Guardando con occhi riflessivi lo scenario delle sfide che la nostra società oggi pone, si possono sintetizzare i quattro nodi che riguardano il mondo del welfare, posti dal cambiamento della struttura societaria cambiata degli ultimi vent’anni.
L’invecchiamento
Il primo dato è l’invecchiamento della popolazione. Si è arrivati quasi a un terzo della popolazione in Italia over 65 anni. La speranza di vita sta crescendo e questo è un dato estremamente positivo: 76-77 anni per gli uomini; 83-84 per le donne. Ma l’invecchiamento pone grossi problemi di riequilibrio demografico, di tutela della salute e di composizione familiare.
Un terzo della popolazione anziana significa un grande carico sanitario e sociale. Di fronte alle nuove esigenze assistenziali, sono stati due gli strumenti utilizzati: economici e di servizi. Economicamente l’assegno di accompagno per le gravi disabilità riguarda due milioni di persone. Al di là delle forzature (contro la povertà), significa che una grossa fetta di anziani ha problemi di salute pesanti. Se l’anziano ha ancora un nucleo familiare che l’accompagni (parenti, “badanti”, amici), riesce a sopravvivere dignitosamente. In caso di solitudine, i centri di accoglienza sono un calvario. Pensati – per esigenze di economia di scala – a grandi nuclei (60-80 persone), tolgono dignità e vivibilità ai singoli.
Occorre ripensare il welfare cristallizzato nel 2000 quando una legge dei servizi volle stabilizzare e “regolarizzare” la situazione dell’assistenza. Se ebbe il merito di impedire abusi, ha esagerato nell’accentuare lo schema sanitario, che porta ad adempimenti esagerati e, soprattutto, disumani. Le case per anziani di fatto assomigliano a corsie di ospedale, con la triste conseguenza che le persone possono sopravvivere anni nell’anonimato e nella solitudine.
La povertà
Il secondo grande tema è la povertà, documentata oramai da dati statistici. Da anni l’ISTAT fa notare che la povertà delle famiglie persiste e, per alcuni comparti, si aggrava.
Nel 2016 la stima parla di 1 milione e 619 mila le famiglie residenti in condizione di povertà assoluta, nelle quali vivono 4 milioni e 742 mila individui.
L’incidenza della povertà assoluta sale al 26,8% dal 18,3% del 2015 tra le famiglie con tre o più figli minori; aumenta anche fra i minori (1 milione e 292 mila nel 2016).
La povertà relativa nel 2016 riguarda il 10,6% delle famiglie residenti (10,4% nel 2015), per un totale di 2 milioni 734 mila, e 8 milioni 465 mila individui.
Cifre impressionanti alle quali la risposta è stata – almeno fino ad oggi – saltuaria e precaria. Gli 80 euro assegnati a pioggia; le ipotesi di salario garantito, il reddito di inclusione e altre ipotesi appaiono desideri più che politiche sociali.
Nemmeno l’attenzione alle aree più svantaggiate non c’è più, per cui le disparità tra nord e sud del paese si aggraveranno.
I giovani
Di giovani si parla molto. In realtà, le cifre dicono che i giovani si sono impoveriti negli ultimi anni.
Il presidente dell’Inps, prof. Boeri, ha esplicitamente dichiarato che la povertà in Italia è «significativamente e persistentemente più alta per chi ha meno di 35 anni, con una crescita costante negli ultimi 10 anni».
I dati Inps rivelano, inoltre, che «il 50% delle famiglie dove la persona dichiarante ha meno di 39 anni ha redditi Isee inferiori a 6.000 euro, mentre nelle famiglie con un dichiarante over 60 si scende al 33%».
«La spesa sociale è sempre più squilibrata a sfavore delle giovani generazioni: solo il 4% va a chi ha meno di 40 anni. Per le persone che hanno più di 65 anni è di 1.200 euro, mentre chi ha meno di 39 anni non raggiunge i 500 euro».
Non è più nemmeno citato il fenomeno delle emigrazioni. Molto coinvolti – anche emotivamente – per gli ingressi di immigrati, i nostri politici hanno sottovalutato il fenomeno delle emigrazioni dei nostri giovani.
A partire dalla crisi del 2008, e specialmente nell’ultimo triennio, le partenze hanno ripreso vigore e hanno raggiunto gli elevati livelli postbellici. Oltre 114 mila persone sono andate all’estero nel 2015.
A emigrare sono sempre più persone giovani con un livello di istruzione superiore. Dal 2013 l’Istat ha riscontrato una modifica radicale dei livelli di istruzione tra le persone in uscita: il 34,6% con la licenza media, il 34,8% con il diploma e il 30,0% con la laurea, per cui si può stimare che, nel 2016, su 114.000 italiani emigrati, siano 39.000 i diplomati e 34.000 i laureati.
Le destinazioni europee più ricorrenti sono la Germania e la Gran Bretagna; quindi, a seguire, l’Austria, il Belgio, la Francia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e la Svizzera (in Europa, dove si indirizzano circa i tre quarti delle uscite), mentre, oltreoceano, l’Argentina, il Brasile, il Canada, gli Stati Uniti e il Venezuela.
Ogni italiano che emigra rappresenta un investimento per il paese (oltre che per la famiglia): 90.000 euro un diplomato, 158.000 o 170.000 un laureato (rispettivamente laurea triennale o magistrale) e 228.000 un dottore di ricerca.
I flussi effettivi – dicono alcuni approfondimenti – sono ancora più elevati: i dati Istat andrebbero aumentati di 2,5 volte.
Nell’ultimo report sui migranti – giugno 2017 – in 10 anni l’Italia è «salita» di 5 posti nel ranking di quanti lasciano il proprio Paese per cercare migliori fortune altrove.
L’ambiente
Il cambiamento del clima nell’intero globo è un fenomeno purtroppo assodato. Le risposte da dare e la prevenzione da fare sono molte e costose. È giunto il momento di occuparsene in maniera seria.
Nel mondo le inondazioni, insieme alle tempeste, sono i disastri naturali che hanno fatto più vittime – ben il 71% –, seguiti dai terremoti con il 17%.
L’Italia raggiunge il settimo posto con le 299 vittime del terremoto che il 24 agosto ha colpito il Centro Italia. Non è ben messa né con la tutela del territorio, né con la sicurezza delle proprie strutture abitative sia pubbliche che private. Gli interventi sono attivati solo dopo eventi disastrosi.
Uno studio del Consiglio nazionale italiano degli ingegneri ha mostrato come il Paese, dal 1968 al 2014, abbia speso intorno ai 120 miliardi di euro per la ricostruzione post-terremoti; ma, per evitare i crolli – sottolinea il rapporto –, bastava investire 94 miliardi l’anno.
La prevenzione e la tutela dell’ambiente rimangono le soluzioni più importanti per far fronte alla catastrofi.
Il cambiamento di rotta
L’elenco dei problemi sociali non è nemmeno completo – si pensi alla riforma pensionistica o al complesso mondo del lavoro, sia per la sua regolamentazione che per la sua creazione –, ma pone la coscienza individuale e collettiva di fronte ai termini costituitivi della convivenza sociale. La gravità della situazione è data dalla mancanza di coscienza etica che affronti i nodi essenziali capaci di garantire una migliore qualità della vita.
Il welfare fa ripensato e rifondato. Con coraggio e anche saggezza: non è facile immaginare “il nuovo” mentre il vecchio preme. Intervenire è doveroso, oltre che fruttuoso.