamento energetico da fonti rinnovabili per «porre fine all’era dei combustibili fossili» (dall’appello dei vescovi mondiali ai partiti negoziali della COP21, ottobre 2015);
f) una conversione e un netto ripensamento del settore agricolo attraverso la promozione dell’agroecologia, «particolarmente adattabile e resiliente», perché l’agricoltura possa recuperare «la sua funzione fondamentale di fornire cibo sano e nutriente e che sia disponibile e accessibile a tutti». «Purtroppo a tutt’oggi il settore agricolo è controllato da interessi di grandi imprese a spese degli agricoltori poveri e della salute delle persone».
E concludono: «Siamo fermamente convinti che questa conversione ecologica rappresenti anche una sfida spirituale. Incoraggiamo tutte le iniziative all’interno e all’esterno della Chiesa cattolica che già dimostrano che vivere in modo più sostenibile è possibile, realizzabile e più giusto. In definitiva, è questa la chiave per la sopravvivenza dell’umanità».
È una questione di vita – la nostra – e ancor più quella di milioni e milioni di fratelli in situazione di povertà nel mondo.