Gli staff T4 entrarono a far parte dei gruppi impegnati a definire i progetti – ancora in fase sperimentale – di gestione della «questione ebraica»: quali esperti della gassificazione di massa, ebbero un ruolo determinante.
Circa 92 quadri dell’operazione furono messi a disposizione di Odilo Globocnik, ufficiale superiore delle SS e del capo della polizia di Lublino Philipp da Bouhler; con Herbert Lange, il veterano dell’operazione SS eutanasia, fu formato il gruppo responsabile del programma Aktion Reinhard: un insieme di individui che aveva fatto i lavori più vari, da quello di macellaio, a quello di cuoco, al camionista, al poliziotto. Riporto i nomi di Erich Bauer, Kurt Franz, Lorenz Hackenholt, Joseph Oberhauser, e di Franz Stangl e Christian Wirth che salirono nella scala gerarchica a presiedere all’assassinio di massa degli ebrei dell’Europa Orientale, oltre che della borghesia ebraica occidentale, a Belzec, Sobibor, Treblinka.
La rassegna statistica finale del T4 redatta da Globocnik nel dicembre 1943 enumerava l’entità dei beni sequestrati, delle somme raccolte, ossia il corrispondente di circa 2.000 carichi di vagoni ferroviari di effetti letterecci, abiti e asciugamani, oggetti di uso quotidiano come lenti d’occhiale, piumini da cipria, portasigarette, ecc. Dopo lo smantellamento dei campi T4, gli uomini del progetto diedero il via ai centri di sterminio sulla costa dalmata, in particolare a Trieste (Risiera di San Sabba), che usarono per torturare e uccidere ebrei sul percorso verso Auschwitz. Vi morirono 5.000 persone, tra cui sospetti partigiani italiani.
Nel territorio del vecchio Reich, le uccisioni eutanasiche proseguirono più decentrate in una vasta rete di istituti ove i pazienti furono uccisi per fame e con iniezioni letali. Si tennero incontri presso le autorità sanitarie regionali per scegliere le diete di affamamento, con psichiatri che si scambiavano menù di radici bollite in acqua. Va considerato che non c’era scarsità di cibo nei manicomi, dal momento che le terapie occupazionali – dette ergoterapie – producevano eccedenze alimentari che gli amministratori vendevano, realizzando considerevoli profitti.
Sia il programma degli adulti che l’uccisione dei bambini, proseguirono fino agli ultimi giorni di guerra. La morte di routine negli istituti fu decisa ancora per chiunque fosse giudicato incapace di produrre o il cui comportamento infastidisse il personale, con pazienti spesso coinvolti nell’uccisione delle persone già ricoverate.
I tentativi di fuga o altre trasgressioni comportavano iniezioni letali ovvero manciate di sedativi cacciate in gola con la forza, magari nel cuore della notte. Risultano, tra le vittime, lavoratori coatti, stranieri malati di tubercolosi, così come gli affetti da disturbi mentali contratti a causa delle stesse condizioni disumane in cui vivevano. Ucciderle sul posto era ritenuta la soluzione meno costosa.
Poiché molte non sapevano comunicare in tedesco, neppure si tentava di capire quali fossero i loro problemi. Nelle ultime stagioni, i programmi di eutanasia riguardarono quindi vecchi e nomadi, nonché persone rese folli dai bombardamenti alleati.
Relazioni del Servizio di Sicurezza nazista (SD) scoperte in Russia, documentano l’esistenza di diffusi timori fra la popolazione tedesca più anziana riguardo al ricovero in strutture geriatriche, sanatori o semplici visite di routine dal medico: ciò ad evidenziare che era impossibile tenere nascosto quanto accadeva nei manicomi e in altri istituti di lungodegenza.
Alcuni psichiatri che lavoravano nel programma T4, per contrastare la perdita di prestigio della professione psichiatrica avanzarono proposte di modernizzazione dell’assistenza, suggerendo la destinazione delle risorse risparmiate con l’eliminazione degli assistiti ricoverati alla messa a punto di nuove terapie, specie per il trattamento delle acuzie.
L’agenda prevedeva la sperimentazione di programmi di ricerca nelle Università, da “alimentare” con lo studio degli organi e dei tessuti del sistema nervoso messi a disposizione dai programmi di eutanasia.
In questo modo medici come Paul Nitsche o Carl Schneider si proponevano di riaffermare il controllo della scienza psichiatrica sulle politiche, guidate dalle esigenze dell’economia di guerra: politiche la cui logica minacciava l’esistenza e la credibilità dell’intera branca della medicina; un modo per allontanare da sé le responsabilità di chi aveva creato e consentito condizioni disumane nei manicomi, con pazienti ridotti a scheletri e abbandonati a sé nudi tra i loro escrementi, su pagliericci imbevuti di urine; persone rinchiuse, da sole, in bunker infestati dai parassiti; con sanitari che operavano nei reparti come soldati.
Ma fu la decisione di Hitler di entrare in guerra a proporre in termini anche più radicali la questione dei costi e della sopportabilità dell’assistenza ai pazienti psichiatrici: la scelta di Hitler di uccidere i disabili fisici e psichici fu “giustificata” dalle necessità della guerra stessa, in particolare quella di liberare posti letto per i soldati del Reich bisognosi di cure, nonché spazi di accoglienza per i profughi di guerra tedeschi.