Nicola Armaroli, chimico del Consiglio Nazionale delle Ricerche, direttore della rivista scientifica Sapere e membro della Accademia delle Scienze, risponde alle domande sulle forniture di gas e le prospettive energetiche del nostro Paese.
- Nicola, la tua precedente intervista è stata pubblicata su SettimanaNews l’8 aprile scorso (cf. qui), all’insorgere del timore del venir meno delle forniture di gas dalla Russia. Cosa è stato fatto nel frattempo di ciò che tu avevi suggerito?
È stato fatto ciò che ci si può aspettare in una situazione emergenziale per la quale non si era e non si è ancora del tutto preparati.
Avevo suggerito innanzitutto un piano di risparmio dei consumi di gas e qualcuno mi aveva deriso.
- Partiamo dunque dal risparmio del consumo di gas: è possibile e quali benefici porterebbe?
Qualche settimana fa, il ministro Cingolani e l’ENEA – l’Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente – hanno presentato uno studio in linea con quanto dissi qui in aprile: è possibile risparmiare quote significative di gas, anche grazie a comportamenti virtuosi e diffusi, semplici, quali la moderazione delle temperature degli ambienti – d’estate e d’inverno – o dei tempi di permanenza sotto la doccia calda.
Si è stimato che, in questo modo, si possano risparmiare sino ai 3 miliardi di metri cubi di gas metano all’anno, sul totale dei 70 complessivi, ossia circa il 4%: una percentuale ovviamente non risolutiva, ma che va nella direzione giusta.
I consumi di energia
- Si tratta, secondo te, di una stima certa o molto approssimativa?
I consumi di gas sono condizionati dalle condizioni meteo stagionali, oltre che da altri numerosi fattori. Il consumo in estate avviene soprattutto per produrre energia elettrica nelle centrali a gas. Poiché stiamo vivendo un’estate torrida il consumo è più elevato della media degli ultimi anni: l’elettricità viene largamente impiegata infatti anche per raffrescare gli edifici.
Per il prossimo inverno è invece presumibile un consumo inferiore alla media, perché gli inverni tendono a essere, statisticamente, sempre più miti a causa del riscaldamento globale. Tuttavia in questa fase di cambiamenti climatici, possono accadere anche ondate di gelo estremo. Insomma, è impossibile fare previsioni stagionali sicure sui consumi.
- I comportamenti virtuosi sono semplicemente raccomandati: saranno effettivamente adottati?
Penso ci sia la possibilità di risparmiare anche di più di quanto indicato dallo studio di ENEA. La storia insegna che tutte le volte che si è verificata una crisi energetica e i prezzi dei carburanti si sono impennati, le famiglie e le aziende hanno saputo autoregolarsi riducendo i consumi. Le bollette del gas – triplicate – convincono da sé: ci sono famiglie – e pure imprese – che fanno fatica a pagarle o che proprio non ce la fanno.
Stagione permettendo, l’effetto prezzi – che permarrà purtroppo a lungo – potrà indurre un risparmio sino a 6-7 miliardi di metri cubi all’anno: quindi sino a circa un 10% del totale.
Dipendenza dal gas
- Recentemente i Paesi UE si sono assunti l’impegno di ridurre i consumi: in quale misura?
L’Unione ha inizialmente proposto un taglio dei consumi di gas del 15% per tutti, da ora al prossimo anno. Poi l’obiettivo è stato riparametrato per ciascun Paese, poichè non tutti partono dalla stessa condizione in termini di infrastrutture e approvvigionamenti.
Come sappiamo bene ormai, ci sono Paesi europei molto dipendenti dal gas, in particolare quello proveniente dalla Russia: in alcuni Paesi dell’Est Europa la dipendenza russa è al 100%. Ci sono invece altri Paesi che in questi anni hanno saputo diversificare o rendersi maggiormente indipendenti dal gas in genere.
Alla fine, ritengo che si possa ottenere, nel giro di un anno, un risparmio, nell’area dell’Unione Europea, del 7-8%. Ma, come ho detto, le incognite restano troppe per fare previsioni precise.
- Cos’altro è stato fatto e si pensa di fare per far fronte a un eventuale ulteriore taglio – o persino l’azzeramento – di forniture dalla Russia?
Nell’immediato si è cercato di fare solo ciò che si poteva in una situazione emergenziale, ossia cercare altre forniture, da altri Paesi, considerati i vincoli infrastrutturali esistenti. Il gas arriva in Italia in due modi: attraverso tubi – gasdotti – oppure con le navi allo stato liquido (GNL, gas naturale liquefatto).
Il primo passo è stato un accordo di forte incremento della fornitura dall’Algeria, che non richiede interventi infrastrutturali. Da questo Paese possiamo importare, tramite il gasdotto esistente, sino a 30 miliardi di metri cubi l’anno. Negli ultimi anni ne abbiamo importati circa 20: c’era e c’è dunque margine per un incremento di 10 miliardi di metri cubi.
Ammesso però che l’Algeria abbia una disponibilità extra così ampia da fornire all’Italia in tempi brevi, visto che non siamo i suoi unici clienti in cerca di alternative. Questo maggiore input algerino potrebbe permetterci di tagliare del 30% le importazioni dalla Russia: da 30 a 20 miliardi l’anno. Ma ad un costo più alto: l’Algeria, comprensibilmente, non regalerà niente a nessuno.
L’altra opzione è aumentare l’import dall’Azerbaijan tramite il gasdotto TAP inaugurato di recente, che passa attraverso Turchia, Grecia e Albania. Tuttavia per incrementare sensibilmente la quota di gas dall’Azerbaijan servono lungo il tragitto turbine più potenti che sospingano una maggior quantità di gas. Questo, naturalmente, richiede tempo.
Per quanto riguarda la Libia – altro tradizionale fornitore dell’Italia attraverso il gasdotto Melita-Gela – le forniture sono da tempo fortemente condizionate dalla situazione politica – caotica – del Paese. 10-12 anni fa importavamo 10 miliardi di metri cubi di gas, quota che è progressivamente diminuita sino agli attuali 3.
C’è poco da contare anche sui gasdotti che arrivano dal nord Europa. L’Olanda – che detiene il maggiore giacimento europeo di gas nei pressi di Groningen, funzionante dagli anni ’60 – sta riducendo l’estrazione e l’export per l’insorgere di terremoti indotti dal progressivo svuotamento del giacimento. Gruppi di cittadini danneggiati hanno intentato cause miliardarie. La prospettiva – al 2030 – è la chiusura definitiva del giacimento olandese.
Si sta cercando di aumentare la quota dalla Norvegia: ma parliamo comunque di 2-3 miliardi di metri cubi all’anno, complessivamente. La Norvegia rifornisce principalmente Paesi del Nord Europa.
Via mare
- Dicevi delle navi metanifere: potrà arrivare più gas via mare?
Si tratta di gas liquefatto – cioè ridotto allo stato liquido a 162 gradi sottozero, diminuendo così il volume di 600 volte rispetto alle condizioni standard. Giunto alla destinazione finale il GNL deve essere riportato allo stato gassoso, in quei rigassificatori di cui si sta parlando molto ora, anche nella campagna elettorale.
Gli impianti di rigassificazione sono complessi e classificati a rischio di incidente rilevante. Oggi vi sono 3 terminali GNL funzionanti in Italia: a Panigaglia, nel golfo di La Spezia, sulla terraferma, attivo dal 1970, con una capacità di rigassificazione di 3,5 miliardi di metri cubi all’anno. Un altro impianto – galleggiante – si trova al largo di Livorno, a circa 22 chilometri dalla costa ed ha una capacità di 3,8 miliardi di metri cubi l’anno. La terza infrastruttura è a Porto Viro al largo del Delta del Po: è fissata al fondo del mare ed ha una potenzialità di rigassificazione di 8 miliardi di metri cubi l’anno.
Si sta ponendo ora l’opzione di collocare ulteriori impianti di rigassificazione per ricevere altro gas via nave, per compensare il minore import via tubo dalla Russia. Questi nuovi impianti dovranno essere navi galleggianti, perché nell’emergenza non c’è tempo per realizzare impianti fissi.
SNAM ha acquisito sul mercato internazionale due navi di questo tipo, ovviamente molto costose nella congiuntura attuale. Ma questo per ora non basta per risolvere i problemi di approvvigionamento. Bisogna individuare gli spazi di mare adeguati a collocare queste navi e realizzare i collegamenti via tubo con la terraferma.
Una delle sedi proposte è il porto di Piombino, ove si sono levate forti contrarietà. In effetti questi impianti, per le loro caratteristiche, dovrebbero essere collocati al largo, non nei porti. Ma collocarle in un porto velocizza la loro entrata in funzione. Insomma le due esigenze di sicurezza e rapidità non collimano, purtroppo.
Consideriamo poi – riguardo ai tempi – che per mettere in funzione questi impianti servono valutazioni di impatto ambientale e numerose autorizzazioni. Anche con l’iter velocizzato di cui si sta parlando servirà almeno un anno – con la concordia degli Enti locali – per arrivare alla piena operatività. I nuovi rigassificatori non ci daranno una mano per l’inverno più difficile, quello in arrivo.
- Di quanto potrebbe incrementare l’import per via marittima?
Consideriamo che ogni nave metanifera trasporta in media l’equivalente di 80 milioni di metri cubi di gas, che è circa la metà dell’import medio giornaliero via tubo in Italia. Dipenderà dunque dal numero di navi metaniere che potranno arrivare e scaricare, che a sua volta dipende dalla disponibilità di materia prima sui mercati internazionali, che al momento non è abbondante.
La quantità suppletiva che potrà essere potenzialmente fornita dai due nuovi rigassificatori galleggianti si aggirerà attorno ai 10 miliardi di metri cubi/anno. Il secondo dovrebbe essere collocato a Ravenna.
- Sappiamo da dove potrebbero arrivare queste navi?
L’Italia ha negoziato o sta negoziando accordi in diversi Paesi africani: Repubblica del Congo, Angola, Mozambico, Egitto, tutti Paesi in cui Eni possiede concessioni di estrazione. Ciascuno di essi potrebbe arrivare a fornire fino a circa 5 miliardi di metri cubi l’anno. Va detto però che non tutti questi Paesi hanno terminali di liquefazione già pronti o pienamente operativi alla capacità necessaria, quindi non potranno fornirci gas in tempi brevi.
Il Qatar – un Paese minuscolo adagiato sul più grande giacimento di gas al mondo – è un altro grande esportatore da cui già stiamo importando e da cui si potrebbe ulteriormente importare. Il rigassificatore di Porto Viro vede tra i principali azionisti una affiliata di Qatar Energy oltre che Esso Italia.
Anche gli Stati Uniti sono divenuti, per l’Europa, potenziali esportatori di questo tipo di gas, estratto – ricordo – con la tecnica, molto invasiva, del fracking. Per quanto riguarda l’import dagli Stati Uniti stiamo parlando di quantità potenziali modeste rispetto al nostro fabbisogno.
- Tra gas da gasdotti e gas da navi metanifere, tecnicamente, quale preferire?
Naturalmente quello da gasdotti. Va da sé, anche per chi non sia un tecnico, considerare che il gas estratto nei Paesi che ho prima citato deve essere liquefatto prima di essere caricato sulle navi, quindi trasportato per migliaia di km negli oceani e rigassificato (cioè riscaldato) all’arrivo.
In ciascuno di questi passaggi va disperso gas metano in atmosfera, che purtroppo è un potente gas serra, molto più potente della stessa anidride carbonica. Ogni passaggio descritto richiede poi il consumo di molta energia che viene normalmente sottratta al contenuto energetico del gas inizialmente estratto. In alcuni casi si può arrivare in questo modo a “investire” il 20-30% del gas estratto, per riuscire a portarlo alla fruizione dei consumatori finali.
Dal punto di vista ambientale ed economico è molto più conveniente spingere il gas in grandi tubi con compressori – anche per migliaia chilometri – piuttosto che trasportarlo allo stato liquido con le navi. Ma è chiaro che di questi tempi si fa di tutto, pur di avere il gas, costi quel che costi. Sta di fatto che il gas russo via tubo è quello più comodo ed economico e, comunque andrà a finire, pagheremo di più.
La soglia critica
- Che cosa può garantire l’equilibrio tra approvvigionamenti e consumi, per non andare in crisi?
Posso descrivere l’equilibrio sino ad ora. Quello che accadrà nei prossimi mesi nessuno è in grado di prevederlo con precisione, sono troppi i fattori in campo.
I consumi di gas in Italia variano mediamente da un minimo di 4 miliardi di metri cubi/mese nel periodo estivo sino ad un massimo di 10 nei mesi invernali, con la punta a gennaio. Nel mentre importiamo – su dato storico- da un minimo di 5 miliardi di metri cubi/mese attorno a ottobre-novembre, quando gli stoccaggi sono pieni, ad un massimo di 6-7 miliardi di metri cubi/mese attorno a marzo-aprile, quando gli stoccaggi sono vuoti.
Quindi consumiamo mensilmente tra 4 e 10 e importiamo tra 5 e 7: questo ha consentito sino ad ora di mantenere l’equilibrio, un equilibrio molto delicato e che abbisogna di costante cura. Le pressioni nei giacimenti di stoccaggio, ad esempio, variano in ragione dei flussi di riempimento e di erogazione, mentre la pressione nella rete di distribuzione, sino alle case dei cittadini, va mantenuta costante.
In caso di forti riduzioni di import dalla Russia rispetto al passato e di un inverno più freddo della media, il momento più critico sarebbe la fine dell’inverno, tra febbraio e marzo 2023. In quel momento infatti gli stoccaggi saranno in buona parte svuotati e la loro cosiddetta “disponibilità di punta giornaliera” in fase di erogazione, ai minimi.
- Cosa sono i giacimenti di stoccaggio di cui stai parlando?
Si tratta di giacimenti di gas naturale scoperti e sfruttati negli anni del boom economico e velocemente esauriti. A partire dagli anni ’80 sono stati impiegati come serbatoi per il gas di importazione. La loro capacità complessiva di stoccaggio alla rete raggiunge i 18 miliardi di metri cubi/anno sui circa 70 di consumo nazionale.
In questi 18 miliardi è inclusa una quota cosiddetta “strategica” che è fissata in circa 4 miliardi di metri cubi che non è disponibile sul mercato. Serve per fare eventualmente fronte a una, grave, emergenza energetica. In pratica, non è mai accaduto in 50 anni che questa quota sia mai stata sensibilmente intaccata. Potrebbe essere l’anno buono.
Per mantenere l’equilibrio di cui ho detto, gli stoccaggi devono essere poi gestiti ad una pressione non inferiore ad un certo valore. Quindi c’è una ragguardevole quota di gas (cushion gas) che non che non deve mai essere estratto, perché è necessario per mantenere pienamente operativo il giacimento di stoccaggio.
Riassumendo, possiamo dire che i giacimenti di stoccaggio, dopo aver trattenuto la quota strategica e la quota tecnica, possono normalmente immettere annualmente in rete 14 miliardi di metri cubi su 70. Tutti nella fase autunno/inverno, quando l’import giornaliero non è in grado, da solo, di coprire la domanda.
- Dove sono ubicati questi stoccaggi?
La maggior parte dei giacimenti di stoccaggio si trovano in Pianura Padana, che costituisce la principale area di consumo. Sono 13 in totale, con una grande concentrazione a cavallo tra le province di Lodi, Cremona e Piacenza. Sono naturalmente tutti collegati tra loro, in quanto parte integrante della infrastruttura nazionale del gas.
Geograficamente parlando, lo snodo chiave è costituito dallo stoccaggio di Minerbio in Emilia Romagna, che è il terminale del gasdotto algerino Transmed, riceve il gas in arrivo dal Nord Europa, dal TAP ed è collegato direttamente al rigassificatore di Porto Viro. In termini assoluti, il più grande deposito di stoccaggio, per capacità, di trova a Fiume Treste in Abruzzo.
La società che detiene la gestione del 90% dello stoccaggio italiano è Stogit, una controllata di Snam. Poi vi sono Edison e Italgas.
Quello che ci aspetta
- Possiamo stare tranquilli sapendo che ci sono questi giacimenti di stoccaggio che vengono regolarmente gonfiati e sgonfiati?
Anche questi impianti sono classificati a rischio di incidente rilevante, per cui debbono essere messe in atto attività di informazione e addestramento per i cittadini che vivono nelle vicinanze. Per far capire quali forze siano in gioco, faccio l’esempio del giacimento di stoccaggio di Minerbio che conosco bene, che interessa una zona di 68 chilometri quadrati in superficie.
I satelliti rilevano che in questa area il suolo si innalza e si abbassa di diversi millimetri due volte all’anno, in ragione delle punte di massima e minima pressione. Questo accade da 40 anni. Le attività di prelievo ed immissione di gas naturale nel sottosuolo possono innescare terremoti, citavo prima il caso di Groningen.
Proprio per questo motivo il sito di stoccaggio di Minerbio fu uno dei siti presi in esame dalla Commissione Interazionale (ICHESE) che doveva studiare possibili inneschi da attività umane del sisma emiliano del 2012 (gli altri erano pozzi di estrazione petrolifera nel modenese o geotermici nel ferrarese).
ICHESE escluse un nesso tra la gestione dell’impianto di Minerbio e il terremoto del 2012. Però nel 2018, intervistammo su Sapere il presidente della Commissione ICHESE – il britannico Peter Styles – che dichiarò che la Commissione non era stata adeguatamente informata del fatto che, alcuni mesi prima del sisma, era stato fatto un esperimento di stoccaggio in sovrapressione nel giacimento di Minerbio. La cosa non è irrilevante perché l’innesco di terremoti per stress indotti può avvenire a distanza di mesi e a decine di chilometri di distanza. Sulla vicenda anche Report fece un’inchiesta.
Naturalmente non sapremo mai se ci possa essere stata una connessione tra i due eventi. Sta di fatto che la vicenda rimane un episodio abbastanza opaco. A seguito di queste dichiarazioni di Peter Styles e di queste inchieste, la Regione Emilia Romagna non ha mai dato il proprio assenso alla gestione dell’impianto di Minerbio in sovrapressione rispetto ai valori naturali iniziali di giacimento e la vicenda è stata definitivamente chiusa. A giacimento pieno, in Novembre, la pressione viene portata al valore originario del 1956, quando il giacimento fu scoperto, non un filo in più.
I consumatori
- Chi fa gli accordi di fornitura cui hai detto, gli Stati o le aziende, società per azioni?
Le grandi aziende. In Italia i contratti con i grandi fornitori – ad esempio Gazprom, Russia; Sonatrach, Algeria – li stipula Eni.
- Noi consumatori paghiamo il gas, in bolletta, secondo un prezzo unico, a prescindere da dove venga: è così?
Certamente, il prezzo è fissato dal mercato. Ci sono possono essere variazioni perché il mercato di acquisto è liberalizzato per cittadini e imprese. Nulla che possa aver messo al riparo dai rincari che abbiamo visto in questi mesi, tranne che per coloro che avevano firmato un contratto a prezzo fisso sul lungo termine, che però sono una minoranza.
Di sicuro il gas a prezzi esorbitanti che è stato pagato dai cittadini europei da circa un anno a questa parte è stato almeno in parte acquistato a prezzi molto più bassi dalle grandi aziende importatrici. Queste infatti hanno siglato contratti a lungo termine a prezzi ben lontani da quelli attuali.
Lontani quanto? Non è dato saperlo. Il dettaglio, di questi contratti non è mai reso pubblico. Questo ha sollevato la questione dei cosiddetti extra-profitti su cui nei mesi scorsi è intervenuto il governo Draghi con una tassazione speciale. La misura però è risultata sinora inefficace, poiché molte aziende eludono il tributo.
Sino ad alcuni anni fa, il prezzo del gas era vincolato a quello del petrolio. Oggi non più: il suo cosiddetto prezzo spot – ovvero la quotazione di riferimento valida a livello internazionale per gli acquisti a breve termine – avviene nella piazza finanziaria di Amsterdam.
Questa situazione può determinare enormi effetti speculativi. È importante sottolineare che l’aumento del prezzo del gas è iniziato mesi prima dell’invasione dell’Ucraina. Tutti i consumatori di gas – io non lo sono più – ricordano che le bollette erano già raddoppiate o triplicate ben prima del 24 febbraio 2022. Lo stesso ministro Cingolani ha detto più volte che l’incremento abnorme che ha subito il prezzo del gas non è giustificato da ragioni obiettive di mercato, ma è in gran parte frutto di speculazione.
- Perché questo è avvenuto?
Una delle ipotesi più diffuse è la seguente. Nel 2020 i profitti delle aziende oil&gas hanno subito un netto calo a seguito della frenata dell’economia mondiale dovuta alla pandemia.
Alla ripresa, verso la fine del 2021, sono state studiate a tavolino speculazioni finanziarie mirate ad alzare i prezzi oltre ogni fondato motivo, con l’obiettivo recuperare i profitti persi l’anno prima. È solo una congettura. Ognuno è libero di crederci o meno.
Il rubinetto russo
- Cosa pensi dell’idea del Presidente Draghi di fissare un tetto al prezzo del gas?
Dico che sarebbe una bella cosa, ma non capisco bene come sia realizzabile, nell’economia di mercato nella quale siamo immersi. Persino alcuni Stati – prima ancora delle aziende – si stanno opponendo alla proposta.
L’Olanda si oppone probabilmente perché ospita il mercato del gas e ne beneficia. la Germania è scettica per la paura di ulteriori ritorsioni russe. Il tetto al prezzo significherebbe mettere in discussione tutto il sistema, e forse nessuno ha davvero la capacità o il coraggio di farlo.
- Secondo te, la Russia arriverà a chiudere completamente il «rubinetto» del gas all’Italia e all’Europa?
È certamente possibile. Lo farà o non lo farà in ragione del danno economico che potrà subire. La nostra fornitura di gas per l’inverno non è ancora garantita, ma nel frattempo la Russia ha già incassato più degli anni scorsi, coi prezzi alle stelle. Mi sembra sia chiaro chi ha, in questa fase, il coltello dalla parte del manico.
L’attuale costo del gas e più in generale dell’energia non è sostenibile né per le famiglie né per le imprese e neppure per gli Stati che stanno cercando di attutirne gli effetti con le casse pubbliche. Si rischiano tensioni sociali altissime non solo in Italia, ma in tutto il mondo.
Prepariamoci ad un inverno difficile. Intanto però affiliamo quella che potrà essere la nostra arma più efficace: una capacità di risparmio e adattamento forse unica al mondo. I miliardi di metri cubi più preziosi, saranno quelli che non consumeremo. Sperando che il generale inverno ci dia una mano.
- E in prospettiva a più lungo termine?
In prospettiva non dobbiamo solo smettere di bruciare gas russo. Dobbiamo smettere di bruciare gas in toto, entro 20 anni.
La crisi climatica ci chiede di cambiare sistema energetico, non fornitore di gas. È in gioco il benessere nostro e dei nostri figli, anche economico. Il gas sarà sempre più un pessimo affare, che non merita investimenti a lungo termine. Usciamo dal tunnel.
Nella seconda parte della intervista il professor Armaroli tratterà di energia da risorse rinnovabili per il futuro «sostenibile» del nostro Paese.
Grazie Nicola del solito articolo circostanziato ed onesto
L’Europa è nelle mani degli Stati Uniti e questo dovrebbe bastare per capire che non possiamo seguirli; la Russia non ha mai invaso l’Europa in 1200 anni di vita. Dal 1600 l’Inghilterra cerca di disintegrare la Russia servendosi di altri paesi come l’India , la Cina e poi la Turchia, fino al Giappone. Il segretario generale della Nato dichiara che dal 2014 al 2022 gli ucraini sono stati preparati militarmente dalla Nato; avrei voluto vedere se russi avessero militarizzato il Messico.
‘la Russia non ha mai invaso l’Europa in 1200 anni di vita’ chiedere a polacchi, svedesi, finlandesi, baltici, georgiani se è vero.
‘Dal 1600 l’Inghilterra cerca di disintegrare la Russia servendosi di altri paesi come l’India , la Cina e poi la Turchia, fino al Giappone.’ Mi sembra una visione della storia basata sul nulla, visto che in molti periodi Inghilterra e Russia sono stati in buoni rapporti, almeno commerciali
‘Il segretario generale della Nato dichiara che dal 2014 al 2022 gli ucraini sono stati preparati militarmente dalla Nato’ ricordiamo che che dal 2014 i russi hanno occupato la Crimea e parte del Donbass, rinnegando vari trattati con gli ucraini. È ovvio che gli ucraini si sono rivolti a ovest per l’assistenza militare, visto che la precedente politica di appaltare l’esercito ai russi ha provocato il collasso delle truppe durante le invasioni del 2014
Se non ricordo male il 31 marzo 1814 lo zar Alessandro I entrò a Parigi dopo aver sconfitto le truppe francesi…