La drammatica e confusa guerra in Siria così come le manifestazioni militari della Corea del Nord e gli altri focolai di violenza hanno dato avvio all’uso ormai insistente della parola «guerra». Di «nuova guerra fredda», «guerra mondiale permanente», «guerra totale» ha parlato il premier russo D. Medvedev. Alla «guerra santa» si appellano l’ISIS e le altre forze islamiche presenti in Medio Oriente, di «guerra al terrorismo» parlano le potenze occidentali, alla «guerra a pezzi» allude spesso il papa. Le parole non sono mai neutrali. Manifestano verità assai diverse: la legittima paura dell’Occidente, la dimensione profetica di Francesco, lo scontro di interessi fra sciiti e sunniti, la cecità ideologica degli estremisti ecc. Ma, soprattutto, alimentano giustificazioni e inducono assimilazione. Il provvisorio accordo per una fine ostilità in Siria, raggiunto a Monaco dai paesi del Syria Support Group l’11 febbraio – che si spera efficace – mostra l’uso diplomatico del riferimento bellico. Ma il dato di fondo è la tragedia richiamata dal papa il 7 febbraio quando ha ricordato la devastante sorte «delle popolazioni civili coinvolte nei violenti combattimenti nell’amata Siria e costrette ad abbandonare tutto per sfuggire agli orrori della guerra». La distruzione umana è ciò che resta dal gioco delle parole.