Al di là degli aspetti squisitamente patologici, vi sono due vissuti, intimamente legati, che serpeggiano fra gli adolescenti e i postadolescenti: il senso di vuoto e la noia.
Il “vuoto” potrebbe rappresentare il concavo rispetto al convesso: un necessario momento volto a mettere a fuoco i propri desideri e le proprie aspirazioni. Sentire una mancanza, una lacuna come anticipazione dei tentativi e delle esperienze per colmarla. Il senso di vuoto come una molla per costruire sé stessi in relazione agli altri. Invece, ahinoi, troppe volte quel “vuoto” è sterile e i comportamenti messi in atto per superarlo lo rendono ancor più penoso, acuto e paradossale.
Tentativi analoghi a quelli per esorcizzare la “noia”, ad esempio da parte dei “cacciatori di emozioni forti”. È proprio l’incapacità di godere e di vivere i propri stati d’animo, la propria affettività, la propria emotività, i propri sentimenti a trovare espressione nella “noia”. Non (solo) la mancanza o la povertà degli stimoli.
Qualche esempio. Il cantautore Franco Battiato, come mille e mille altre persone, ha vissuto, da ragazzo, la povertà degli stimoli che riceveva nel suo paesino d’origine come sprone per emigrare nella metropoli. E i ragazzi o le ragazze degli anni Sessanta e Settanta, trovandosi “stretti” in famiglia, non di rado andavano via di casa. “Fughe” più o meno (in)felici. Mentre oggi, spesso, si fugge da sé stessi restando fra le quattro mura. E i fenomeni patologici tanto dibattuti come l’Hikikomori rappresentano solo la punta dell’iceberg, la versione nosografica, quasi la “caricatura” di tendenze assai più diffuse.
Non solo. Tanto si parla del legame simbiotico dei ragazzi con i social e, più in generale, con la realtà virtuale. Ebbene, quando, da terapeuta, provo a chieder loro quale rapporto abbiano con quei mondi, quasi mai emerge l’entusiasmo o un coinvolgimento autentico. Prevalgono invece atteggiamenti di passività e di conformismo e, neanche a dirlo, vissuti di “noia” e di insoddisfazione.
Ben venga, allora, il brano musicale di Angelina Mango La noia, tale da capovolgere frasi fatte e luoghi comuni (“non ci resta che ridere”, possiamo ascoltare più volte nella canzone, ad esempio); tale, cioè, da decostruire un vocabolo che rischia altrimenti di non significare più nulla. E forse il messaggio è in parte giunto a destinazione, visto il successo mondiale del componimento. A riprova che l’arte può essere più efficace di tanti bla bla bla.
Non credo che la noia sia la cifra di questa generazione giovanile. Io rilevo di più l’area della paura nelle sue varie manifestazioni: ansia, attacchi di panico, fobie. Ciò rappresenta non la manifestazione di un vuoto esistenziale, ma di un sentirsi pressati terribilmente da un perfezionismo di strangola. Il non sentirsi all’altezza provoca atteggiamenti di ritiro e di apatia che possono anche essere confusi con la noia, ma in realtà non parlano di un vuoto da colmare, ma di un pieno da sbloccare togliendo da sopra la pressione delle aspettative.
Trovo molto più condivisibile questo commento di Gilberto della analisi del terapeuta. L’articolista non conclude non viene al “dunque”. Gilberto lo fa. Con frasi brevi e puntuali. Io sono un padre e un nonno di due donne adulte ed ho vissuto la mia e la loro adolescenza cercando di interpretare le varie epoche e come abbiano condizionato la vita di tre generazioni. Oggi non sono più in grado di aiutare nessuno malgrado un bagaglio di esperienza ed una ricchezza spirituale votata all’altruismo. Vorrei suggerire al terapeuta di non fermarsi alla dimensione del patologico ma di interrogarsi partendo dai cambiamenti antropologici, sociali, economici, politici che hanno plasmato il presente in brevissimo tempo. Ecco perché il “pieno da sbloccare” richiede un attimo di sosta, una stasi nella tempesta di mutazioni di pelle del mondo. Solo i giovani hanno il respiro temporale e le energie per manifestarsi operando nel mondo. Detto questo confido che esploda la inevitabile reazione al conformismo, all’indottrinamento del sistema ed alla manipolazione spudorata della realtà.