Giovane cattedra dei non credenti
L’intervista al prof. Franco Garelli, uno dei più acuti osservatori del fenomeno religioso dal punto di vista sociale, prende avvio da una recente ricerca raccolta nel volume Piccoli atei crescono (Il Mulino, Bologna 2016, pp. 231, € 16,00). Sono stati coinvolti 1.500 giovani dai 18 ai 29 anni. Si sono aggiunte 150 interviste qualitative. Se il 72% afferma di credere, solo il 27 % ammette una preghiera regolare e il 13% una frequenza ecclesiale. I non credenti sono il 28%, ma se si aggiungono gli «appartenenti senza credenza» si arriva al 40%.
Il dato più sorprendente è la rapida crescita dei non credenti. Erano il 23% nel 2007, sono il 28% nel 2015. Nell’arco di 20-25 anni sono raddoppiati. È più facile per una famiglia di non credenti trasmettere l’agnosticismo di quanto lo sia per una famiglia credente trasmettere la fede. Forse perché il primo atteggiamento è più consono al nichilismo condiviso.
Il distacco giovanile dal credere si produce per tutte le forme delle fedi. In positivo vi è un nucleo del 10,5% di giovani credenti e attivi, un numero niente affatto trascurabile e qualitativamente significativo. La Giornata mondiale della gioventù che si celebra in questi giorni a Cracovia (Polonia) è un segnale bello. In ogni caso vi è un grande rispetto delle scelte proprie e altrui. L’affermazione di un ateismo teorico è di pochi. Vi è una specificità dei paesi europei mediterranei (Spagna, Portogallo e Italia) rispetto ai paesi del centro-Nord Europa, dove i giovani non credenti raggiungono il 50-65%. Dal punto di vista pastorale è molto apprezzabile non solo il numero dei giovani credenti, ma anche il fatto che vi sia in moltissimi altri una memoria buona dell’educazione cattolica ricevuta. Vi è una valutazione convinta, condivisa e da valorizzare rispetto a figure come papa Francesco, don Ciotti e il defunto don Gallo. Ancora da scavare la domanda di senso che nel mondo giovanile si intreccia spesso con quella della sopravvivenza e di un futuro privo di garanzie. (Lorenzo Prezzi).
1. Piccoli atei crescono: l’ultima sua ricerca segnala uno slittamento profondo delle nuove generazioni rispetto all’adesione e alla partecipazione ecclesiale. Come la rileva la sua indagine? Quali condizioni sociali e culturali favoriscono il processo?
La principale novità di questa ricerca sta nel titolo del libro: Piccoli atei crescono. Per dire che i giovani dai 18 ai 29 anni in Italia che si dichiarano senza Dio o senza religione sono ormai un gruppo consistente, circa il 28% della popolazione di questa età. Nel giro di 20-25 anni sono più che raddoppiati. L’ateismo o l’indifferenza religiosa giovanile non toccano ancora i livelli che si registrano in altre nazioni europee (tipo Francia, Belgio, Svezia, Germania), ma è indubbio che anche nel Belpaese lo scenario sta cambiando. Ecco il nuovo che avanza a livello religioso. Molti osservatori prestano grande attenzione alla realtà dei nuovi movimenti religiosi, al fascino delle religioni orientali, alla voglia di spiritualità alternative; che da noi tuttavia crescono con assai meno vigore di quanto succede per i giovani che non soltanto vivono e si comportano come se Dio non esistesse, ma che dichiarano in modo esplicito di essere “non credenti”, di aver rimosso dalla propria carta di identità un riferimento ultimo e trascendente, di non avvertire più l’esigenza di una cittadinanza religiosa.
A fianco di coloro che oggi si dichiarano “senza Dio” e “senza religione” vi è tuttavia un’ampia quota di giovani che continuano a mantenere un rapporto con la religione e gli ambienti ecclesiali. La condizione “credente” è ancora diffusa, ma molto differenziata al suo interno. I giovani credenti “convinti e attivi” sono ormai una piccola e qualificata minoranza (un 15-20%), che esprime una fede vitale e impegnata nelle comunità locali, a seguito di esperienze positive vissute in famiglia e negli ambienti ecclesiali. Ma nell’insieme dei giovani “credenti” prevalgono – come già succede per la popolazione adulta – quanti esprimono un cattolicesimo più delle intenzioni che del vissuto; e soprattutto coloro che aderiscono alla religione cattolica più per motivi “ambientali” e culturali che spirituali, ritrovando a questo livello un’appartenenza identitaria che offre sicurezza in un mondo sempre più precario e plurale, anche dal punto di vista religioso. Si tratta di un rapporto meno vincolante rispetto al passato, tipico di chi rimane in qualche modo connesso senza essere religiosamente attivo; che tuttavia esprime ancora l’esigenza di avere “una sacra volta” sopra di sé, cui poter attingere in particolari circostanze, quando si è interpellati sulle questioni ultime della vita o sui valori di fondo della propria cultura di appartenenza.
In sintesi, il trend è sufficientemente chiaro: non mancano giovani che nella società pluralistica vivono con entusiasmo e impegno un’opzione religiosa e un’appartenenza ecclesiale consapevole, smarcandosi dal sentire diffuso; ma molti mantengono un legame allentato e assai soggettivo con la fede della tradizione, mentre sono in aumento quanti hanno ormai spezzato il legame con l’identità cattolica ritenendosi ormai in posizione ateo-agnostica o di indifferenza religiosa.
2. È in atto una silenziosa rottura della tradizione. In Francia parlano di ex-culturazione della fede: è un movimento così profondo e radicale?
Il termine “esculturazione” è stato coniato da alcuni studiosi francesi per illustrare uno dei fenomeni più rilevanti che – a loro dire – si registrano Oltralpe in campo religioso: la scissione tra l’identità della nazione e l’identità cattolica, in una terra considerata da sempre come “la figlia prediletta della Chiesa”. Il cattolicesimo non sembra più far parte della cultura comune; i suoi orientamenti, le sue rappresentazioni, il suo personale sarebbero ai margini delle dinamiche sociali e della rappresentazione pubblica. Ampie quote di popolazione si starebbero spogliando della cultura cattolica, di un legame di affinità elettiva durato per secoli. Non sono del tutto convinto che queste immagini così tranchant siano quelle che meglio illustrano l’attuale situazione francese, che pur si presenta come uno dei paesi più laici e secolarizzati dell’Occidente, ma all’interno del quale il dibattito sulle questioni religiose (e sul ruolo del cristianesimo) si mantiene vivace e ricorrente.
Detto questo, ritengo però che lo scenario italiano sia assai diverso, e che da noi la cultura cattolica abbia ancora un ruolo consistente, pur in una situazione nella quale sono in crescita tra i giovani le posizioni atee o agnostiche o di indifferenza nei confronti della religione.
3. In che cosa consiste la diversità culturale e religiosa italiana?
Avanzo tre considerazioni. Anzitutto la maggior parte dei giovani italiani che oggi si dichiarano senza Dio o senza religione (come emerge dalla ricerca della quale qui si parla) ha avuto una socializzazione religiosa di base negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, fatta di presenza al catechismo, di frequenza dell’oratorio e di ambienti ecclesiali, di campi scuola e di momenti di riflessione umana e religiosa. Per cui, anche se successivamente si sono allontanati da questo “mondo”, hanno in memoria una formazione di fondo che attesta ancor oggi la perdurante vitalità della presenza cattolica nel paese e nel processo di crescita delle giovani generazioni. Insomma, non sono atei o agnostici o indifferenti alla religione “per nascita”, ma perché a un certo punto (e per vari motivi) hanno preso le distanze da un imprinting religioso ancora diffuso.
In secondo luogo, a differenza di ciò che accade in Francia, la Chiesa e i gruppi cattolici sono ancora ben inseriti nella vita della nazione, operano in termini costruttivi sul territorio, si impegnano per far fronte alle emergenze, si occupano di educazione dei giovani, di welfare, di volontariato ecc. Inoltre, di questi tempi non pochi italiani rivalutano la cultura cattolica e la fede della tradizione, come una fonte di valori nei quali identificarsi in un’epoca in cui si diffondono nel paese altre fedi religiose (islam e cristiano ortodossi in particolare).
Ancora, è del tutto evidente che oggi spira un vento anti-istituzione che coinvolge anche la Chiesa cattolica, che pur da noi è assai radicata. Molti prendono le distanze da una Chiesa che giudicano (facendo proprie immagini pubbliche negative) vecchia, stanca e malandata. Tuttavia, quella che rifiutano è la Chiesa istituzione, che viene descritta – in modo certamente riduttivo – come “lontana dai bisogni della gente”, “fonte soltanto di precetti”, “più giudice che madre”. Mentre, per contro, rivalutano la Chiesa di base, i preti di strada e quelli che si spendono sul territorio, le figure religiose non conformiste. In particolare, quella Chiesa locale che si occupa dei giovani, tiene aperti gli oratori, è prossima alle vicende degli ultimi, agisce nei luoghi di frontiera, nei quartieri degradati o dormitorio. Ecco la Chiesa che molti giovani intendono “salvare”, in forte contrasto con quella ufficiale o centrale, che sentono distante dalla gente comune e altrimenti affaccendata.
Si riconosce in tal modo – più di quanto si pensi – che la Chiesa cattolica è parte integrante del nostro paesaggio sociale. Dietro alle critiche si scorge l’interesse per una realtà che si vorrebbe profondamente diversa, che non si considera definitivamente persa. Come se si fosse consapevoli che essa è troppo intrecciata con le vicende della nazione (e la vita di molte persone) per poterne auspicare la scomparsa; o che questo mondo contiene al proprio interno delle figure e delle opere esemplari, che rappresentano per tutti – credenti e non credenti – un richiamo alle cose che contano.
4. «Ti abbandono Signore. Tu non abbandonarmi»: l’invocazione di E. Carrère ne Il Regno può sintetizzare un allontanamento che non costituisce un rifiuto (ateismo) né un agnosticismo presuntuoso?
Segni di un ateismo o di un agnosticismo dal volto più umano, non presuntuoso, né arrogante, emergono anche da questa ricerca. Ci sono certamente dei giovani atei dalle convinzioni granitiche, assai ostili e tranchant nei confronti delle Chiese o della religiosità tradizionale, che denigrano perlopiù la fede religiosa di quanti la professano. Ma a fianco di essi si contano non pochi giovani che pur definendosi “senza Dio” e “senza religione” ritengono sia plausibile credere e avere una fede religiosa anche nella società contemporanea, benché la cosa non li riguardi. Negano quindi l’assunto che la modernità sia la tomba della religione. Si tratta di una posizione curiosa. Pur essendo sufficientemente convinti delle proprie scelte, sono consapevoli che altri possono operare delle opzioni diverse sulle questioni fondamentali della vita. In altri termini, sono giovani che sembrano vivere il loro ateismo o distacco dalla religione in modo non ideologico o esclusivo. Per contro, tra i giovani credenti (anche convinti e attivi) non mancano quelli che riconoscono quanto sia difficile professare una fede religiosa nella società liquida e pluralistica. Insomma, gli steccati tra il credere e il non credere sembrano incrinarsi in una generazione abituata a soppesare i pro e i contro di ogni opzione e a ritenere legittime le scelte che ogni individuo compie in modo consapevole, anche se diverse dalle proprie.
5. Perché le risposte ecclesiali (dalla Giornata mondiale della gioventù ai movimenti ecclesiali, all’impegno missionario ecc.) appaiono scarsamente efficaci?
Non sono affatto risposte o proposte inefficaci, solo che coinvolgono quote ristrette di giovani, perlopiù quanti hanno alle spalle esperienze religiose significative, che provengono o da una famiglia che vive con intensità i valori religiosi o da un vissuto ecclesiale ricco di momenti umanamente e spiritualmente stimolanti. Molti giovani oggi 18-29enni – come s’è detto – hanno avuto una socializzazione religiosa negli anni precedenti, ma poi si sono distaccati nel tempo da questi ambienti e proposte per vari fattori: perché tali esperienze non hanno lasciato una particolare traccia nella loro vita, perché sui banchi delle superiori hanno maturato altri orientamenti e visioni della realtà, perché sono stati influenzati da una sfera pubblica che considera la Chiesa-istituzione come una realtà arretrata.
I giovani della GMG e dei gruppi cattolici impegnati sono invece soggetti che hanno verificato nel loro vissuto la fecondità di un’appartenenza religiosa che richiama a nuove sfide e orizzonti. Ma si tratta, appunto, di una minoranza di giovani, anche se selezionata e vivace.
6. La pluralità delle fedi, delle confessioni e delle spiritualità (new age) come si integra con il panorama che lei disegna? Le tendenze valgono per tutti?
Non è facile credere in Dio, avere una fede religiosa, nella modernità avanzata, nella società pluralistica. È un aspetto che molti osservatori e anche uomini del sacro non tengono in conto, ritenendo ad esempio che il nostro sia il tempo della scristianizzazione, della secolarizzazione spinta, della perdita totale del senso religioso. Per cui l’oggi della fede sembra ben poca cosa rispetto a un passato (più o meno remoto) descritto sempre come l’“età dell’oro” della religiosità. Ma in tal modo non si considera il fatto che gli alti livelli della religiosità di alcuni decenni or sono erano dovuti anche al conformismo sociale o alla mancanza di alternative; o a una situazione nella quale era (quasi) impossibile non credere in Dio e non aderire alla fede della tradizione. Mentre oggi si vive in un’epoca in cui la fede – anche per il credente più convinto – rappresenta solo un’opzione tra le tante, come ci ha ricordato Taylor.
La difficoltà del credere riguarda tutte le fedi religiose, non solo quella cristiano-cattolica. Riguarderà anche i musulmani, se essi a poco a poco usciranno dal loro guscio culturale e identitario e si apriranno al confronto con la società plurale. Coinvolge anche quanti si avvicinano alle proposte dei nuovi movimenti religiosi, delle religioni orientali, della new age, o cercano di coltivare una spiritualità alternativa. Alcuni vi si dedicano in modo totalizzante, ma i più sono consapevoli di operare delle scelte parziali, interpretando queste esperienze più come ricerca di armonia personale che in chiave specificamente religiosa. Pur in crescita si tratta di un fenomeno ancora minoritario e circoscritto tra i giovani italiani, parte dei quali combina queste istanze con le risorse “spirituali” acquisite dalla propria tradizione religiosa.
7. La dimensione istituzionale della Chiesa va indebolendosi e la sua efficacia in ordine agli indirizzi di comportamento ha un impatto minore. Come trasformare un elemento di debolezza in una risposta «virtuosa»?
L’immagine della Chiesa ufficiale in Italia, come già detto, non è delle migliori in questo momento storico. Tuttavia, non pochi giovani (anche “non credenti”) hanno in memoria delle figure religiose, incontrate nelle comunità locali, che hanno saputo in alcune circostanze cogliere e sollecitare il loro bisogno di senso, la domanda di autenticità, la loro tensione etica. La Chiesa oggi ha difficoltà a proporsi e a essere riconosciuta come “maestra di umanità”, ma possiede un patrimonio di valori e di esperienze con il quale può aiutare le persone a comporre le tensioni cui sono sottoposte nel tempo presente e ad ampliare i loro orizzonti. C’è una grande domanda di significato che occorre saper intercettare e interpretare. Il consenso di cui gode papa Francesco ce lo dimostra. È uno degli aspetti che emergono con maggior evidenza da questo studio. I giovani non sono indifferenti verso chi si pone al loro fianco, più che giudicarli mira a stimolarli, è attento alla loro condizione ma è capace anche di richiamarli a grandi mete. Almeno la metà dei giovani da noi intervistati riconosce di essere stata spinta dalla presenza del papa argentino a riavvicinarsi alla fede o ad aumentare il proprio impegno religioso. Magari non è vero, forse è solo un omaggio a un pontefice che piace per alcuni suoi atteggiamenti anti-sistema, proprio lui che è a capo di una millenaria istituzione religiosa. Tuttavia, è un indizio che la prossimità umana e spirituale può far breccia anche nei sofisticati figli della modernità avanzata.
Franco Garelli è sociologo, professore ordinario di Religioni nel mondo globalizzato e Sociologia della religione.