Il genocidio nazista dei disabili

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Il 9 novembre 1989 cadeva il Muro di Berlino e i sovietici lasciarono la parte della città da loro occupata, abbandonando quegli archivi del Reich nazista rimasti in loro possesso dalla fine della Seconda guerra mondiale. Lo storico inglese Michael Burleigh ha consultato e studiato le carte[1] dando riscontro in particolare delle politiche eugenetiche ed eutanasiche che precedettero quelle specificamente antiebraiche di Norimberga del 1935.

Hitler era ossessionato dalla repulsione per malati mentali e disabili, oltre che per gli ebrei: tutti soggetti giudicati estranei al corpo razzialmente sano dello Stato tedesco.

Al suo insediamento, nel 1933, Hitler diede subito avvio alla legge per la prevenzione delle malattie ereditarie a difesa della «razza tedesca», contenente norme che prevedevano la sterilizzazione obbligatoria delle persone ritenute di danno all’integrità razziale: in particolare i portatori di handicap, disabili, pazienti psichiatrici.

Diritto e genocidio

Oltre 200 «Corti per la salute ereditaria» operarono fra 1933 e 1939 disponendo la sterilizzazione coatta di un numero stimato di oltre 200.000 persone. Era possibile fare ricorso contro la sterilizzazione, ma senza grandi speranze di successo: nel 1934, primo anno di entrata in vigore della legge, circa 4.000 persone presentarono ricorsi amministrativi contro le decisioni delle autorità responsabili e ben 3.559 furono i ricorsi respinti.

La legge fu accompagnata da una intensa azione di promozione e propaganda: furono fatti circolare opuscoli, poster e film in cui si evidenziavano i costi del mantenimento dei malati inguaribili, chiedendo che il denaro «sprecato» fosse destinato piuttosto al popolo tedesco «sano». A scuola agli alunni era proposto di risolvere problemi di aritmetica riguardanti i costi del mantenimento di malati di mente e di disabili a carico dello Stato e della collettività.

La sterilizzazione con finalità eugenetica dei pazienti psichiatrici e disabili ebbe ufficialmente termine nel 1939 quando, al suo posto, Hitler dispose la soppressione dei pazienti psichiatrici e dei disabili psichici ritenuti incurabili presenti in tutti i territori amministrati dal Terzo Reich: Aktion T4, questo il nome dato alla campagna, fu avviata da un ordine segreto, con una semplice lettera su un foglio di carta senza intestazione ufficiale, datato 1 settembre 1939, giorno di inizio della Seconda guerra mondiale:

«Il segretario di Stato del Reich Bouhler e il dottor Brandt sono incaricati, sotto loro responsabilità, di estendere a medici da nominare, l’autorizzazione a concedere nei loro ospedali una morte misericordiosa a quei malati che a detta di ogni umano giudizio e dopo valutazione critica del loro stato di malattia risultano incurabili».

Il contenuto della lettera aveva forza di legge.

Le vite indegne

«Eutanasia», secondo il codice burocratico della Cancelleria del Reich e dell’organizzazione delle SS e dei medici che vi erano impegnati, indicava il trattamento scelto per la soppressione di vite definite indegne di essere vissute (lebensunwert) e giudicate troppo onerose per lo Stato. Il criterio della «incurabilità», del tutto generale e generico, consentiva ampia discrezionalità nella scelta delle persone da sottoporre al programma di morte.

Questo prese il via nell’ottobre 1939 con la denominazione, appunto, «Aktion T4», dall’indirizzo di Tiergartenstraße 4, una villa berlinese da cui venne coordinato l’intero progetto. I malati venivano trasferiti in psuedo-ospedali predisposti e adibiti a centri di sterminio: a Grafeneck, Brandeburgo, Bernburg, Hartheim, Sonnenstein, Hadamar. Qui le persone venivano uccise con iniezioni o in camere a gas, col criterio poi usato su vasta scala nei campi di sterminio per ebrei, sinti, rom, omosessuali. Ai parenti dei malati il trasferimento alle nuove “cliniche” veniva inizialmente comunicato con la giustificazione della opportunità di nuove terapie mediche, mentre la soppressione veniva certificata quale conseguenza di cause naturali o di intervenute complicazioni.

Dall’inizio del T4 alla sua chiusura ufficiale, si stima che le vittime siano state tra le 70.000 e 80.000.

Hitler, a seguito delle proteste – provenienti in particolare da ambienti religiosi -, pose ufficialmente fine ad Aktion T4 il 24 agosto 1941; ma l’uccisione dei pazienti psichiatrici e dei disabili proseguì sino alla fine della Seconda guerra mondiale, con il programma 14f13, ossia l’eliminazione dei prigionieri internati nei campi di sterminio e dei disabili psichici e dei pazienti psichiatrici ebrei accolti anche nelle istituzioni dei paesi occupati. L’Aktion T4 e la 14f13 riguardarono quindi anche i pazienti psichiatrici del Sud-Tirolo e i pazienti ebrei accolti nei manicomi della Repubblica Sociale Italiana e delle 9 province del nord-est italiano annesse al Reich alla fine del 1943. Le vittime di questa seconda fase sono calcolate in più di 25/30.000.

Le schede di ogni paziente candidato erano raccolte e inviate ai funzionari che operavano in T4. La bassa capacità produttiva, la malattia   inguaribile o la durata dell’internamento erano sufficienti  a giustificare la morte della persona.  I funzionari del programma T4, come l’onnipresente Pfannenmüller   ricevevano infornate da 200 a 300   schede per volta, ed erano remunerati    a numero di pratiche evase. Questo probabilmente spiega il virtuosismo    diagnostico di psichiatri stacanovisti come il dottor Josef Shreck, che completò 15.000 schede in un mese, una per una.

In base ai referti di tali schede, gruppi di pazienti erano trasferiti dal manicomio in uno dei 6 istituti deputati, per morire subito nella camera a gas, o collocati temporaneamente in un manicomio di transito. Ciò aveva lo scopo di mettere confusione nei famigliari, che non sapevano più dove fossero finiti i congiunti, così come di scaglionare    il rifornimento ai crematori.   Un elaborato sistema di inganni   era attivo ad ogni passaggio: dalla falsificazione della causa di morte, a quella del dove, quando e come fosse avvenuta la morte.

Uccidere per liberarsi da un peso

Ma va, senz’altro, introdotta la questione di quale fosse il consenso attorno a tutto ciò. Fra le giustificazioni addotte dal nazionalsocialismo, frequente era il riferimento a Ewald Meltzer, direttore dell’Istituto di Katherinenhof in Grosshennersdorf (Sassonia), che nel 1925 aveva polemizzato con le tesi di chi proponeva la soppressione delle vite «inutili», esaltando sia il mantenimento in vita degli handicappati  che sentimenti altruistici. Meltzer decise di consultare i parenti dei suoi assistiti circa la loro visione dell’eutanasia: con sua sorpresa, quasi il 73% di 162 rispose di approvare la scelta di mettere fine, dolcemente, alle vite segnate da idiozia incurabile.

Molti assensi sarebbero stati motivati dall’istinto di liberarsi del peso di un figlio «idiota»; alcuni avrebbero espresso il desiderio che la soppressione avvenisse con modalità protette e riservate, come poi avvenne in pratica.  Non stupisce, quindi, che nella propaganda nazista il nome di Meltzer fosse assai citato.

Del resto, le prese di posizione contrarie non furono quasi mai nette: lo stesso Meltzer nel 1937 ammise pubblicamente che avrebbe potuto darsi un’emergenza   nazionale qualora, a causa dei tagli alimentari o del bisogno di spazi di ricovero per militari feriti, anche i pazienti psichiatrici avessero dovuto pagare il loro tributo alla Madrepatria con le modalità dell’uccisione pietosa.

Le uccisioni comportarono inevitabilmente contatti fra gli operatori T4 e gli amministratori e i responsabili dei manicomi di Stato, dei privati e dei religiosi. Metà delle vittime di Aktion T4 proveniva da asili e residenze gestite dalle due più importanti reti assistenziali religiose: la Missione Protestante Interna e l’Associazione Cattolica Romana Caritas.  Anche in quelle sedi si era discusso di provvedimenti eugenetici e di eutanasia: nel 1937 Rudolph Boeckh, direttore medico del manicomio   di Neuendettelsau in Franconia, aveva affermato, in una conferenza, che gli «idioti» erano da ritenersi «parodie» e, pertanto, meritavano di essere «fatti ritornare al Creatore». Alcuni asili della Missione Protestante Interna, come quelli di Scheurn in Hesse-Nassau, operarono come centri di transito sulla via di Hadamar; infermiere sorelle protestanti lavorarono a Bernburg nel periodo in cui circa 20.000 persone vi furono uccise.

Sparute resistenze

In alcuni manicomi, una volta giunte notizie di quanto accadeva, si tentò di sabotare l’operazione T4, ad esempio ritardando il completamento e la consegna delle schede. É il caso del   dr. Karsten Jaspersen di Bethel Sarepta che si prese tutto il tempo per modificare le diagnosi dei pazienti: il fatto che egli fosse un vecchio militante nazista ci dice che l’affiliazione politica poteva non costituire, necessariamente, un vincolo assoluto   per le scelte individuali.

Ma, effettivamente, furono pochi i manicomi che tentarono di proteggere i soggetti più vulnerabili o di fare in modo che le famiglie li riprendessero a casa; ovviamente le dimissioni dipendevano dalla disponibilità delle famiglie; talvolta la risposta fu che non c’erano più stanze disponibili in casa.

Il fatto che uomini di Chiesa, in specie il vescovo cattolico di Münster Josef van Galen, avessero pubblicamente protestato contro Aktion T4 – un anno dopo esserne stato informato dal dottor Karsten Jaspersen – ha ricevuto più attenzione del fatto che prima dell’avvio di T4, fosse stato interpellato un teologo accademico cattolico per ottenere una nota giustificativa.

La gerarchia romana avviò negoziati, poi interrotti, con l’Aktion T4 per garantire agli staff dei manicomi cattolici di essere esonerati dal partecipare al progetto. La reazione della Chiesa cattolica si appuntava sulla somministrazione dei sacramenti e, spesso, si accompagnava al rifiuto dei preti di dare sepoltura cristiana alle ceneri delle vittime del programma di eutanasia, in quanto cremate.

Molte delle persone uccise in Aktion T4 entravano nelle camere a gas con uno spazzolino da denti e un asciugamano.  Un rapporto finale trasferì in un grafico l’andamento mensile delle uccisioni, per mostrare quanti beni in denaro pubblico e in natura – quali burro, pane, caffè o marmellata – fossero stati risparmiati con la l’eliminazione di 70.273 persone, andando a conteggiare corrispettivi monetari, con proiezioni sino al 1951.

Dopo la cessazione   dell’agosto del 1941, i funzionari e i medici della T4 si dedicarono agli internati dei campi di concentramento, in quella che divenne, appunto, Aktion 14fl3, giudicando della vita delle persone che le SS   reputavano malate    o razzialmente inferiori.  Gli staff T4 divennero tra i gruppi impegnati a definire i progetti, ancora sperimentali, per la risoluzione della Questione Ebraica: quali esperti della gassificazione di massa, svolsero  un ruolo centrale.


[1] M. Burleigh, Ethics and extermination- reflections on Nazi genocide, Cambridge University Press, 1997; in particolare i capitoli 4) Psychiatry, German society and Nazi euthanasia, pp. 113-129, e 5) The Churches, eugenics and the Nazi euthanasia programme, pp. 130- 141.

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3 Commenti

  1. Pg 13 luglio 2024
  2. Claudio 9 luglio 2024
  3. Fabio Cittadini 9 luglio 2024

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